L’onda lunga delle vignette blasfeme

25 Agosto 2008 • Etica e Qualità • by

Corriere del Ticino, 25.08.2008

La crisi iniziata in Danimarca nel 2005 fa ancora vittime – Come valutarla?

È dello scorso giugno la notizia di un altro attentato ad un’ambasciata danese in Pakistan, ad Islamabad. Bilancio: 8 morti e 20 feriti. Si tratta dell’ennesimo atto di violenza per pu­nire «l’infedele Stato della Danimarca», come rivendicato da al Qaida, «per le vignette in­sultanti contro il profeta Maometto».

Le controverse caricature, pubblicate in Danimarca alla fine del 2005, provocarono un’ondata di violente proteste nel mondo musulmano. Le vi­gnette furono nuovamente pubblicate dalla stampa danese il 13 febbraio 2008, dopo che fu scoperto un complotto per uccidere uno degli autori. I giornalisti danesi difendono con forza la propria libertà di espressione pubblicando – e ripubblicando per solidarietà – le vi­gnette, nonostante le sanguinose proteste e i boicottaggi economici contro il loro Paese. Il mondo islamico, dal canto suo, pretende maggior rispetto per il proprio credo religioso. Vi proponiamo quindi una rilettura del caso delle vignette danesi – tutt’altro che chiuso, pur­troppo – sotto forma di intervista doppia a due esperti di giornalismo, uno danese ed uno turco, entrambi moderati e sostenitori della libertà di espressione, che mette in luce due pun­ti di vista sostanzialmente differenti sulla questione. Perché Henrik Kaufholz, ombudsman del quotidiano danese Politiken, nella propria scala dei valori mette decisamente al primo posto la difesa della libertà di espressione. Mentre Yavuz Baydar, del giornale turco Sabah, pone dei limiti giudicando irresponsabile agire senza tenere in considerazione i diversi va­lori in gioco e aggravando così, senza motivo, la frattura tra Occidente e mondo islamico.
PARLA IL DANESE HENRIK KAUFHOLZ
Signor Kaufholz: come nasce nel giornale danese Jyllands-Posten la decisione di pubblicare le caricatu­re di Maometto?
«La pubblicazione delle vignette faceva parte di un dibattito tut­to danese sul tema dell’auto-cen­sura nei media. Nel testo che ac­compagnava le caricature il gior­nalista affermava che i danesi non osavano ormai più confron­tarsi apertamente con gli immi­grati musulmani presenti in Da­nimarca, citando il caso di uno scrittore che non era riuscito a trovare in tutto il paese un illu­stratore disposto a collaborare ad un suo libro sull’ Islam. La pubblicazione delle vignette va quindi inserita nel contesto di una discussione politica legata alla situazione danese».

Vi sareste aspettati reazioni tanto violente?

«Quando il 30 settembre del 2005 il giornale pubblicò le caricature nessuno era in grado di prevede­re le forti reazioni del mondo islamico. Ci vollero diversi mesi prima che il mondo musulmano reagisse e nel mentre il governo danese (compreso il primo mi­nistro Anders Fogh Rasmussen) sottovalutò la questione rifiutan­do di incontrare gli ambasciato­ri dei paesi musulmani per di­scutere il caso. La ragione era in qualche modo di principio: il go­verno non poteva e non voleva controllare la stampa danese».
Il governo avrebbe dovuto agire di­versamente?
«Credo che Rasmussen avrebbe dovuto trovare il tempo per in­contrare gli ambasciatori, cosa che peraltro fece quando il caso scoppiò in tutta la sua portata. Va detto che le proteste e i boi­cottaggi furono basati su una do­cumentazione manipolata for­nita da personaggi di spicco del mondo islamico danese, che la divulgarono ai governi e alle or­ganizzazioni musulmane gettan­do così benzina sul fuoco. Questo portò alla richiesta di alcuni esponenti del mondo musulma­no di un rispetto assoluto per Al­lah e per il profeta Maometto, pretesa che venne portata anche alle Nazioni Unite e in altre or­ganizzazioni internazionali»
Cosa pensa di queste rivendicazio­ni?
«Credo che i musulmani danesi dovrebbero accettare lo stesso ti­po di humor e satira che accet­tano i cristiani in Danimarca. Non accetterò mai di accordare uno speciale rispetto per deter­minate figure religiose: qui la li­bertà di stampa e di espressione sono molto importanti. Credo inoltre che tutti debbano essere rispettati in quanto cittadini, non per la loro appartenenza a gruppi che godono di diritti particola­ri. Alcuni musulmani, secondo me, così facendo mettono in di­scussione centinaia di anni di il­luminismo europeo e io non so­no pronto a tornare al Medioe­vo. Credo però che sia nostro do­vere essere presenti ad ogni in­contro, mostrarci aperti alle di­scussioni e spiegare il nostro punto di vista. Ma non dobbia­mo cedere. Boicottaggi o no».

La sua è un’opinione condivisa nel suo Paese?

«La comunità giornalistica è di­visa, il caso delle vignette ha ra­dicalizzato le opinioni di ognu­no di noi sul significato e l’im­portanza della libertà di stampa: l’effetto è che oggigiorno ogni giornalista danese è più consa­pevole sulle implicazioni di que­sto diritto costituzionale rispetto al passato. Questo vale sia per co­loro che appoggiano la pubbli­cazione, sia per i più critici».
Approva la decisione di ripubblicare le vignette in segno di solidarietà con i giornalisti minacciati?
«Sì: l’indagine è ancora in corso, ma sembra che un piccolo grup­po di musulmani progettasse di
Tutti devono essere ri­spettati in quanto cit­tadini, non per la loro appartenenza a grup­pi che godono di dirit­ti particolari
assassinare uno dei caricaturisti. Ogni giornalista dovrebbe bat­tersi per la libertà di stampa quando individui o organizza­zioni cercano di uccidere gior­nalisti o vignettisti con i quali so­no in disaccordo».

Questo caso ha aggravato la frattura tra cristiani e musulmani?
«Innanzitutto non esistono “i musulmani”: troviamo estremi­sti che giustificano i propri as­sassini basandosi su testi religio­si, ma la maggioranza dei mu­sulmani si indigna di fronte a queste cose. Inoltre nel mondo musulmano – come anche in America – si ha un’idea vaga del­la Danimarca. Non sanno dove sia, o quale lingua vi si parli: ma le vignette sono state e continue­ranno comunque ad essere stru­mentalizzate per veicolare idee radicali. Non credo che la con­vivenza tra musulmani e cristia­ni, per esempio in Danimarca, o la cooperazione internazionale tra nazioni di diversa cultura sia impossibile. Ma la crisi delle vi­gnette danesi ha senz’altro mo­strato quanto possa diventare difficile».

PARLA IL TURCO YAVUZ BAYDAR
Signor Baydar, comincio dalla stessa domanda che ho rivolto al suo collega danese: com’è nata la deci­sione di pubblicare le caricature di Maometto?
«Iniziò tutto con uno scrittore di libri per bambini danese che vo­leva pubblicare un libro su Mao­metto e sull’ Islam. Con stupore venne a sapere che ogni illustra­zione del profeta era proibita, co­sa che peraltro non è del tutto vera. Ne parlò con la redazione culturale del giornale Jyllands­Posten, che denunciò il caso al­l’opinione pubblica danese sot­tolineando esclusivamente l’aspetto della limitazione della libertà di espressione. Il giorna­le decise così di commissionare le famose vignette, con lo scopo di sfidare quella che considera­va l’intolleranza dell’ Islam».
Con quali conseguenze?
«Le caricature – alcune delle quali illustravano Maometto co­me terrorista e pazzo – hanno creato scalpore sia in Occiden­te, sia nei paesi musulmani. Nel corso del dibattito, alimentato da frange estremiste, furono or­ganizzate marce di protesta e scoppiò la violenza. Alcuni gior­nalisti del mondo arabo che ri­pubblicarono le vignette furono arrestati e condannati. I dittato­ri e i regimi più autoritari trova­rono così nuovi pretesti per met­tere pressione su quella che ve­devano come una stampa dissi­dente e pericolosa. Allo stesso modo in cui la tensione contri­buì a rafforzare i pregiudizi tra cristiani e musulmani, gli estre­misti trovarono terreno fertile per divulgare il proprio odio verso l’altro».
Come giudica, quindi, la decisione di pubblicare e ripubblicare le vi­gnette?
«Siccome credo fortemente nel­la libertà di espressione, non ho obiezioni di base su alcun tipo di forma di dissenso. Ma mi tro­vo spesso a chiedermi se nella situazione specifica io avrei de­ciso di difendere questo atto stu­pido, travestito da esercizio di li­bertà di espressione».

Atto stupido?

«Sì, credo che la decisione di pubblicare le vignette sia stato un tentativo grossolano di eroi­smo il cui unico risultato è sta­to danneggiare i sentimenti del­la gente senza necessità, alimen­tando inutilmente l’ostilità. Que­sta forte aderenza ai principi mo­rali ha fuorviato anche personag­gi di spicco nella selezione di co­sa valga la pena di proteggere con il diritto alla libertà di espressione».
Era quindi possibile evitarlo?
«A diversi livelli: si è sviluppata una catena di stupidità. Innan­zitutto lo scrittore del libro per bambini avrebbe potuto facil­mente trovare, se non avesse agi­to superficialmente, più di 1500 raffigurazioni di Maometto, ese­guite principalmente da disegna­tori e pittori musulmani. Queste sono disponibili anche nei pae­si musulmani più radicali. L’au­tore avrebbe dovuto usare que­ste raffigurazioni, spiegando al­lo stesso tempo ai bambini che nel mondo musulmano si tende a non voler mostrare il viso di Maometto. Questo può sembra­re irrazionale a persone di altre religioni, ma non lo è più di quanto non lo sia, per esempio, il fatto che gli induisti non man­giano carne di mucca. Ovvia­mente tutto questo processo di approfondimento non è stato fat­to. C’è poi stato il giornalista, che ha deciso di sfidare l’intolleran­za dei musulmani senza appro­fondire a sufficienza, sottovalu­tando gli aspetti irrazionali del credo religioso e finendo nella trappola dell’arroganza cultura­le ».
Crede che questa arroganza acco­muni tutti i media occidentali?
«Non nel caso specifico: è ciò che ha distinto, in senso negati­vo, la stampa danese dalla mag­gior parte del mondo, compresi i loro vicini. Il loro processo de­cisionale è stato dominato dalla rigidità di giudizio, da un duro modo di vedere il mondo, gui­dato dall’illusione di una sorta di superiorità. Hanno ignorato che la maggior parte dei sistemi dei valori sono basati anche su elementi di irrazionalità. E non si può sfidare il dominio irrazio­nale delle credenze con elemen­ti razionali e secolari, nella spe­ranza di superarli. Il ragiona­mento danese non tiene in con­siderazione il fatto che ogni re­ligione monoteistica ha il pro­prio ciclo di evoluzione, che de­ve però aver luogo al suo inter­no. È sbagliato imporre le pro­prie norme. Questo è, in breve, ciò che secondo me costituisce la stupidità della decisione da­nese. Ed è anche la ragione per la quale – c redo – l a stampa an­glosassone che si basa su una tradizione di evoluzionismo e multiculturalismo, ha evitato di unirsi all’iniziativa danese».