Comunicazione scientifica online:
il primato degli Stati Uniti

9 Febbraio 2012 • Giornalismi • by

 Gli U.S.A. sono un Paese di grandi contraddizioni anche in campo scientifico dove accanto ai cervelli più raffinati, convivono i conservatori più tradizionalisti. Ma questo non toglie loro il primato  nell’attuale scenario della divulgazione della scienza. Sono statunitensi le riviste più accreditate nel settore – i “Philosophical Transactions” della Royal Society che si collocano su un livello più specialistico, non essendo indirizzati a un pubblico generalista –  e sono statunitensi i blog e i siti web più attivi nella disseminazione del patrimonio delle diverse discipline. Inoltre, alcuni tra i più illustri scienziati che vivono e lavorano sul territorio americano sono particolarmente attivi nell’attività divulgativa, sperimentando linguaggi e stili adatti all’utente medio, e persino utilizzando il web come canale di comunicazione privilegiato (per rivolgersi a questo tipo di audience).

É il caso di Niles Eldredge, celebre paleontologo coautore, insieme a Stephen Jay Gould, della «Teoria degli equilibri punteggiati». Oltre ad essere Editor-in-Chief  della rivista on line Evolution: Education and Outreach (edita da uno dei colossi dell’editoria commerciale, cioè Springer), è curatore emerito del dipartimento di paleontologia degli invertebrati presso l’American Museum of Natural History di New York. Questo suo carattere apparentemente ingessato è però in contrasto con il suo operato quotidiano, che va oltre i limitati confini delle pubblicazioni ufficiali. Innanzitutto, la rivista che dirige è ad accesso parzialmente gratuito: gli editoriali di ciascun numero, più una certa percentuale degli articoli, sono liberamente scaricabili dal sito web, senza alcuna sottoscrizione. Inoltre, il portale a suo nome, benché non aggiornato negli ultimi tempi, rappresenta un collettore di contenuti di ambito evoluzionistico: eventi, pubblicazioni, rassegne stampa, tutti legati alla sua figura e utili per chiunque voglia approfondire i temi relativi alla sua ricerca. Infine, la presenza su YouTube di video in cui il professore illustra le sue posizioni su alcuni degli argomenti più rilevanti delle scienze naturali costituiscono una miniera cognitiva non soltanto per gli esperti, ma anche per studenti e appassionati di tutto il mondo.

Non siamo tuttavia al cospetto di un vero animatore culturale del web: la sua attività, per quanto utile, non è direttamente finalizzata a fare di Internet lo strumento principale della divulgazione scientifica. Per trovare personalità del genere, bisogna per esempio fare un salto su edge. Il sito si dichiara diverso dal Bloomsbury Group (un gruppo di artisti, letterati, critici ed economisti attivo  a Londra dal 1905 alla Seconda Guerra Mondiale), ma dotato della stessa qualità intellettuale. Lanciato nel 1996 come versione online di “The Reality Club”, un’accolita informale di intellettuali che si incontravano nei luoghi più disparati, si propone di farne rivivere nel ciberspazio lo spirito originario, che anima le loro discussioni sui temi caldi della società contemporanea.

La particolarità di edge.org è quella di rifiutare la rigida suddivisione del sapere in discipline, ma al contrario di promuovere la cosiddetta “terza cultura”, ossia una sapienza vettoriale, in cui spiegazioni provenienti da magisteri diversi interagiscono senza ridursi una all’altra. La Edge Foundation, non a caso, è presieduta da John Brockman, agente letterario di molti scienziati (tra cui alcuni premi Nobel), e autore del libro La terza cultura. Oltre la rivoluzione scientifica, una raccolta di brevi saggi in cui noti scienziati americani (biologi, fisici, informatici, psicologi), dopo aver introdotto i propri ambiti di ricerca e il loro ruolo nella società contemporanea, spiegano in che modo i loro possibili sviluppi sono rilevanti per il futuro del pianeta, quando scienza e società saranno strettamente legate.

Il panorama statunitense è però costellato, in primis, da un insieme di blog, community, siti, che facendo leva sull’intelligenza delle masse producono contenuti molto vicini, per qualità, a quelli giornalistici. Un esempio eccelso del contributo fornito da questi prodotti mediatici atipici alla disseminazione della scienza è la certificazione che le viene attribuita, negli Stati Uniti, dalle maggiori riviste del settore.

Scientific American, vincitore nel 2011 del National Magazine Award for General Excellence, ospita un network di blog, oltre ai sei gestiti da collaboratori della rivista, in cui scrivono diverse categorie di persone con una certa esperienza in un determinato campo della scienza. Il vantaggio, per chi scrive, è quello di vedere pubblicati i propri post con un URL (Uniform Resource Locator, l’indirizzo mnemonico di una risorsa su Internet) che recita “blogs.scientificamerican.com”. Le discipline affrontate sono le più svariate: dalla medicina alla psicologia animale, dall’antropologia alle energie rinnovabili. Se ciò non bastasse, tra i servizi offerti dalla versione online di questo celebre magazine ci sono il Guest Blog, che ospita quotidianamente i contributi di una grande varietà di autori (alcuni invitati, altri auto-candidatisi) in una grande varietà di forme e stili, e The SA Incubator, la cui presentazione è tutta un programma – e che può essere presa a emblema di quello che dovrebbe fare oggi il giornalismo scientifico professionale:

“The Incubator will be a place where we will explore and highlight the work of new and young science writers and journalists, especially those who are currently students in specialized science, health and environmental writing programs in schools of journalism. There, we will discuss the current state and the future of science writing, and promote the best work that the young writers are doing”.

Un’altra iniziativa simile è quella di Nature (una delle più antiche ed importanti riviste scientifiche esistenti, pubblicata sin dal 1869), che ospita sul proprio sito una “casa dei blog”, in cui dimorano portali amministrati sia da membri del Nature Publishing Group sia da blogger ospiti, e che ha un indirizzo email dedicato per proporre la propria testata o quella di qualcun altro.

Interessante anche le proposte di Science, l’altra autorevole e storica testata statunitense. Anch’essa ha un portale dedicato alla coltivazione di una community inclusiva, MySciNet, un luogo virtuale (con tanto di gruppi, offerte di lavoro e partner istituzionali) in cui scienziati e studenti dai background più disparati possono, dopo essersi iscritti, costruire il proprio network personale e professionale, contribuendo al consolidamento dei rispettivi campi disciplinarti. C’è, poi, Science Talk, una sezione del sito nata per ospitare i dibattiti e le opinioni degli utenti sugli articoli pubblicati dai collaboratori e dalla redazione.

Quasi superfluo dire che tutte queste esperienze hanno il proprio account su Twitter, rispettivamente @sciamblogs, @NatureBlogs e @sciencemagazine, con un’attività e un seguito di follower tali da far immaginare come alle loro spalle ci siano dei veri professionisti dei social media.

Ulteriore caso di eccellenza virtuale è  scienceblogs.com, ideato da Seed Media Group (il cui slogan recita: “We are inspired by the potential of science to improve the state of the world and we make media and technology to help realize that potential”). Si tratta di un esperimento pionieristico in quest’ambito – in quanto lanciato nel gennaio 2006 – che riunisce più di ottanta blog curati da ricercatori e scienziati americani, reclutati in base alla loro originalità, talento e dedizione. Anche se, è forte il sospetto che due dei criteri a cui si ispira la selezione siano il numero di visite e il calcolo del rank sulla base dei link ricevuti (due criteri sicuramente discutibili, per valutare l’apporto di una pubblicazione alla qualità del dibattito scientifico). Ciò non inficia il valore del portale, soprattutto perché è costantemente possibile, per i nuovi contributor, aderire all’iniziativa.

(All’epoca della sua apertura, seguendo il criterio della link popularity, in testa alla classifica si trovava Pharyngula, termine che indica un particolare stadio nello sviluppo dell’embrione dei vertebrati, del biologo Paul Myers dell’Università del Minnesota.)

Oltre che essere un’utile vetrina per i comunicatori scientifici attuali, tutti questi progetti sul web rappresentano dei proficui investimenti per il futuro del settore. La formazione di esperti che siano contemporaneamente dei ricercatori eccellenti e dei divulgatori capaci, abili nella gestione dei media digitali, è probabilmente  la sfida più urgente per chi vi opera avendo le risorse necessarie.

Gli Stati Uniti, grazie alla concentrazione di grandi editori commerciali, godono di un vantaggio economico indiscutibile. Cionondimeno, il vantaggio (in senso lato) culturale è altrettanto evidente: non è da tutti impegnare uomini e mezzi ingenti in iniziative che non hanno un riscontro immediato.

Per provare a capire in che modo gli altri Paesi avanzati in questa branca della comunicazione hanno risposto alla leadership statunitense, è utile un’analisi di altri due contesti nazionali: quello britannico e quello italiano. È quanto faremo nei prossimi articoli.

Bibliografia:

Brockman, John (1994): Third Culture: Beyond the Scientific Revolution, New York, Simon & Schuster

 

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