Autocritiche della stampa, per non morire

16 Dicembre 2006 • Digitale, Etica e Qualità • by

Il Corriere del Ticino, 16.12.2006

Sorpresa, anche i giornali italiani sco­prono l’etica, almeno in parte. Fino a qualche tempo fa quando un quotidia­no pubblicava inesattezze, anche con gran­de enfasi, prevaleva la tendenza a sorvola­re o a minimizzare con rettifiche affogate nel­le pagine interne. Da qualche tempo, inve­ce, più di una testata dimostra la volontà di «lavare i panni sporchi» pubblicamente.

Il caso più clamoroso riguarda la recente stra­ge di Erba, che è costata la vita a quattro persone. Martedì mattina i giornali sono usci­ti indicando già il colpevole: il marito tunisino, da poco liberato grazie all’indulto, tal­volta, come La Repubblica, con titoli peren­tori: «Uccide e brucia tre donne e il figlio» o «Caccia all’omicida tunisino». Ma dopo 24 ore si è scoperto che il maghrebino non c’en­trava nulla, perché era da venti giorni nel Paese natale. E qualcuno ha sentito il dove­re di rettificare.Il Corriere della Sera, ad esempio, con un editoriale intitolato «Quel tiro all’indulto» ha biasimato «la facilità con cui tutti i telegiornali e i giornali, compreso il nostro, hanno accolto la tesi della colpevolezza del tunisino». Il Giornale ha pubbli­cato un editoriale molto duro contro i me­dia, ma anche contro i magistrati che dichia­ravano «di aver già individuato il suo fur­gone » e di sapere «in quale zona si è diretto per la fuga». L’Unità che, con il quotidiano cattolico Avvenire, è stato uno dei pochi gior­nali a non strillare le accuse, ha parlato di «orrori di stampa».

Sempre il Giornale mer­coledì ha pubblicato in prima pagina la pro­testa di una lettrice, turbata dalla pubblicazione della foto di tre bambini uccisi a Ga­za, con le scuse del direttore Belpietro, il qua­le, peraltro, poche settimane fa aveva retti­ficato l’errore in cui era incappata la reda­zione romana che aveva attribuito al mini­stro Livia Turco un progetto di legge per le­galizzare l’eutanasia che invece era stato pre­sentato dal deputato Maurizio Turco.

Sembra esserci, insomma, un insolito rispetto nei confronti del lettore e per una volta senza distinzioni ideologiche: destra, sinistra, cen­tro, uniti nell’autocritica o perlomeno nella critica. Ben venga la svolta. Già, ma perché proprio ora? Qualcuno pensa che sia meri­to di internet e dei blog, i siti individuali, im­placabili nel cogliere in fallo i media. E l’ipo­tesi appare verosimile: la stampa tradizio­nale ha perso il monopolio dell’informazio­ne e ora si scopre costretta a essere più pro­fessionale e soprattutto credibile per mante­nere rispettabilità e dunque il proprio pub­blico, sempre più sedotto dalla Rete, come dimostra il calo sia dell’audience televisiva, sia delle tirature dei giornali. La barra è im­provvisamente più alta: occorre essere diver­si e soprattutto migliori. O si muore.

Il feno­meno riguarda tutti i Paesi occidentali, in­clusa la Svizzera, dove aumentano le rifles­sioni. Tra queste l’ultima, perlomeno in Ti­cino, è di Edy Salmina, direttore della Rete 1 della Radio svizzera di lingua italiana, con un accurato saggio sul «risk management pubblicistico, controllo della qualità e orga­nizzazione dei media», pubblicato nel recen­te volume « Diritto senza devianza», dedica­to al costituzionalista Marco Borghi. Salmi­na sostiene che la sentenza del Tribunale fe­derale sull’applicazione dell’articolo 322 del codice penale sulla responsabilità dei media introduca importanti novità, ma non sia esaustiva per una ragione in fondo sempli­ce: la libertà di stampa oggi va «delineata all’interno di una relazione, necessariamen­te complessa, di convivenza-sinergia-concor­renza, fra varie libertà e molteplici diritti, ognuno portatore di una sua legittimità». Ovvero: gli schemi del passato non valgono più e i media devono imparare a interagire in modo più dinamico e responsabile con la società. Il direttore della Rete 1 auspica che si apra un vero dibattito su un tema tanto importante. La stampa italiana un primo passo lo ha fatto. Ed è quasi un miracolo, considerate le consuetudini del Belpaese.

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