Dal “Watergate” ai “Panama Papers”, il giornalismo investigativo che si basa sulle fonti confidenziali e i whistleblower si è dimostrato essenziale a livello internazionale per il mantenimento della democrazia e della società aperta. Uno dei principi etici fondamentali della professione giornalistica è “prima di tutto proteggere le fonti” e questo principio è onorato nei codici professionali e diverse leggi sostengono questo principio etico da diversi decenni. Nell’era analogica, questi contesti normativi hanno permesso ai giornalisti di presentarsi in tribunale – a volte rischiando il carcere – e rifiutarsi di rivelare le proprie fonti pur di difendere il loro giornalismo.
Ma le minacce dell’era digitale come “l’effetto Trump”, lo strapotere della sicurezza nazionale, il sempre più vasto intreccio tessuto dalla sorveglianza di massa e mirata, oltre ai tentativi da parte dei governi di minare la crittografia hanno generato numerosi nuovi rischi per i giornalisti e i difensori dei diritti umani che lavorano con i whistleblower e altre fonti confidenziali. Il giornalista investigativo premio Pulitzer James Risen conosce bene le conseguenze di questi problemi: “sta evidentemente diventando più pericoloso fare del buon giornalismo investigativo oggi, ovunque nel mondo”, ha detto Risen parlando in occasione del lancio di un nuovo progetto di azione e ricerca – di cui sono responsabile – pensato per preparare meglio i reporter a rapportarsi in maniera etica e responsabile con i whistleblower nell’era post-Snowden.
È tempo di riconsiderare l’etica della protezione delle fonti nell’era digitale
L’emergere di queste nuove minacce è stato mappato nello studio globale che ho condotto per l’Unesco lo scorso anno, “Protecting Journalism Sources in the Digital Age”, pubblicato in occasione del World Press Freedom Day. Le raccomandazioni estratte da quello studio includevano un appello ai giornalisti e le organizzazioni mediatiche per:
“Considerare di fornire consigli tecnici e formazione alle fonti per garantire comunicazioni sicure, con l’assistenza di Ong e organizzazioni rappresentative”.
E alle organizzazioni della società civile per:
“Investire e collaborare con gli editori e accademici per condurre ricerche e sviluppare nuovi strumenti che garantiscano comunicazioni digitali sicure fra i giornalisti e le loro fonti”.
Un anno dopo il lancio del report, è stata fondata la Ong Blueprint For Free Speech, con il sostegno di Open Society Foundations, al fine di lavorare al varo un set di principi, best practice e linee guida per i giornalisti che collaborano con i whistleblower in tutto il mondo. Sto portando avanti il progetto insieme alla ricercatrice Suelette Dreyfus e ai nostri partner, i quali includono il Reuters Institute for the Study of Journalism (Risj), l’International Center For Journalists (ICFJ), e il World Editors Forum della World Association of News Publishers (WAN-IFRA).
Il progetto punta a coinvolgere giornalisti e gli editori di tutto il mondo attraverso un sondaggio lanciato da poco, interviste e tavole rotonde per assicurare lo sviluppo collaborativo di un set universalmente utile di linee guida e principi. Questi saranno pubblicati online e su carta entro quest’anno col titolo di “Working With Whistleblowers: A Handbook for Journalists”.
Come sono le linee guida per lavorare con i whistleblower nel XXI secolo?
Abbiamo lanciato l’iniziativa “Working With Whistleblowers” al Festival internazionale di giornalismo di Perugia il mese scorso con una consultazione pubblica e un tavolo di ricerca su invito che ha coinvolto alcuni giornalisti investigativi di alto profilo, insieme ai leader delle organizzazioni che li supportano.
James Risen – ex corrispondente sulla sicurezza nazionale del New York Times ora a The Intercept – è un giornalista che ha rischiato il carcere per aver combattuto per proteggere le sue fonti. Risen ha lanciato la nostra consultazione a Perugia, accogliendo il progetto e i suoi obiettivi. In quella sede, il giornalista americano ha anche sottolineato la necessità di trattare i whistleblower con rispetto e dignità, e l’importanza di continuare di rafforzare le competenze in fatto di difesa digitale fra i giornalisti e le fonti. Risen, però, ha anche puntato l’attenzione sulla necessità di tornare ad abbracciare alcuni fondamenti tipici dell’era analogica: “la capacità dei governi di tracciare i reporter e le loro fonti è per lo più cibernetica. Quindi la capacità di incontrare le fonti di persona e uscire dalla rete, e di parlare realmente con le persone faccia a faccia, è sempre più fondamentale per continuare ad aiutarle ed è il primo passo da compiere per proteggere le fonti” ha detto Risen a questo proposito.
Le problematiche presentate dagli altri partecipanti alle consultazioni di Perugia – fra i quali giornalisti e redattori di New York Times, The Guardian, El Mundo, Rappler, Le Soir e ProPublica – spaziavano dalla necessità di sviluppare competenze scalabili di crittografia, alla nuova minaccia rappresentata dagli hacker che deliberatamente cercano di inquinare le piattaforme di whistleblowing con materiali di disinformazione, agli interrogativi circa la sostenibilità dell’impegno etico a proteggere le fonti nell’era digitale.
20 principi e linee guida di base per lavorare con i whistleblower
A oggi abbiamo raccolto 20 principi e linee guida di base che abbiamo in progetto di completare con note esplicative, studi di caso e risorse pratiche. Ma prima abbiamo bisogno dell’aiuto di una vasta gamma di giornalisti, organizzazioni di news, organismi settoriali ed esperti per distillarli, rifinirli e adattarli. Che ne pensate? Eccoli:
- Primo, proteggere le fonti.
- Riconoscere i costi del whistleblowing per i whistleblower.
- Difendere l’anonimato quando richiesto.
- Effettuare una valutazione dei rischi digitali su ogni storia che coinvolga fonti confidenziali o whistleblower.
- Assumersi la responsabilità della propria difesa digitale e della pulizia dei propri dati.
- Abbracciare e utilizzare la crittografia.
- Difendere la crittografia come diritto umano connesso alla libertà di espressione e all’accesso all’informazione.
- Per le storie sensibili, formare i whistleblower riguardo alla sicurezza digitale di base e a quella per i dati conservati.
- Per le storie sensibili, formare i propri whistleblower riguardo alla sicurezza digitale di base e a quella per i dati in transito.
- Pubblicare i documenti originali quando è possibile e sicuro.
- Riconoscere l’importanza dei dataset come “storie”.
- Pubblicare i dati nella loro interezza quando le risorse lo permettono ed è sicuro farlo.
- Cancellare i dati forniti dalle fonti, quando è necessario per proteggerle, coerentemente con gli obblighi etici, legali e professionali.
- Cancellare i dati non più necessari e farlo in sicurezza.
- Assicurarsi che ogni piattaforma digitale per le fonti e i whistleblower offra un buon livello di sicurezza e, per il materiale ad alto rischio, anonimato e sicurezza.
- Verificare il materiale concentrandosi sul valore per il pubblico interesse dell’informazione, non sulla propria visione delle capacità e delle opinioni della fonte o del whistleblower.
- Incoraggiare attivamente la propria organizzazione a fornire cybersecurity appropriata per giornalisti, fonti e materiale immagazzinato, insieme a un’adatta formazione per i giornalisti.
- Per i whistleblower ad alto rischio, indurli a riflettere in anticipo su come agiranno quando la storia uscirà.
- Comprendere il contesto legislativo e normativo nazionale, locale e internazionale per proteggere le fonti confidenziali e i whistleblower.
- Spiegare alle proprie fonti/whistleblower i rischi dell’esposizione digitale in linea con il proprio dovere etico di proteggerli.
Cosa abbiamo tralasciato? Cosa è problematico? Quali risorse e strumenti aggiungereste al nostro manuale? Per favore fate sentire la vostra voce e valere la vostra esperienza rispondendo a questo sondaggio. Se volete che la vostra redazione/organzzazione diventi partner del progetto, potete contattarmi qui: julieposetti at protonmail dot com.
Articolo tradotto dall’originale inglese. Traduzione a cura di Giulia Quarta
Tags:crittografia, cybersecurity, digital whistleblowing, Edward Snowden, protezione delle fonti, Whistleblowing, wikileaks