Che “genere” di tv? È la domanda che fa da sfondo alla ricerca svolta da GEMMA – Gender e Media Matter – i cui risultati sono stati presentati di recente presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza. Il seminario “Genere e Media” ha rappresentato l’occasione per portare alla luce i primi dati relativi alla ricerca, che è ancora lunga e complessa visto l’estensione del campione e delle tematiche da analizzare.
Gemma, con la direzione scientifica della professoressa Milly Bonanno, si pone l’obiettivo di monitorare le rappresentazioni di genere nella quotidianità dei mezzi di comunicazione e le modalità di trasmissione delle identità di genere nella nostra cultura.
Al seminario, strutturato in quattro panel di discussione (informazione, intrattenimento, fiction e pubblicità), hanno preso parte numerosi esponenti del mondo accademico, dell’informazione e della tv. Nella sua introduzione alla giornata di studio Milly Bonanno ha tenuto a puntualizzare come “siamo in presenza di un campo complesso, multiforme, di cui non si può fare giustizia attraverso letture semplicistiche e generalizzazioni che riducano la televisione a una sorta di compatta unità monolitica, e le sue politiche di rappresentazione alla egemonia di una immagine dominante. Quindi Gemma fonda la propria specificità sull’impegno programmatico a mappare la attuale configurazione del poliedrico campo genere e media attraverso pratiche di ricerca intese ad individuare soprattutto le dissimilarità, le disgiunture, i contrasti nelle politiche televisive di rappresentazione del femminile e del maschile”.
Emerge comunque qualche motivo di insoddisfazione e di perplessità, “nella distribuzione asimmetrica delle presenze e dei ruoli femminili e maschili, con netta predominanza di quest’ultimi ovvero il “maschiocentrismo” dei media – come viene definito dalla docente – distinguibile analiticamente dal maschilismo. E nell’uso strumentale ed erotizzante cui è sottoposto il corpo delle donne, ovvero la sessualizzazione della figura femminile. Queste sono due emergenze dominanti e persistenti nel tempo della problematica relazione tra genere e media”.
Il campione della ricerca svolta da Gemma si è basato sulla programmazione di una “settimana ricostruita” (8.00 – 24.00, dal 14 febbraio al 3 aprile 2011) delle sei emittenti nazionali (oltre La7 per il genere informazione), per un campione complessivo composto da 672 ore di registrazione riguardanti talk show, quiz, fiction, pubblicità, programmi d’attualità, approfondimento e informazione. Nel corso dei panel di Informazione e Intrattenimento è stato messo in risalto come nel campo dell’informazione la dimensione di genere preveda una netta prevalenza della figura maschile a differenza dell’intrattenimento dove la figura femminile conquista una posizione migliore. In particolare, i talk show (sono 27 i programmi analizzati nel palinsesto nazionale) sono caratterizzati prevalentemente da una conduzione maschile e anche nella co-conduzione la donna non ha spazio, solamente Luisella Costamagna su La7 ha lavorato in co-conduzione. E’ rilevante il dato relativo alla consuetudine di commentare e interpretare documenti, che è prevalentemente maschile: 70% contro 30%. Prevale la dimensione maschile nella conduzione di programmi a maggiore cadenza settimanale, come ad esempio “Diario italiano”, “Otto e mezzo”, “Agora”̀, “Porta a porta”. La dimensione femminile è più rilevante nel dato sugli ospiti quando le trasmissioni trattano temi sociali, come anoressia, velinismo, o anche eventi come il Festival di San Remo e la manifestazione ‘Se non ora quando’ (che si svolgeva nel periodo di rilevazione). Su temi politici come la questione libica o la crisi italiana, o istituzionali come la riforma della giustizia, le donne chiamate a intervenire sono poche, circa il 20% del totale degli ospiti e generalmente sono delle politiche. Il 20% è un dato che emerge anche dal Global Media Monitoring Project Italia 2009-2010.
Mancano tra gli ospiti soprattutto le figure di esperte. Alcune tuttavia sono presenti in trasmissioni che trattano specificamente temi sociali, come Protestantesimo o Maurizio Costanzo Talk. Sono invece presenti donne di spettacolo quando, ad esempio, Porta a porta è dedicato al Festival di San Remo.
Nella trattazione di temi sociali il femminile viene rappresentato come oscillante tra due poli: la ‘donna forte’, ad esempio in alcuni punti delle trasmissioni sulla manifestazione “Se non ora quando” e la ‘donna debole’, quella esposta ai pericoli dei social network e alla dimensione della prostituzione o della anoressia. Tendenzialmente i programmi d’informazione presentano una prevalenza maschile di 4 a 1 per quanto riguarda gli ospiti. Mentre nella conduzione e nella ideazione o autorialità dei programmi c’è un discreto bilanciamento che sembra avere alle spalle un processo di ‘femminilizzazione’ delle diverse professioni dei media.
A seguire il panel sulla Fiction, attraverso un’analisi che ha coinvolto anche le fiction straniere, si è rilevata una sostanziale equivalenza dei ruoli tra uomo e donna, ed è emerso come nelle fiction italiane è la figura femminile ad essere caratterizzata da una maggiore complessità e spesso da un ruolo subordinato a quello dell’uomo. Si nota quindi un cambiamento nella rappresentazione di genere, le donne hanno più ruoli da protagoniste. Ma la sceneggiatrice Donatella Diamanti ha spiegato come la differenza di genere sia più marcata in Italia rispetto alle fiction made in USA: “La donna deve avere sempre una marcia in più, per esempio nella fiction poliziesca se ha un momento di rabbia va in palestra a sferrare pugni al sacco, ha bisogno cioè di un iperconnotazione per assomigliare di più all’uomo”.
Per quel che concerne, invece, lo scenario di genere nell’ambito della pubblicità, si è cercato di mettere in luce se il ruolo sociale degli attori influisca sul contenuto del messaggio da diffondere e se l’immagine dei due generi dia o meno credibilità al messaggio stesso. Nella pubblicità commerciale le donne risultano poco emancipate, emotive, o casalinghe, mogli e madri oppure donna seduttrice.
Nella tavola rotonda finale Simona Ercolani, autrice televisiva, ha delineato la situazione in Rai: “Nell’intrattenimento si trovano più elementi degenerativi della femminilizzazione. In Rai, seppure è un’azienda guidata da una donna, chi prende le decisione è sempre un uomo, direttori di rete, di palinsesto, tutta la parte editoriale è gestita al maschile, loro hanno l’ultima parola”.
Daniela Brancati, autrice del libro “Occhi di maschio. Le donne e la televisione in Italia. Una storia dal 1954 a oggi”, ha chiuso la giornata mettendo in risalto come lo scopo finale oggi sia arrivare solo al consumatore e non al telespettatore “bisognerebbe trovare il coraggio di rappresentare la complessità sociale, normalità con i suoi pregi e suoi difetti. Il problema non è se le donne vengono rappresentate vestite o spogliate ma è l’unicità di questa proposta”. Il punto su cui tutti i relatori sembrano convergere riguarda il “Maschiocentrismo” inteso come adozione della prospettiva degli uomini nella definizione dei ruoli femminili nella televisione italiana e dai dati emerge soprattutto come sia il campo dell’informazione quello che tratta peggio il genere femminile rispetto al resto della tv.
Ma la strada che Gemma vuole percorrere è ancora lunga, la ricerca è un “work in progress” e come ricorda la professoressa Buonanno “la gemma è una pietra sfaccettata e prismatica, per questo è divenuto metafora di complessità e del metodo scientifico che consente di accedere alla conoscenza e alla comprensione della poliedricità del reale, scomponendo e poi ricomponendo le diverse facce che lo costituiscono”.
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