SwissLeaks, data journalism cross-border

10 Febbraio 2015 • Cultura Professionale • by

La recente indagine SwissLeaks sui file segreti della banca HSBC è l’ultimo esempio di una lista crescente di storie di successo di collaborazioni cross-border tra giornalisti investigativi. I file HSBC sono stati ottenuti da un gruppo internazionale di testate giornalistiche, compresi Le Monde, The Guardian, CBS 60 Minutes e l’International Consortium of Investigative Journalism (ICIJ) di Washington.

L’indagine congiunta, che ha coinvolto complessivamente giornalisti da 45 paesi, ha rivelato quanto la banca abbia aiutato alcuni dei suoi clienti a nascondere i loro conti a Ginevra al fine di evitare le tasse. Si tratta di uno dei maggiori leak nella storia del settore bancario e ha coinvolto circa 30mila conti correnti.

Altri esempi recenti di questo genere sono stati quelli dei file di WikiLeaks relativi alle guerre in Afghanistan e Iraq, i file sulla sorveglianza della Nsa resi disponibili da Edward Snowden e il progetto OffshoreLeaks, curato sempre dall’ICIJ. Come per SwissLeaks, questi casi sono accumunati da un dettaglio simile: sono basati su un singolo database di documenti.

Per approfondire: OffshoreLeaks, l’inchiesta è globale, di Francesca De Benedetti

Il giornalismo cross-border è la risposta alla globalizzazione della politica e del crimine
Il giornalismo cross-boarder è la risposta alla globalizzazione della politica e del crimine e ho studiato il fenomeno nel mio paper per il Reuters Institute for the Study of Journalism, pubblicato ieri, alla fine della mia fellowship presso l’Università di Oxford. Il report analizza tre diversi casi di investigazioni cross-border, Farm Subsidy, OffshoreLeaks e Migrants Files, per analizzare quali punti li hanno resi un successo e quanto il computer-assisted reporting (Car) sia stato parte del buon risultato. Lo studio è basato sull’analisi della letteratura esistente e su diverse interviste con dei data journalist.

Farm Subsidy è un progetto che ha coinvolto reporter da tutta Europa, Francia, Italia, Spagna e Grecia comprese. Grazie alle leggi FOIA vigenti nei loro paesi, i giornalisti hanno avuto accesso ai dettagli dei beneficiari del Common Agricultural Policy della Ue e queste informazioni hanno consentito loro di creare e aggiornare un database di “farm subsidies”. Dal punto di vista della pratica giornalistica, inoltre, questo lavoro è stato anche un’opportunità per creare un network di giornalisti attenti a questi temi e a questo modus operandi.

Per approfondire: Generation E: Data Journalism e migrazione, di Rachel Stern

OffshoreLeaks, invece, ha dimostrato quanto potente possa essere un’investigazione internazionale. Un centinaio di giornalisti da paesi come Australia, India, Francia, Regno Unito e Costa Rica hanno lavorato insieme su un corpus complessivo di 2,5 milioni di file e sono stati in grado di pubblicare simultaneamente, e in diversi paesi e su media diversi, il risultato del loro lavoro.

Creare database e renderli disponibili
Nel mio report ho anche trattato di The Migrant Files, un progetto che ha dimostrato come, quando un database non esiste, questo possa essere creato. Guardando ai migranti che sono morti durante il loro viaggio verso l’Europa, il team di data journalist ha usato l’open-source intelligence per analizzare le rotte dove la maggior parte di queste persone era morta. Il database, ora, viene aggiornato spesso ed è utilizzato come fonte dalle organizzazioni internazionali e non-governative.

Per approfondire: Data Journalism, (piccole) esperienze a confronto, di Philip Di Salvo

Il collante di questi progetti è il data journalism, la chiave di tutti questi progetti investigativi collaborativi. I data journalist possono analizzare i dati, renderli accessibili ad altri reporter e gestire direttamente i progetti: la presenza dei data journalist nelle redazioni, infatti, può aiutare a creare investigazioni più potenti e di maggior successo.

Articolo tradotto dall’originale inglese

Photo credits: Beat Strasser / Flickr CC

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