Tav, i media e la mediazione mancata

8 Marzo 2012 • Etica e Qualità, Giornalismo sui Media • by

Fonte: Corriere TV

In una analisi pubblicata la scorsa settimana su Ejo avevamo analizzato il rapporto tra stampa, contestazione e controinformazione. I due casi presi in esame erano la protesta popolare greca e la contestazione No Tav. Avevamo rilevato che: 1) La narrazione di episodi di contestazione sulla stampa italiana a maggior diffusione viene oggi, come decenni fa, imperniata sul tema della violenza e anche sul piano linguistico l’esplosione (quindi l’azione discontinua di rottura) è ricorrente; 2) Nella rappresentazione della protesta, viene posto l’accento sulle azioni piuttosto che sulle ragioni. La protesta No Tav viene associata dalla stampa maggioritaria alla violenza, così quando domenica 25 febbraio 2012 si tiene in Val di Susa una manifestazione pacifica di decine di migliaia di persone, alla contestazione non violenta viene data pochissima copertura mediatica sui giornali mainstream. 3) Sia nel caso greco che in quello del movimento No Tav, a colmare in parte le lacune interviene la cosiddetta controinformazione. Sono in molti a notare come in Italia la controinformazione non abbia fatto altro che riempire le mancanze profonde dell’informazione maggioritaria. Nei casi attuali, tramite i social media le ragioni della protesta trovano maggiore spazio, e anche i tempi dell’informazione corrispondono maggiormente alla realtà. I siti internet sono veicoli diffusi di informazione alternativa e la raccolta di video e testimonianze “dal basso” ha un ruolo chiave nella “contro”informazione, a tal punto che in certi casi la stessa stampa mainstream finisce con il ricomprendere queste fonti.

SIMBOLI ALLONTANATI

Nella settimana dal 27 febbraio al 5 marzo, le vicende della Valsusa sono tornate decisamente alla ribalta nell’agenda setting nazionale e l’osservazione della stampa di questi giorni, oltre a confermare l’analisi già svolta, permette ragionamenti ulteriori. Ad esempio è interessante notare come alle azioni collettive facciano da contrappunto due vicende che riguardano i singoli e che costituiscono una il simbolo mancato, l’altra il simbolo prescelto dai media per gli scontri in val di Susa. Il primo caso è quello della caduta dal traliccio di Luca Abbà. A questo episodio, e al suo protagonista, alcuni giornali associano toni sprezzanti e di accusa: i casi più estremi sono quello del sondaggio online su Libero, che chiede se Luca “se la sia meritata”, e il Giornale del giorno dopo, che titola “Altro che eroe, solo un cretinetti”. Eroe: proprio questo, potrebbe diventare l’uomo che cade “in battaglia”, senza armi, mentre lotta per le proprie idee. Ma la rappresentazione giornalistica mainstream compie il processo opposto a quello dell’avvicinamento e dell’identificazione fra il caduto (il possibile “martire”) e il lettore. Un esempio chiaro lo offre Repubblica, a partire dai termini e dalle espressioni che utilizza: ”Non è per caso, perché è da quando è un ragazzo che fa di tutto per esserci sempre, per essere contro, per mettersi in prima fila e per fare il duro”, scrive Vera Schiavazzi. Ricorda poi che nella valle trova radici “una mitologia che non sempre dà buoni risultati, come racconta la storia di Prima Linea”, assecondando un richiamo più o meno esplicito agli anni del terrore che ricorre insistentemente nelle ultime due settiman in una certa comunicazione giornalistica e politica. “Gli amici stanno sotto, in strada: i giovani punk pieni di piercing che minacciano i giornalisti”, continua Schiavazzi. Ma è nella conclusione dell’articolo che sta il cuore della questione: “Pregano perché il giovane uomo nella stanza sterile non debba lasciare la sua vita per diventare un simbolo. C’è chi prega perché è un amico, e chi invece lo fa perché teme quel che potrebbe accadere”.

 SIMBOLI COSTRUITI

Allontanato un simbolo, quello di Luca, e incorniciata la sua storia tra gli spettri degli anni di paura e la descrizione di un personaggio fuori dagli schemi, presto la stampa trova o meglio costruisce un altro simbolo, alternativo ai No Tav. Il giorno dopo la caduta di Abbà, mentre la sua storia occupa di diritto le pagine dei giornali di carta, sul web e in particolare sul sito del Corriere viene lanciato un video di cui la stampa discetterà almeno per i successivi tre giorni. Il 28 febbraio compare su Corriere.it il filmato in cui Marco Bruno, manifestante No Tav, provoca verbalmente un carabiniere. L’episodio avviene alla presenza delle telecamere delle forze dell’ordine, e viene ripreso anche dagli operatori del quotidiano, tuttavia il “monologo” non viene rilanciato online per intero, fino alla sua conclusione, cioè fin quando il ragazzo scherza con le forze dell’ordine, “vi voglio bene lo stesso”. Viene tagliato prima. Alla clip viene poi dato ampio spazio sulla stampa dei giorni dopo, e alcuni giornali ad ampia diffusione ne fanno un episodio dirimente per le valutazioni complessive sulla vicenda No Tav. A pagina 17 del Corriere di mercoledì 29 febbraio, Giangiacomo Schiavi invita persino a “non domandarsi nient’altro”, a “fermarsi su una sequenza che più di ogni altra mostra dove può sfociare la cieca cattiveria di questi giorni in Val di Susa”. L’episodio che coinvolge due individui – da una parte il carabiniere, l’eroe da elogiare e “a cui dire pubblicamente grazie”, dall’altra il giovane “tracotante” – viene elevato a simbolo a tal punto che, parole di Schiavi, “bastano quei pochi frammenti del filmato di Corriere tv per capire da che parte stare”. Con un riferimento a Pasolini (paragone giudicato poi da molti azzardato e improprio) si chiude il cerchio: ancora una volta viene aleggiato lo spettro degli anni della paura, “degli incubi, della violenza e gratuità delle minacce”. Inoltre i riferimenti alla figura umana e letteraria di Pasolini, esemplare ancora oggi per molti, sono volti a caricare ancor più di valore simbolico l’episodio, così che diventa potenzialmente anche uno strumento per far leva e per dividere il fronte della protesta.

Da una parte il carabiniere, dall’altra (contrapposta) il manifestante: un faccia a faccia reale ma anzitutto simbolico, che è solo un esempio di come la rappresentazione mediatica costruisca la contrapposizione e ne imbastisca la rappresentazione. L’opposizione si gioca a partire dal linguaggio: pro Tav vs no Tav, violenza vs non violenza, legalità vs illegalità, sviluppo vs arcaismo, locale vs internazionale. Da una parte o dall’altra, con la “sua” valle o con lo sviluppo di tutti, come se le ragioni della protesta potessero essere ridotte a una barricata tra il “noi” e il “loro” e come se fosse possibile dare a ciascuno dei due campi l’esclusiva di un aspetto o dell’altro, senza sfumature, senza mediazioni. Oltre la cortina delle dichiarazioni dei politici (“la fermezza” del governo) e degli editorialisti (“nessuna ambiguità”), è possibile leggere lo spazio vuoto di una mediazione mancata. I media si rivelano anzi essi stessi campo di scontro, così come la ricostruzione mediatica dei fatti diventa il primo oggetto di contestazione, lo rileva ad esempio Meo Ponte il 27 febbraio: “la tensione è alimentata dalla ricostruzione degli scontri”. Uno scontro mediatico che Ilvo Diamanti interpreta come “scelta” del fronte della protesta, ma che da una osservazione complessiva risulta giocato e “scelto” anzitutto dai media stessi. La vera partita si gioca in fondo su una linea di confine linguistica, quella tra “ribellione” e “resistenza”, e la stampa maggioritaria ha fatto la sua precisa scelta di campo.

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