La rivoluzione mediatica dell’Afghanistan

12 Marzo 2021 • Media e Politica, Più recenti • by

Negli ultimi anni, il sistema mediatico afghano è cambiato rapidamente, diventando sempre più progressista. Ma questo è sufficiente per cambiare anche la società? Dal 1996 al 2001, l’Afghanistan è stato un paese senza immagini. Quando i talebani hanno preso il controllo della capitale Kabul nel 1996, infatti, quasi tutti i mass media sono stati etichettati come “anti-islamici” e vietati, e il flusso di informazioni è stato monopolizzato dal governo e dallo stato.

Dopo il rovesciamento del regime talebano avvenuto nel 2001, il sistema mediatico afghano ha però ricominciato a fiorire. La convinzione che i mass media orientati al mercato avrebbero accelerato lo sviluppo della democrazia stava prendendo piede in quel momento e gli Stati Uniti stavano facendo investimenti significativi nelle imprese private. Di conseguenza, il settore delle comunicazioni è stato ampiamente deregolamentato.

Nel 2018, l’Afghanistan vantava 96 stazioni tv, 190 radio e 231 giornali, 26 dei quali erano quotidiani. L’accesso e l’utilizzo di Internet sono aumentati rapidamente con circa 9-10 milioni di persone che navigavano in rete. Oggi, il paese ha una struttura di comunicazione ibrida composta da media privati-commerciali (nazionali, locali, etnici, religiosi e politici) e altri controllati dal governo.

Una voce per i gruppi emarginati
Con oltre 35 milioni di abitanti, l’Afghanistan è molto diversificato dal punto di vista etnico e culturale. Gli esperti, come il politologo e storico italiano Günther Pallaver, hanno sottolineato il potere dei media nel sfidare i pregiudizi, ridurre le tensioni etniche e sostenere la costruzione della pace. In Afghanistan, gli organi di informazione hanno svolto un ruolo importante nello sviluppo di una “identità condivisa” che potrebbe essere utilizzata per promuovere la coesione sociale. I mass media sono stati anche determinanti nella creazione di uno spazio pubblico in cui può avvenire la comunicazione sulla “costituzione e sopravvivenza della società”.

Il pluralismo dei media in Afghanistan dopo il 2001 ha certamente contribuito alla creazione di una società più aperta. Oltre a rappresentare la diversità del paese, il pluralismo ha anche aiutato le minoranze e i gruppi emarginati ad avere voce e ad aumentare la consapevolezza attorno ai problemi che li riguardano. Le piattaforme digitali hanno svolto un ruolo fondamentale in questo processo: il giornalista afghano Ali Seerat, ad esempio, descrive ciò che è accaduto nel paese come una “rivoluzione dei media online” che ha cambiato nel profondo la struttura della comunicazione della società afghana.

Il megafono dei social media
Circa il 20% della popolazione afghana utilizza oggi i social media. Si tratta per lo più di persone giovani, residenti in contesti urbani e ben istruite. I social media sono anche la piattaforma scelta da molti gruppi emarginati, comprese donne, minoranze etniche e adolescenti, per evidenziare le loro preoccupazioni e spingere per il cambiamento. Ad esempio, il numero di donne che comunicano online è aumentato rapidamente negli ultimi anni.

Oggi le donne utilizzano piattaforme come Twitter e Facebook per aprire un discorso su argomenti come il femminismo e la parità di genere. Ad esempio, la cantante e attivista Aryana Sayeed parla oggi a un pubblico virtuale di oltre 500mila persone, mentre la politica Fawzia Kofi, nominata per il Premio Nobel per la pace nel 2020, raggiunge oltre 400mila persone su Twitter.

Senza dubbio, i social media sono stati determinanti per il rafforzamento dei movimenti di protesta in Afghanistan. Il “Movimento Tabassum” del 2015, il “Movimento dell’Illuminismo” del 2016 e il “Movimento per il cambiamento” del 2017, tutti organizzati attraverso i social media, hanno mobilitato centinaia di migliaia di persone. Inoltre, i social media hanno anche permesso alla diaspora afgana di connettersi e di prendere parte a campagne di attivismo internazionali. Questi nuovi comunicatori digitali hanno superato le barriere dei confini e si sono distaccati dai tradizionali meccanismi di controllo in Afghanistan, assumendo i tratti di una vera diaspora globale.

Nel giugno 2020, ad esempio, gli afgani che vivono in tutto il mondo hanno organizzato una protesta di massa online con gli hashtag #AfghanLivesMatter e #IAmBurning. Le manifestazioni in tutto il mondo chiedevano giustizia per i migranti e rifugiati afgani in Iran e in altri paesi. Un altro fenomeno è quello degli influencer afgani, alcuni con una reach globale. Haniyeh Mazari, ad esempio, ha diverse migliaia di follower. Ha 18 anni, vive a Monaco e intraprende discussioni importanti con gli afgani, in tutto il mondo, sul ruolo delle donne nella società.

L’influencer Qari Isa di Francoforte, invece, tiene dibattiti in streaming live su YouTube con i talebani che si trovano in Afghanistan in connessione tramite telefono cellulare. Centinaia di migliaia di persone seguono regolarmente queste discussioni e si uniscono alle conversazioni online. Secondo Wazhmah Osman, ricercatore americano di comunicazione di origine afgana, i mass media hanno reso possibili dibattiti fondamentali sui diritti delle donne, la democrazia, la modernità e l’Islam.

Cambiamento sociale
Questa ritrovata comunicazione aperta ripristina anche la speranza di mantenere e persino accelerare il cambiamento sociale nel paese. Allo stesso tempo, però, rende visibili anche le tensioni sociali tra le diverse etnie, ma questo può essere anche considerato come un segno positivo di progresso. Le discussioni pubbliche, i dibattiti e la negoziazione di tali conflitti è un’espressione della coesione dei diversi gruppi sociali del paese.

Certamente, questo pubblico partecipativo in evoluzione consente una conversazione più aperta e accessibile sulla costituzione e sul mantenimento della società, che non è solo per le élite. Lo sviluppo di queste strutture di comunicazione è un momento fondamentale nella storia dell’Afghanistan, perché non solo sfida lo status del paese di “società tribale chiusa e introversa”, ma facilita anche un cambiamento sociale continuo e sostenibile.

Articolo tradotto dall’originale inglese

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