Official Secrets Act: silenziare il giornalismo per nascondere gli abusi dell’intelligence

8 Novembre 2021 • In evidenza, Libertà di stampa • by

Il ministro degli Interni britannico, Priti Patel (Andrew Parsons / No 10 Downing Street)

Il governo del Regno Unito ha recentemente presentato alcune proposte di consultazione per rafforzare l’Official Secrets Act, apparentemente al fine di scoraggiare le spie straniere.

Molti avvocati, legislatori e giornalisti ritengono però che le leggi relative ai dati ufficiali e ai segreti necessitano di un aggiornamento, al fine di essere adattate a un mondo in cui lo spionaggio e i leak (fughe di notizie, ndr) avvengono in gran parte  attraverso le nuove tecnologie. A una lettura più attenta, le nuove proposte sembrano però suggerire che l’agenda del governo sia orientata più a dissuadere giornalisti, whistleblower e fonti dal mettere in difficoltà il governo e le agenzie di intelligence.

Le parole “giornalista” e “giornalismo” non compaiono da nessuna parte nel testo principale e “stampa” solo in due occasioni, tuttavia le proposte confondono implicitamente il giornalismo d’inchiesta con lo spionaggio da parte degli attori statali. Inoltre, le proposte raccomandano (circa 38 volte) di perseguire i responsabili di “divulgazioni non autorizzate”, una casistica che includerebbe anche le fonti governative che parlano con i giornalisti – e di aumentare le pene detentive da due a 14 anni.

Il Ministero degli Interni, guidato da Priti Patel, ha respinto le raccomandazioni di una commissione giuridica indipendente e sostenute anche dal giornalismo e dalle organizzazioni legali, secondo le quali qualsiasi riforma in questo ambito dovrebbe includere anche una difesa legale per chi si ritiene agisca nell’interesse pubblico. Questo garantirebbe una certa protezione ai giornalisti e alle loro fonti.

Sono un giornalista investigativo con oltre 40 anni di esperienza nel settore della sicurezza nazionale e il mio libro pubblicato di recente, Spies, Spin and the Fourth Estate, tratta proprio del rapporto tra giornalismo e sicurezza nazionale.

Sebbene sia corretto che le spie straniere vengano perseguite, queste proposte sembrano concepite più per prevenire eventuali imbarazzi per il governo. Esiste infatti una abbondanza di prove storiche che confermano la radicata tendenza del governo del Regno Unito e dei suoi servizi di intelligence a silenziare il giornalismo nel tentativo di coprire le sue azioni illecite. Molte operazioni governative illegali, infatti, sono state smascherate solo grazie alla collaborazione tra whistleblower e giornalismo.

Segreti di governo
Nel Regno Unito esiste una legge dedicata ai segreti ufficiali già dal 1889, rivolta principalmente a spie e funzionari pubblici corrotti. Spinto con insistenza da Vernon Kell dell’allora nuovo Secret Service Bureau (in seguito diviso in MI5 e MI6, nda), il parlamento del Regno Unito approvò un nuovo, onnicomprensivo, Official Secrets Act nel 1911. Fu approvato in un giorno con un dibattito minimo.

Già allora, i giornalisti erano preoccupati per i poteri aggiuntivi che l’atto introduceva rispetto alla sua versione precedente. La Newspaper Proprietors’ Association all’epoca protestò contro le “responsabilità di vasta portata del disegno di legge… nei confronti del pubblico e della stampa”, affermando che le norme avrebbero “toccato chiunque”. Come temuto, la normativa è stata utilizzata tanto come strumento contro giornalisti e whistleblower quanto contro spie straniere. Ecco alcuni esempi.

Il giornalista e scrittore scozzese Compton Mackenzie aveva prestato servizio come ufficiale dei servizi segreti nel Mediterraneo orientale. Il suo libro di memorie del 1932, Greek Memories, conteneva una serie di dettagli riservati, anche se insignificanti, compresi i telegrammi del Foreign Office in tempo di guerra e la rivelazione di come il primo capo dell’MI6 fosse noto come “C”.

Mackenzie è stato accusato di aver comunicato a persone non autorizzate “informazioni che aveva ottenuto mentre era in carica al servizio di Sua Maestà”. Al tempo dei fatti si pensava che, almeno in parte, il caso fosse stato avanzato al fine di intimidire l’ex primo ministro David Lloyd George che al tempo stava valutando la possibilità di pubblicare un libro di memorie a sua volta.

Mackenzie accettò un patteggiamento, ma alla fine ottenne la sua vendetta scrivendo il romanzo satirico Water on the Brain, che ironizzava sul Secret Intelligence Service, includo nel suo libro con il nome MQ9 (E), ovvero “The Directorate of Extraordinary Intelligence”. Il caso  Mackenzie è stato solo uno di una serie continua di procedimenti giudiziari avvenuti nel corso degli anni.

Un Act ancora più durò arrivò poi nel 1989, in seguito all’imbarazzo governativo per una serie di scandali di intelligence ben presenti sulla stampa negli anni ’80, tra cui il processo al whistleblower della guerra delle Falkland Clive Ponting, le rivelazioni secondo le quali l’MI5 avrebbe controllato il personale della BBC e la pubblicazione del memoir Spycatcher dell’ex agente dell’MI5 Peter Wright.

L’Act del 1989 è stato utilizzato in modo inappropriato in varie occasioni. Si veda ad esempio il caso del 2018 di due giornalisti investigativi arrestati a Belfast per il sospetto furto di un rapporto confidenziale, che conteneva informazioni su un massacro lealista del 1994 a Loughinisland, nell’Irlanda del Nord, e la fallita indagine della polizia sugli omicidi.

I due giornalisti furono accusati di essere in possesso di materiali rubati, di divulgazione illecita di informazioni ai sensi dell’Official Secrets Act e di acquisizione illecita di dati personali – ciò che i giornalisti definirebbero un leak – uno strumento vitale al servizio dell’interesse pubblico. La polizia li interrogò per 14 ore e fece irruzione nelle loro case e uffici nelle prime ore del mattino, in un caso davanti ai bambini.

Dopo una revisione giudiziaria, l’alta corte di Belfast annullò i mandati, sottolineando come i giornalisti avessero agito “in modo perfettamente appropriato nel fare ciò che la National Union of Journalists (NUJ) richiedeva loro, ovvero proteggere le loro fonti”.

Inasprire ulteriormente la legge
Il governo punta ora a inasprire nuovamente la legge per l’era digitale. Ma il vero obiettivo sono i giornalisti e le loro fonti. Come mai? Basta guardare l’imbarazzo causato negli ambienti governativi dai più recenti illeciti dell’intelligence.

Sono stati i giornalisti, ad esempio, a rivelare la collusione dell’MI6 con il programma di rendition and torture della CIA a metà degli anni 2000, fatti che i funzionari del governo avevano precedentemente negato.

La pubblicazione nel 2013 da parte del Guardian di un enorme archivio di documenti di intelligence segreti trapelati dall’ex contractor e whistleblower della National Security Agency (NSA) Edward Snowden ha rivelato la capacità delle nazioni occidentali di mantenere un livello di sorveglianza insospettato anche dagli osservatori più informati.

A mio avviso, per gisutificare una nuova legge draconiana come quella proposta dal Ministero degli Interni in queste settimane, dovrebbe essere prevista anche la creazione di una struttura di supervisione e accountabilty molto solida e indipendente, che attualmente non esiste.

Prendendo gli esempi di cui sopra, gli organismi di accountability ufficiali non erano riusciti a scoprire né lo scandalo del programma rendition and torture della CIA, né le operazioni illegali del GCHQ con la sorveglianza di massa. Il principale meccanismo di responsabilità dell’intelligence del Parlamento, l’Intelligence Security Committee (ISC), è stato, per gran parte dei suoi 25 anni di attività, una sorta di cheerleader dell’intelligence e non un guardiano dell’interesse pubblico.

Solo per un breve periodo sotto la presidenza di Dominic Grieve dal 2015 al 2019 l’ISC si è dimostrato pronto ad agire con fermezza, ed è stato poi limitato dal governo. Il Commitee pubblicò, ad esempio, un rapporto molto critico sul ruolo dell’intelligence britannica nei programmi di rendition and torture della CIA, demolendo le smentite del governo, ma solo 13 anni dopo gli eventi.

Non ci sono state né scuse né spiegazioni da parte dello stato sugli esempi citati qui e per molti altri casi. Per i giornalisti, accettare le nuove proposte del governo sarebbe un enorme atto di fede sulla possibilità che le norme possano essere usate in modo proporzionato e ragionevole.

La nuova normativa influenzerebbe infatti il già delicato rapporto tra libertà personale e sicurezza nazionale verso una posizione più autoritaria, con un deciso chilling effect sulle possibilità di condurre inchieste giornalistiche. Non c’è mai stato un momento più importante di questo per un rigoroso monitoraggio del complesso dell’intelligence da parte della stampa e molte di queste proposte di legge sarebbero un ulteriore deterrente per un solido giornalismo investigativo.

Articolo pubblicato originariamente da The Conversation e riproposto qui per gentile concessione e tradotto dall’originale inglese

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