Il caso del The New York Times è considerato, al di là della indiscutibile universale autorevolezza del quotidiano, un successo.
Dopo tentennamenti e rinvii a marzo del 2011 il quotidiano newyorkino ha introdotto quello che personalmente ho definito come un “soft paywall” per la possibilità offerta di leggere sino a 20 articoli senza pagare, così come altrettanto avviene se si approda sul sito del NYT arrivando da un social network e/o da un motore di ricerca. La formula si è rivelata vincente e già a metà dell’anno scorso appariva chiaro che l’obiettivo di raggiungere 300mila abbonamenti digitali nei primi 12 mesi sarebbe stato raggiunto.
Arrivano ora i risultati dell’ultimo trimestre a confermare che effettivamente la meta non solo è stata raggiunta ma addirittura superata. Secondo i dati diffusi alla fine della scorsa settimana, a fine dicembre 2011 sarebbero stati effettuati ben 406mila abbonamenti a pagamento dei quali 390mila sono direttamente riferibili al New York Times. Se già la settimana scorsa è stato approfondito il significato ed il valore, soprattutto, del successo del Mail Online proprio a discapito del giornale statunitense, anche in questo caso vale la pena di andare oltre le apparenze e qualificare meglio i termini del successo.
Certamente il successo delle sottoscrizioni digitali è indiscutibile e fa del giornale di New York il secondo quotidiano statunitense per numero di abbonamenti digitali alle spalle del The Wall Street Journal che vanta oltre 537mila sottoscrizioni.
Si tratta però, ancora una volta, di un buon risultato che non ha altrettanto un riscontro economico. I risultati economici nel complesso infatti registrano una flessione rispetto al pari periodo dell’anno precedente del 12,2%.
Leggendo con la giusta attenzione il comunicato stampa diffuso dalla The New York Times Company si vede con chiarezza come a fronte di un incremento della diffusione del quotidiano non vi sia altrettanto una crescita dei ricavi dalla pubblicità che nel suo insieme calano del 6,1%. Si tratta della combinazione tra il progresso dell’incidenza delle revenues derivanti dagli investimenti sull’area digitale, che nel 2011 hanno raggiunto il 27,7% del totale (nel 2010 erano il 26,3%) e la flessione dei ricavi dalla pubblicità per la versione tradizionale cartacea. Una dinamica che conferma come il digitale, neppure per una testata del valore del NYT, riesca a compensare il calo della carta.
Andamento che nel lungo periodo è egregiamente illustrato dal grafico realizzato da Paul McMorrow che mostra quanto sia la distanza ancora prima di riuscire a raggiungere un pareggio contributivo come già emergeva con straordinaria chiarezza dalla sintesi proposta da Alan D. Mutter pochi mesi fa.
Se c’è chi azzarda addirittura la previsione di una sola uscita domenicale su carta mentre il resto delle edizioni sarebbe esclusivamente in versione digitale da qui a cinque anni, resta ancora pressante allo stato attuale la contraddizione del dilemma del prigioniero. Problema che, se neppure uno dei più celebri e quotati quotidiani al mondo pare in grado di risolvere, a maggior ragione non pare possa passare per soluzioni con tempi rapidi per altre testate di fama e valore certamente inferiori.
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