Dopo l’annuncio di Julian Assange pronto a lanciarsi nella carriera di anchorman, che suonava più come una disperata ricerca di nuova visibilità che un effettivo progetto editoriale, la piattaforma di whistleblowing è tornata sul campo d’elezione: la pubblicazione di documenti riservati. Circa 5 milioni di mail dei dipendenti dell’azienda privata di intelligence Stratfor saranno presto diffuse in Rete da WikiLeaks e dai suoi media partner. Sembrerebbe non esserci niente di nuovo rispetto a quanto Assange e soci hanno già fatto nel 2010 e nel 2011 ma questa volta le differenze ci sono e non sono poche.
Nonostante WikiLeaks non ne abbia fatto menzione diretta – e già questo è significativo – la piattaforma ha un partner privilegiato come fonte dei materiali che andrà a pubblicare: le mail di Stratfor, infatti, sono state sottratte da Anonymous, il collettivo hacker internazionale che lo scorso dicembre mise ko il portale dell’azienda di intelligence, penetrando nei suoi server. A giudicare da quanto dichiarato da un esponente di Anonymous a Wired.com la partnership sarebbe molto solida e pare essere destinata a farsi ancora più stretta in futuro. Si tratterebbe di una vera joint-venture, con il gruppo di hacker dedito a recuperare i contenuti e gli attivisti della trasparenza pronti a renderlo disponibile su vasta scala. Quasi come un’impresa editoriale.
Per WikiLeaks, soprattutto, si tratta di un cambio di prospettiva di una certa entità; fino ad oggi i whistleblower avevano “passato” contenuti anonimamente consegnati loro da fonti singole che ne avevano diretto accesso. È il caso noto di Bradley Manning, il giovane informatico militare del Pentagono accusato di aver consegnato ad Assange il video di Collateral Murder che ora rischia la pena di morte. WikiLeaks si rivolgeva, nei fatti, a fonti che, nella maggior parte dei casi, avevano accesso a quanto stavano per diffondere, Anonymous, fa qualcosa di diverso: colpisce dall’esterno e viola i sistemi di protezione. In questo modo WikiLeaks non sarebbe più la piattaforma orizzontale di diffusione cui venivano affidate informazioni da fonti anonime, e diventerebbe la voce di un movimento che allo scoop arriva non con indiscrezioni, fughe di notizie o gole profonde ma con incursioni informatiche.
L’accordo tra WikiLeaks e Anonymous è lacunoso e poco chiaro: la prima non ha perso il vecchio vizio di predicare la trasparenza senza mai applicarla a se stessa e i secondi hanno tutto l’interesse a restare nell’ombra ed è difficile indicare quale cellula del gruppo lavori al fianco dei whistleblower. Inoltre, non è stato chiarito a che livello Assange sarebbe coinvolto dato che, impegni televisivi a parte, si trova pur sempre agli arresti domiciliari in Inghilterra. Di sicuro questa nuova evoluzione di WikiLeaks sembra essere figlia dell’intenzione dell’ex hacker australiano di fare della piattaforma un organo di informazione attivo in prima persona, impostazione contestatagli sin dagli inizi dal suo ex sodale Daniel Domscheit-Berg e ragione alla base delle frequenti divisioni interne all’organizzazione. Diventare il megafono delle conquiste di Anonymous non allontana WikiLeaks dai suoi intenti iniziali? D’altra parte la nuova partnership è inedita anche per Anonymous, il cui obiettivo fin qui sembrava essere stato il provare la debolezza delle protezioni informatiche delle istituzioni che andava a colpire, fossero queste la Cia, i siti dei governi o quello, in tempi recentissimi dell’Interpol. Ma le cose sembrano essere cambiate se un rappresentante di Anonymous ha dichiarato, sempre a Wired.com, “spero che questo sia solo l’inizio di una bellissima collaborazione”.
Sarà infine interessante vedere come reagiranno i media nei confronti delle rivelazioni che The Global Intelligence Files porterà inevitabilmente alla loro attenzione. Nell’ultimo periodo, complice anche il taglio ai finanziamenti e la vicenda giudiziaria di Assange, WikiLeaks è scesa di parecchie posizioni nell’agenda dell’informazione internazionale: rispetto al già citato caso del video Collateral Murder o dei cablo diplomatici, l’operazione relativa alle mail di Stratfor ha raccolto un coverage molto meno intenso. Ancora una volta, qualunque sia l’opinione che si può avere su WikiLeaks, le sue iniziative e i suoi metodi, sembra che l’organizzazione in sé riscuota più attenzione delle sue rivelazioni. Uscite di scena le eccentricità di Assange, inoltre, l’interesse verso WikiLeaks parrebbe essere molto sceso, nonostante il potenziale giornalistico delle informazioni in uscita. Basta guardare alle media partnership strette per capire quanto il profilo si sia abbassato: Guardian e New York Times – che a stento ha coperto la notizia nel giorno dell’annuncio dei nuovi leak – si sono chiamati fuori (anche a causa degli attriti con lo stesso Assange) e le altre testate coinvolte in questa occasione sono tutte meno blasonate su un piano internazionale delle precedenti. Le uniche testate americane direttamente coinvolte sono il magazine musicale Rolling Stone e la rivista specializzata in analisi politica McClatchy. WikiLeaks e il whisteblowing fanno ancora notizia? Aspettiamo che eventuali scoop lo rivelino: nel frattempo in alcune mail già rivelate si scopre che quelli di Statfor si dicevano molto interessati ad Assange, tanto da volerlo “waterboarded” o bloccato ad ogni costo, anche con accuse inventate.