Come le notizie in Bielorussia rimangono positive
Qualche settimana fa la Sovetskaya Belarussia – il più diffuso quotidiano bielorusso – annunciava un glorioso incremento del 9,8% del PIL nazionale da gennaio e il livello record di 20 miliardi di dollari toccato nelle esportazioni nel corso dei precedenti sette mesi. Un report generoso, per essere cortesi. La storia successiva del giornale seguiva invece nel dettaglio la ristrutturazione degli sportelli bancomat nel paese, pensata per aiutare i cittadini portatori di handicap che faticano a prelevare i soldi. Ovviamente non perché il valore della moneta nazionale sia intanto precipitato, ma per la sconvenienza di armeggiare con una tastiera apposita per prelevare.
Il giornalista Tom Balmforth, descrivendo i bielorussi come “una popolazione affamata di notizie credibili in mezzo al mare della propaganda sostenuta dallo stato”, usa le cronache della Sovetskaya Belarussia per mettere in luce il sempre più ampio divario tra le notizie fornite dai media controllati dallo stato e i bisogni di informazione di una nazione in profonda crisi economica. Balmforth si dice inoltre convinto di come i media generosamente sponsorizzati dallo stato si siano sempre più distanziati dalla realtà dei fatti della vita di tutti i giorni.
L’offensiva dei resoconti “ufficiali” drammaticamente divergenti dalla realtà è cosa comune e non limitata di certo ai soli paesi dell’Est. A proposito il caso delle famose “Armi di distruzione di massa” come giustificazione dell’intervento militare in Iraq dovrebbe essere familiare. Consultando l’edizione del 2010 del Press Freedom Index, dove la Bielorussia è al 154 posto su 178 Paesi, la questione diventa particolarmente urgente: la Bielorussia è in poche parole il Water world della libertà di stampa. Di per sé forse non si tratta dello scenario peggiore possibile, ma sicuramente è preoccupante. Come testamento rimane il titolo di prédateur insignito da Reporter Senza Frontiere al presidente autoritario Alexander Lukashenko insieme a un elite di altri repressivi mascalzoni: Lukashenko si è meritato l’onore del premio dopo la sua controversa “rielezione” del 19 dicembre 2010, in occasione della quale un gran numero di giornalisti che avevano seguito l’evento furono arrestati e picchiati dalla polizia. La violenza fisica è sicuramente sintomo di severità in Bielorussia, ma spesso non finisce qui: lo scorso luglio un buon numero di popolari canzoni russe con tinte dissidenti sono state vietate dalle frequenze nel mezzo delle proteste contro il regime di Lukashenko. Stando a Reporter Senza Frontiere “Il monopolio di stato di tutta la stampa e dei network di distribuzione (in Bielorussia) tiene conto dell’inasprimento delle pene contro i giornalisti che cercano di causare guai. I selettivi gradi di imputazione costringono molti organi di stampa stranieri e i loro corrispondenti locali a lavorare illegalmente, rendendoli ancora più vulnerabili. Più che mai, l’unica soluzione è operare in clandestinità, tornando ai “samizdats” dell’epoca sovietica, quando il materiale vietato veniva copiato e distribuito clandestinamente.
I media controllati dallo stato in Bielorussia vorrebbero operare come un raggio di sole su quello che al contrario potrebbe apparire come uno scenario fosco e di crisi. Ma i bielorussi ci cascano veramente?
Riferendosi ancora a Balmforth, la risposta sembrerebbe essere no. In un suo recente articolo, pubblicato da Radio Free Europe, il giornalista americano spiega come i troppo accondiscendenti media controllati dallo stato abbiano spinto la popolazione verso altre fonti di informazione alternative. “Più la crisi si aggrava”, scrive Balmforth, “più si è assistito a una crescente domanda di giornali a bassa circolazione e di siti di news prodotti dall’infaticabile, e assediata, stampa indipendente e di opposizione.
Per altre informazioni alternative su Afganistan, Armenia, Azerbaigian, i Balcani, Bielorussia, Georgia, Iran, Iraq, Kazakistan, Kirghizistan, Moldavia, Ciscaucasia, Pakistan, Russia, Tagikistan, Tatar-Bashkir, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan, si può leggere Radio Free Europe/Radio Liberty, dove i giornalisti forniscono reportage completi quando la libera stampa è proibita dai governi o non ancora completamente attuata.
Traduzione dall’originale “Outlook (usually) Good in State-Run Media” a cura di Philip Di Salvo
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