Le persone anziane vengono discriminate dai media? Le risposte a questa domanda sono di varia natura e il volume “Screening Age”, recentemente pubblicato da Clemens Schwendener della Hochschule der Kunste di Berlino e Dagmar Hoffmann, insieme a Wolfgang Reissmann, entrambi dell’Università di Siegen, cerca di darne alcune.
Complessivamente, si potrebbe affermare che il vecchio stereotipo, che vedeva nella terza età un periodo di ridotte possibilità o addirittura di perdita dell’autosufficienza, è stato sostituito da uno totalmente nuovo, quello composto da immagini di persone anziane “attive, di piacevole aspetto, gioiose e prestanti”, sia nella pubblicità che nei contenuti redazionali dei vari media.
Questa impostazione dovrebbe conseguentemente corrispondere, almeno in parte, a una nuova realtà di vita, ma in verità è soprattutto un’esagerazione da parte dei media: le persone tra i 65 e gli 85 anni, infatti, sono oggigiorno più attive rispetto alle generazioni precedenti, come dimostra anche una serie di interviste realizzate dal ricercatore York Kautt dell’Università Giessen – comprese in “Screening Age” – dove si può leggere come la metà delle persone interpellate affermi di sentirsi circa nove anni più giovane di quanto sostenga invece l’anagrafe. Inoltre, gli anziani sono diventati un gruppo interessante anche per il settore della pubblicità, specialmente in paese ad alto reddito. Ma una conseguenza dell’attenzione andatasi a creare verso questi “giovani anziani” è che dei “veri anziani” e dei loro problemi come la fragilità, la malattia e la morte, si parla a malapena, come sostiene lo stesso Kautt nel suo studio. I media, tradizionalmente, offrono ciò che il pubblico chiede, anche in questo senso. Pertanto, sostiene ancora il ricercatore tedesco, gli aspetti negativi della vecchiaia vengono sottaciuti o repressi dagli organi di stampa e anche i dati scientifici su argomenti come il fine vita, ormai, sono datati o sorpassati.
Nei media si parla quindi molto poco degli anziani in età avanzata, sebbene gli editori del volume sottolineino che “la rivoluzione demografica nella società è cosi avanzata da essere percepita in molti settori della vita quotidiana, oltre che a essere sotto gli occhi di tutti”, come sostiene ancora Kautt, il quale fa notare come le donne in età avanzata, soprattutto, siano totalmente assenti dalla copertura degli organi di informazione. Si può vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, a seconda di come si voglia affrontare la questione: in fondo, la maggioranza degli autori del volume è composta da giovani ricercatori dell’ultima generazione che si sono presi a cuore questo importante tema da diverse prospettive e punti di vista.
Inoltre, bisogna far notare come nel volume non siano stati analizzati non solo l’informazione, ma anche la rappresentazione della vecchiaia nella pubblicità, i forum sul web che si occupano in particolare delle problematiche legate all’età anagrafica, la differenza tra l’immagine che danno i media e quella che gli anziani cercano di dare di sé, come per esempio i musicisti rock invecchiati e, sconfinando dal tema del volume, l’importanza, in età avanzata, della musica popolare di intrattenimento. In questo nuovo ambito di ricerca rimane comunque molto da fare per ricomporre importanti risultati di ricerca, sebben in parte bizzarri, in un’immagine coerente.
Clemens Schwendener/Dagmar Hoffmann/Wolfgang Reissmann (Hrsg.): Screening Age. Medienbilder – Stereotype – Altersdiskriminierung, Kopaed-Verlag, München, 2013
Articolo pubblicato originariamente sulla Neue Zürcher Zeitung il 25/03/2014, traduzione a cura di Alessandra Filippi
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