Il video citizen journalism, o giornalismo partecipativo che dir si voglia, è un fenomeno di estrema rilevanza come testimonia, per quanto riguarda l’Italia, l’enorme successo di YouReporter con i video girati dalle persone che sono stati trasmessi da tutte le TV italiane e da molte altre emittenti in tutto il mondo.
The Center for International Media Assistance ha pubblicato pochi giorni fa “The Video Revolution”, rapporto che traccia, appunto, la grande crescita di questo fenomeno e ne analizza l’impatto sull’universo mediatico.
La video rivoluzione, così come viene definita dall’autore, è parte, come sappiamo di un fenomeno ancora più grande e diffuso qual’è il crescente utilizzo di social media e social network come mezzi di diffusione dell’informazione da parte delle persone.
Nel rapporto, a titolo esemplificativo della rilevanza del video giornalismo partecipativo, vengono forniti alcuni dati. Si viene così a sapere che i 10 video più visti dello tzunami in Giappone sono stati visti 135 milioni di volte su YouTube o che il video più visto della morte di Gheddafi ha ottenuto da solo 6 milioni di visualizzazioni.
E’ la tecnologia mobile, ed in primis ovviamente gli smartphones, che rappresenta il mezzo di diffusione che ha consentito lo sviluppo di quest’ambito del giornalismo partecipativo. E’ di oltre il 50% del traffico totale su Internet in mobilità quello prodotto dai video caricati da mobile. La tabella riassume i dati di diffusione nei diversi continenti evidenziando la fortissima crescita negli ultimi 5 anni.
Emblematico in Italia il caso del naufragio della Costa Concordia al Giglio con le persone che filmavano in diretta e foto e video caricati su YouReporter solo due ore dopo i fatti assicurando una copertura informativa che mai nessun media è stato, né sarà, in grado di offrire.
La disponibilità di questa enorme massa di informazioni pone infatti sia enormi opportunità che alcune minacce al giornalismo. I cittadini video giornalisti di tutto il mondo assumono infatti un ruolo rilevante nell’ecosistema dell’informazione costringendo inevitabilmente i professionisti dell’informazione, i giornalisti di professione, a rivedere il loro ruolo, ma rappresentano anche una risorsa straordinaria sia in termini di valore creato che di saving realizzato dall’industria dell’informazione in questi tempi di crisi e budget ristretti.
Fondamentale altrettanto la possibilità di offerta informativa attraverso questa modalità soprattutto in quelle nazioni dove regimi autoritari, sino all’avvento e diffusione del fenomeno, controllavano strettamente, censurandola, l’informazione. Questo ha permesso, di riflesso, ai media di tutto il mondo di offrire una copertura di fatti ed eventi che prima non era possibile; si pensi alle rivolte in Iran, ad esempio.
In questo quadro di positività complessiva della “video revolution” è evidentemente di fondamentale rilevanza il controllo della veridicità, dell’autenticità e, più in generale, della qualità di quest’area dell’informazione. Un altro aspetto da non sottovalutare è anche l’etica del video/foto reporting come dimostrano le recenti foto diffuse dell’uccisione di Gheddafi.
Il rapporto si conclude, infine, con una serie di raccomandazioni per l’industria dell’informazione per cooperare positivamente con i cittadini ed una ricca sitografia. Come sempre non posso che consigliarne la lettura integrale.
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