“Puntò sulla mente anzichè sul cuore. E perse”

12 Febbraio 2013 • Giornalismi • by

Non è una questione politica, ma solo di comunicazione. Un leader, per vincere, deve rispettare quattro semplici regole:

1) occupare lo spazio mediatico

2) dettare l’agenda della campagna elettorale ovvero costringere gli altri candidati a discutere i temi che egli riesce a imporre all’attenzione dell’opinione pubblica

3) creare un legame identitario molto forte con gli elettori, i quali solo in parte votano con la mente, ma cercano il candidato che più gli assomiglia, che più ispira fiducia, che più sentono vicino. E lo fanno in maniera inconscia, assecondando l’istinto e le percezioni, più che il ragionamento.

4) dimostrare che la sua vittoria è conveniente in termini economici (meno tasse) o pratici (città più sicure), insomma puntando anche sull’interesse personale.

Applicando questi quattro criteri alla campagna elettorale, si capisce chiaramente come Bersani abbia sbagliato quasi tutto e perché Berlusconi e Grillo continuano a recuperare consensi.

Quando il leader del Pd è riuscito a occupare i media e a imporre i propri temi all’opinione pubblica? La risposta è semplice e, per i simpatizzanti di sinistra, sconsolante: solo sulla scia delle primarie ovvero, troppe settimane fa.

Dall’Epifania ad oggi, ovvero da quando la campagna è entrata nel vivo, Bersani non ha mai fatto notizia; i media si sono occupati di lui solo per segnalare le sue reazioni a temi, polemiche, proposte di altri candidati. Mai è riuscito a scuotere gli elettori con una proposta sorprendente e convincente.

L’esatto opposto di Berlusconi, che dallo show da Santoro ha catalizzato su di sè l’attenzione mediatica; qualunque cosa dicesse, è riuscito a costringere gli altri candidati a inseguirlo. Serio (Imu) o faceto (la presa in giro di Travaglio) è stato il mattatore incontrastato.

Anche sugli altri punti Bersani è stato incredibilmente lacunoso. La maggior parte degli italiani appartengono alla piccola o alla media borghesia, vivono in provincia, costruiscono la propria realtà economica attorno alla famiglia e alla casa. Sono cattolici ma poco praticanti e piuttosto indulgenti su certi aspetti della vita privata. In Bersani vedono un funzionario di partito che si sforza di parlare un linguaggio popolaresco, con molti luoghi comuni e un diluvio di frasi fatte, ma non è mai scattata l’identificazione, che invece era spontanea con Renzi (che infatti è il candidato trasversale per eccellenza), mentre Berlusconi, nonostante quanto successo negli ultimi due anni, risulta molto più familiare e in sintonia sia del candidato Pd che di Monti.

Persino sulle proposte economiche il Cav appare più convincente. Bersani finora non ha avanzato una sola proposta che abbia fatto sognare gli italiani, che abbia ridato loro speranza. Ma di Berlusconi gli italiani ricordano che quando promise di togliere l’Ici mantenne la parola; dunque ora molti pensano che farà lo stesso con l’Imu. Ecco perché le accuse del Pd e dello stesso Monti a Silvio di ingannare gli elettori, su questo punto non fanno presa. Se è l’interesse personale a guidare il comportamento degli elettori, costoro ricordano molto bene che grazie a Berlusconi per anni non hanno pagato imposte sulla prima casa. E si ricordano che solo un anno e mezzo fa la disoccupazione era più bassa, c’era più crescita, si pagavano meno tasse. E questo a un pubblico generalista basta.

Beppe Grillo ha sfruttato, invece, benissimo lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena, toccando la sensibilità di quella parte di italiani che è nauseata dagli scandali, che vuole moralità, che chiede un vero cambiamento e che negli anni è rimbalzata da Pannella a Di Pietro al nord a Bossi a su a Orlando e De Magistris. Grillo, che denunciò per primo Parmalat, è imbattibile se la questione morale diventa centrale nella campagna, come è avvenuto. Quanto ai media li sa occupare benissimo con una strategia alternativa molto efficace. Di certo, a modo suo, molto meglio di Bersani.

Ecco perchè a questo punto, l’inimmaginabile è possibile ovvero che Bersani faccia la stessa fine di Edmund Stoiber, candidato dei moderati tedeschi nel 2002, che a due mesi dal voto i sondaggi indicarono sicuro vincitore contro uno screditato Gerhard Schroeder, il quale, però, come Berlusconi era un istrione elettorale e alla fine vinse con appena 6mila voti di scarto.

Stoiber, come oggi Bersani, era convinto che i tedeschi non si sarebbero lasciati più abbindolare da Schroeder. E, come Bersani, puntò su una campagna dai toni bassi, confidando nel buon senso e nella ragionevolezza degli elettori. Puntò sulla mente anzichè sul cuore.

E perse. Come Bersani? L’ipotesi non è più così remota; sì, Bersani può perdere a meno che… non maturino altre condizioni, come spiegherò nel prossimo post.

L’articolo originale è stato pubblicato qui sul blog di Marcello Foa

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