La crisi delle testate native digitali

21 Giugno 2016 • Editoria, Più recenti • by

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Hulk Hogan ha di recente intentato una causa contro Gawker per 140 milioni di dollari. Come conseguenza, il gruppo mediatico ha dichiarato bancarotta

Con i tagli al personale a Vice News, i licenziamenti a Mashable e una successione di azioni legali che minacciano la stessa esistenza di Gawker, sono settimane piuttosto dure per le testate di news native digitali. Dopo un periodo di crescita, in cui queste organizzazioni trasudavano un po’ di spacconeria che suggeriva che sentissero di avere in mano le chiavi del futuro del giornalismo, questi brand improvvisamente appaiono bloccati in un’insicurezza collettiva.

Non appena sono entrate nella sfera del giornalismo serio, espandendosi oltre le loro radici di trendsetter, listicle e gattini, queste testate sembrano ora aver inserito la retromarcia. Sono tempi preoccupanti non solo per coloro che lavorano in queste redazioni, ma anche per chi aspira a entrarvi. Insomma dove stanno andando i soldi che servono a finanziare il futuro giornalismo? Questi tagli seguono anche la notizia secondo la quale il New York Times starebbe per tagliare 70 posti di lavoro a Parigi come parte di una riorganizzazione delle sue operazioni internazionali, a dispetto delle sue recenti affermazioni riguardo a crescenti ambizioni globali.

Anche gli editori britannici riferiscono del crollo dei profitti e di tagli al personale
Nel Regno Unito, invece, i tre maggiori editori di giornali online commerciali hanno incontrato a loro volta alcuni ostacoli. Qui, la strategia di offrire i contenuti gratuitamente ha certamente portato a raggiungere un’importante copertura in termini di pubblico, ma non gli introiti economici sperati. Un fiume di 100 giornalisti si sta dirigendo all’uscita del Guardian, ad esempio, proprio mentre le alte cariche del Daily Telegraph vengono tagliate fuori. Persino il Daily Mail e il General Trust, proprietari del più grande quotidiano online in lingua inglese, il Mail Online, hanno pubblicato una nota per i loro investitori: il miglioramento dei ricavi dal digitale non è stato abbastanza forte da prevenire un calo dei profitti complessivi pari al 29%. La causa principale sarebbe il crollo della pubblicità sulla carta stampata.

“Il modello vecchio 150 anni del giornalismo fondato sulla pubblicità è andato, e non penso tornerà”, sostiene il blogger Peter Jukes, fondatore del sito di giornalismo crowdfunded Byline. Secondo Jukes, le recenti difficoltà delle testate di news solo online sono molto profonde: “non è solo un riassestamento, è un enorme problema strutturale”.

Una nuova CNN?
Si pensava che Vice News avrebbe dato risposta ai desideri della generazione millenials riguardo all’attualità: i giganti mediatici 21st Century Fox e A+E Networks sono fra i tanti investitori in Vice e il suo co-fondatore Shane Smith, una volta ha detto che mirava a fare della sua testata “la nuova CNN”. Più recentemente, invece, Smith ha previsto un imminente bagno di sangue nell’industria dei media e, la recentemente, Vice News ha tagliato 15 posti di lavoro negli Usa e 5 nei suoi uffici di Londra, inclusi i corrispondenti esteri Harriet Salem e John Beck.

Settimane prima, Pete Cashmore, fondatore di Mashable, l’autoproclamatasi “voce della cultura digitale”, ha tagliato a sua volta circa 30 posti nella sua redazione, nonostante abbia recentemente raccolto 15 milioni di dollari in nuovi finanziamenti. Ai giornalisti è stato detto che il sito si stava spostando dalle hard news alla cultura dell’intrattenimento digitale. Una giornalista di Mashable, Nadia Oertelt, – come altri digital journalist recentemente tagliati fuori – ha dato sfogo al suo malumore su Twitter: “Lol abbandonata in Ohio e non posso nemmeno accedere alla mia mail per avere informazioni sul mio volo e tornare indietro a liberare la mia scrivania. Grazie!”.

Le notizie online ora sono più vulnerabili alle azioni per diffamazione?
Intanto Gawker Media, fondata nel 2003 dall’ex giornalista del Financial Times Nick Denton, e proprietario di alcuni siti come Gizmodo e Jezebel, sta vacillando di fronte a una scarica di azioni legali, avendo già perso un processo contro Hulk Hogan, in cui l’ex wrestler è stato risarcito di 140 milioni di dollari per invasione della privacy. Paul Lashmar, docente di giornalismo alla University of Sassex e co-autore di Online Journalism: The Essential Guide, sostiene che, anche se Gawker sia conosciuto per il gossip, gli attacchi legali su di esso “potrebbero avere un serio impatto anche sulle hard news”. La notizia di qualche giorno fa è che Gawker Media ha dichiarato bancarotta.

Persino BuzzFeed, verosimilmente il sito di news solo online di maggior successo, ha recentemente sperimentato cattiva stampa, dopo che il Financial Times ha dato notizia di come la testata avesse fallito nel raggiungere gli obiettivi finanziari interni per il 2015. La CNN, invece, ha riportato come questo calo degli introiti significherebbe di conseguenza un suo spostamento verso il settore più lucrativo dell’intrattenimento. Mentre BuzzFeed nega con forza, questa sembra essere, invece, la strategia scelta da Mashable.

Può una semplice ristrutturazione risolvere i grandi problemi?
Vice News, nel suo avanzare in televisione, sembra richiedere ora giornalisti multimediali capaci di lavorare in video. Paul Bradshaw, Professore di giornalismo online alla Birmingham City University, ha però un punto di vista meno preoccupato sulle recenti turbolenze del settore. Bradshaw identifica la questione in un allontanamento dal bisogno di riportare notizie di routine quotidiana che sono già trattate dalle imprese mediatiche dovunque e generano pochi guadagni dalle inserzioni: “molto di questa agitazione sembra una ristrutturazione dell’industria”, afferma, “si vedono certo metà delle redazioni lasciate a casa, ma c’è ancora un interesse per contenuti unici ed esclusivi”.

L’attuale passaggio verso la televisione e il live video
Questo è un settore giovane e flessibile che sta ancora cercando la sua strada, sostiene Bradshaw: “tutti stanno svoltando e risvoltando e ogni sei mesi c’è un cambiamento. L’attuale spostamento è verso la televisione e il live video. È difficile sapere quanto a lungo rimarrà così”. Lashmar sostiene invece che gli inserzionisti non avrebbero l’impressione che gli utenti online abbiano con questi siti la stessa “affinità” che i lettori hanno avuto tradizionalmente con i giornali cartacei. Peter Jukes crede invece che Google e Facebook offrano ai brand una segmentazione dell’audience di gran lunga migliore.

Il pubblico preferisce i news brand tradizionali per il breaking news – sondaggio
Tomorrow’s News, un sondaggio pubblicato recentemente da Reuters, ha riscontrato come per il 62% dei partecipanti di tutte le età non avrebbe pagato per le notizie, anche se esclusive e di alta qualità. Piuttosto fiduciosamente, invece, il 58% dei millennials si aspetta di veder crescere il proprio consumo di news in futuro. La maggior parte (90%) ha infine sostenuto di consultare i news brand di cui si fida per verificare la fonte di una breaking news.

Jeff Perkins, responsabile delle attività commerciali in Europa, Medio Oriente e Africa per Reuters, ha commentato i risultati del sondaggio facendo notare come i lettori più giovani abbiano le stesse probabilità di quelli più vecchi di rivolgersi ai news brand tradizionali per le maggiori breaking news: “i risultati stanno dicendo che le testate solo online non possono saltare in quel settore delle news e aspettarsi di avere la stessa credibilità di un’organizzazione che ha fatto lo stesso per 165 anni”. Siamo ancora agli albori del mercato delle notizie online, ma costruire la nuova CNN potrebbe non essere così facile.

Articolo tradotto dall’originale inglese da Giulia Quarta

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