La prima visita del presidente degli Stati Uniti Barack Obama in Kenya nel 2015 ha fatto notizia in tutto il mondo. Mentre le linee di contorno e le immagini televisive rappresentavano i giornalisti dei principali media internazionali, centinaia di giornalisti kenioti hanno agito nell’ombra, assistendo i loro colleghi stranieri, traducendo per loro, organizzando e aiutandoli ad orientarsi. Ma non appaiono quasi mai, né i loro nomi sono stampati, né i loro volti sono visti in televisione. Nel suo ultimo libro The Fixers: Local News Workers and the Underground Labor of International Reporting (Oxford University Press, 2019), la ricercatrice americana Lindsay Palmer esamina le condizioni di lavoro dei “fixer”.
I fixer sono attori dei media locali che vengono assunti dai giornalisti come traduttori, guide e per vari lavori di supporto. A differenza dei “stringer”, i cui nomi sono occasionalmente citati, che a volte sono co-autori o co-produttori di lavori giornalistici, e a volte lavorano sotto contratto con aziende di media, i “fixer” sono coinvolti nella preparazione di un articolo giornalistico, ma non nel processo di scrittura o di produzione. Essi occupano uno dei ranghi più bassi nella gerarchia del mondo dell’informazione internazionale e il loro ruolo è stato finora trascurato anche dalla ricerca sul giornalismo, dice Palmer. Il suo libro si concentra sulle prospettive dei fixer, le cui esperienze, nonostante le differenze regionali, mostrano punti in comune in tutto il mondo. Il suo studio si basa su interviste a 75 fixer di 39 paesi e utilizza i concetti della teoria postcoloniale, dell’etica globale dei media e degli studi critici globali.
L’attenzione del libro si concentra sulle narrazioni produttive dei fixer – le loro condizioni di lavoro, le loro percezioni del ruolo e ciò che rivelano sulle strutture dell’industria dell’informazione internazionale e sull’interdipendenza tra il locale e il globale. La struttura del libro segue direttamente il lavoro dei fixer: inizia con la definizione (o le definizioni) del loro lavoro, si occupa dei diversi ruoli e compiti dei fixer e termina dove finisce il lavoro dei fixer, all’interno della produzione di notizie, ovvero con la redazione e la pubblicazione di articoli giornalistici.
Dalle risposte degli intervistati, Palmer evidenzia cinque compiti e ruoli principali dei fixer (ciascuno spiegato in un capitolo del libro):
1) Concettualizzare la storia
2) Navigazione nella Logistica
3) Collegamento in rete con le fonti
4) Interpretariato di lingue sconosciute
5) Salvaguardare il giornalista
Palmer mette sempre in evidenza il potenziale conflittuale del rispettivo ruolo. Secondo i fixer, le tensioni sorgono, ad esempio, quando un giornalista entra in campo con un’idea di storia preconcetta e non vuole essere dissuaso da idee stereotipate; quando il giornalista si comporta in modo inappropriato con le fonti; o quando un corrispondente non segue i consigli del fixer e quindi potrebbe mettere in pericolo entrambi – dato che il fixer, a differenza del corrispondente, di solito non può lasciare il sito e quindi rimane esposto a un pericolo maggiore.
Strutture di potenza e ambiguità
Le strutture di potere in cui i fixer e i corrispondenti o altri giornalisti lavorano a stretto contatto sono un punto focale del libro di Palmer. Spesso, ma non sempre, i fixer lavorano in contesti post-coloniali. Le strutture di potere geopolitiche o di mercato che si riflettono nell’organizzazione del mondo dei media globali influenzano anche il rapporto tra reporter e fixer. Così, sono spesso gli interessi dei reporter o delle principali aziende mediatiche a decidere la scelta degli argomenti e l’inquadramento di una storia.
Allo stesso tempo, però, la loro competenza locale conferisce ai fixer un’autorità che li rende indispensabili per la produzione di notizie e conferisce loro influenza. Un fixer può garantire a un reporter l’accesso ad aspetti poco trattati di un argomento, o può contribuire a una problematica semplificazione della presentazione, se segue le tendenze e il mainstream.
Sulla base delle interviste contenute nel libro, si può concludere che i fixer percepiscono il loro ruolo prevalentemente come performativo, come un attivo “tradurre”, “interpretare” in senso più ampio tra culture, lingue e condizioni locali. Lavorano quindi nel punto di contatto tra il locale e il globale e nel campo della tensione tra comprensione e incomprensione, collegamento e separazione. In questo modo, contribuiscono alla produzione della cultura e alla sua mediatizzazione, nel senso di Stuart Hall. Palmer si riferisce anche alle prospettive storiche sui ruoli dei traduttori e delle persone ai confini tra le culture che si sono formate in epoca coloniale.
Il locale e il globale
Il confronto e la cooperazione di un gruppo mediatico globale con le realtà locali ha un grande potenziale di produttività, dice Palmer nel suo libro. D’altra parte, la discriminazione razziale o etnica e le riduzioni riportate dai fixer possono avere un impatto significativo non solo sul rapporto tra giornalisti e fixer, ma anche sui contenuti dei media. Qui Palmer segue la prospettiva dei critical global studies, che, invece di assumere la neutralità dei ricercatori, denuncia le disuguaglianze e le ingiustizie. Contrasta il sistema capitalistico delle aziende mediatiche con il potenziale creativo delle differenze culturali.
Non solo nel Sud del mondo, ma anche in Europa e negli Stati Uniti, i reporter si avvalgono dei servizi dei fixer, e a volte ciò avviene all’interno di un singolo paese. Eppure il rapporto nel news fixing è spesso interpretato come una mera giustapposizione binaria tra il globale e il locale – un presupposto che Palmer mette in discussione. Palmer sottolinea invece ripetutamente come la giustapposizione del fixer locale da un lato all’azienda mediatica globale dall’altro non può descrivere adeguatamente la complessità di queste collaborazioni, poiché i fixer non sempre operano a livello locale, ma spesso hanno essi stessi un’esperienza internazionale, e i corrispondenti portano anche la loro impronta locale nel lavoro. In conclusione, il globale e il locale si fondono e si costituiscono a vicenda.
Capire i ruoli – a chi appartiene il testo?
Dal momento che un fixer, a differenza di uno “stringer”, non scrive e non produce, si pone la questione di dove finisca il news fixing? A che punto il fixer abbandona la responsabilità e lascia a qualcun altro (al giornalista) la storia in cui ha investito tanta pianificazione, lavoro e competenza? Secondo Palmer, alcuni fixer lavorano attivamente per “cancellarsi” da una storia dopo averla studiata, tagliando ogni legame tra la loro persona e il prodotto giornalistico. Chi “possiede”, quindi, la storia?
Alcuni fixer hanno dichiarato che considerano il loro ruolo finito quando vengono pagati, che non si vedono come giornalisti, o addirittura che sono sollevati di avere meno responsabilità per il prodotto rispetto alla persona che lo scrive. Altri, invece, hanno sottolineato quanto fosse importante per loro essere coinvolti nella costruzione della storia ed essere apprezzati di conseguenza. Quanto sono chiaramente definiti in anticipo questi ruoli? Un altro punto controverso è il fatto che i fixer compaiono raramente negli scritti degli autori: Per alcuni fixer questo può essere irrilevante o può addirittura contribuire a garantire la loro sicurezza e significare un minore onere di responsabilità, soprattutto in contesti con limitata libertà di stampa. Per altri, invece, significa che sono resi invisibili, rendendo loro difficile costruire un portfolio professionale e negando loro la proprietà della storia.
Anche l’aspetto economico del news fixing ha un potenziale di conflitto. Mentre alcuni fixer sostengono di guadagnare più dei giornalisti locali che lavorano nella stessa regione, altri riferiscono problemi dovuti ai diversi sistemi finanziari dei paesi delle società di media e dei loro, alla mancanza di comprensione della situazione finanziaria dei fixer o a idee irrealistiche sui costi e alla mancanza di comunicazione.
Lo studio completo di Lindsay Palmer offre una visione importante di un’area del giornalismo internazionale che raramente viene messa a fuoco e fornisce la prospettiva di un gruppo di attori dei media tanto emarginati quanto significativi. Lo fa con una solida struttura teorica interdisciplinare che combina i concetti del giornalismo e degli studi sui media con le classificazioni e le richieste degli studi culturali, in particolare la teoria postcoloniale, e gli studi critici globali.
Palmer evidenzia in modo molto convincente le ambiguità, le zone d’ombra e le tensioni che caratterizzano il tema dell’attualità, soprattutto nella cooperazione interculturale, e mostra quali domande e possibilità d’azione ne derivano nella pratica. Al centro del libro c’è l’ascolto: le storie e le esperienze dei fixer di diverse regioni del mondo, riflesse nelle loro stesse parole in numerose citazioni.
Palmer, Lindsay: The Fixers. Local News Workers and the Underground Labor of International Reporting. Oxford University Press, 2019
Articolo pubblicato originariamente in tedesco, traduzione dall’inglese a cura di Antonio Nucci
Tags:fixer, giornalismo di guerra, sicurezza, zone di conflitto