Come si percepiscono i giornalisti e gli esperti di pubbliche relazioni? E in relazione tra di loro? Per rispondere a queste domande, Thomas Koch, Magdalena Obermaier e Claudia Riesmeyer, ricercatori presso l’Università di Monaco, hanno presentato all’ultima conferenza ECREA a Lisbona uno studio che analizza entrambe le professioni nell’ambiente di lingua tedesca. Quello che hanno scoperto non è forse particolarmente sorprendente, ma, in ogni caso, stupisce comunque leggere quanto le percezioni delle due parti si differenzino, risultati alla mano.
Solo un quarto dei giornalisti interpellati, infatti, definisce “stretta” – e solo appena il 40% la ritiene invece “confidenziale” – la relazione con i colleghi delle pubbliche relazioni, i quali, però, la descrivono in questi termini con quasi il doppio delle cifre. Circa il 50% degli esperti di PR crede infatti (probabilmente in modo abbastanza realistico) di avere una forte influenza sul lavoro giornalistico, ma solo il 20% dei giornalisti è pronto a riconoscerlo e neanche un terzo di loro si è concesso di dire che il suo lavoro sarebbe “più difficile” senza la fornitura di informazioni garantita dalle PR, mentre questa percezione è stata invece confermata da due terzi dei professionisti nelle pubbliche relazioni.
Il divario nelle risposte fornite è invece massimo in relazione alla domanda sulle modalità in cui viene esercitata questa influenza: il 90% di chi lavora nelle PR crede che questo avvenga “con argomentazioni“, ma solo il 20% dei giornalisti sostiene la medesima cosa. Al contrario, un terzo dei giornalisti ritiene che l’influenza abbia origine “con annunci”, ma meno del 20% dei rappresentanti delle PR sostiene la medesima posizione.
Al dibattito su questi temi si aggancia anche il nuovo libro pubblicato dall’ex responsabile della comunicazione di Porsche, Anton Hunger, forse uno degli esperti di lingua tedesca più autorevole del settore delle pubbliche relazioni e della sua influenza sul giornalismo, temi di cui si occupa da anni nella sua rubrica per la rivista Medium Magazin.
“La croce del lavoro di public relations”, scrive Hunger, sarebbe – e questo si conferma con i nuovi risultati ottenuti dall’Università di Monaco – che a “coloro che contattano addetti stampa per lavoro” non piacciono per niente i tentativi di condizionamento. “Poiché essi sono gli eroi del quarto potere e sottostanno al delirio di un’educazione senza pregiudizi, ma ignorano deliberatamente la loro stessa autoesaltazione di questo mestiere”, scrive Hunger.
Stando a quanto sostiene Hunger, al contrario, gli addetti stampa avrebbero “anch’essi un mandato pubblico” e “devono comunicare cifre rosse tanto quanto quelle nere, disdette come nuove assunzioni, sconfitte come successi” e il loro “cospicuo salario” sarebbe guadagnato però “affinché apportino ulteriore prestigio al loro datore di lavoro” e “strumentalizzino l’orda mediatica”.
Non esiste oggettivamente un modo più sfacciato e divertente per esprimere questi concetti, anche se Hunger definisce con sorprendente schiettezza i limiti delle pubbliche relazioni in situazioni di crisi. Secondo Hunger, infatti, chi finisse anche solo una volta vittima di scandalo da parte dei media sarebbe destinato a non essere salvabile: “il sospettato è nudo, lo spioncino della peepshow è aperto e lo spin doctor che dovrebbe proteggerlo è una tigre senza denti”, scrive Hunger a questo proposito.
Geri Müller e l’ex presidente della Banca Nazionale svizzera Philipp Hildebrand l’hanno sperimentato sulla propria pelle di recente, come già l’ex presidente tedesco Christian Wulff, il meteorologo televisivo Jörg Kachelmann e l’ex presidente dell’FC Bayern Uli Hoeness. Solo per citare esempi dell’area di lingua tedesca.
Hunger però la spara anche un po’ grossa, ad esempio quando cita a forfait le persone che lavorano nelle pubbliche relazioni come spin doctor, per poi dire che non bisognerebbe porre loro domande “riguardo alla morale delle loro azioni”, cosa che però per lui sarebbe poco importante, poiché, ad esempio, “è immorale anche il comportamento delle agenzie di rating e delle banche”. Oppure quando dichiara superflua la rivelazione di chi finanzia costosi viaggi di giornalisti, perché giornalisti “corrompibili” sono corrotti in ogni caso, “con o senza regole di trasparenza”.
Il segreto di Hunger rimane inoltre come lui possa occuparsi da anni di questo tema senza mai prendere in considerazione dei dati scientifici. Peccato, in realtà. Agli studiosi di giornalismo e di pubbliche relazioni farebbe bene ricevere, di tanto in tanto, un commento pepato ai loro risultati, da un “pro” del settore PR che ha scalato la scala del successo del suo mestiere non da ultimo perché ha conosciuto anche “l’altra parte” del business, grazie ai suoi contatti e alla sua esperienza lavorativa in campo giornalistico.
D’altro canto, però, non farebbe male a esperti come Hunger fare ogni tanto una gita nell’universo parallelo della ricerca. Là sarebbero costretti a confrontarsi con un linguaggio forse più scadente, ma ci troverebbero, disponibili a essere raccolte “privatissime et gratis”, alcune ulteriori conoscenze e nozioni sulla difficile e antagonistica relazione tra i due mestieri all’interno dell’economia dell’attenzione.
Thomas Koch, Magdalena Obermaier, & Claudia Riesmeyer: Friend or Foe or In-between? A Quantitative Survey on the Relationship between Journalists and Public Relations Practitioners in Germany, Presentation, Lisbon: ECREA Conference, Nov. 2014
Anton Hunger, Die Wahrheit liegt auf dem Platz. Journalisten und PR-Leute inszenieren gemeinsam die mediale Welt – auch wenn sie ihre gegenseitige Abneigung lustvoll pflegen, Salzburg: Edition Oberauer, 2014
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