Il giornalista? È sempre più un manager di contenuti

8 Maggio 2013 • Digitale, Giornalismo sui Media • by

I media da unica, o principale fonte di informazioni si stanno trasformando sempre più in custodi e curatori di flussi di contenuti e notizie. È uno dei cambiamenti più evidenti degli ultimi anni; particolarmente accentuato da quando, con l’esplosione dei social media, una parte consistente dell’opinione pubblica si forma e si esprime in Rete. Gli editori stanno cercando di cavalcare e volgere a proprio vantaggio il fenomeno, all’inizio muovendosi un po’ a tentoni, ma via via con tentativi sempre più mirati e strutturati. Alcuni degli esperimenti più interessanti in questo senso provengono dai Paesi anglosassoni; se ne è avuto qualche assaggio in occasione della recente conferenza londinese News:rewired, in un panel intitolato, non a caso, “Curation: the journalist as a manager”.

Cory Haik, “produttrice esecutiva per le notizie digitali” al Washington Post, ha raccontato le ultime iniziative del quotidiano, concentrandosi in particolare su The Grid che, come suggerisce il nome stesso, non è altro che una “griglia”, una bacheca in stile Pinterest, all’interno della quale vengono inseriti video, foto, messaggi e link provenienti da Twitter, da Instagram, da YouTube, assieme a richiami ad articoli pubblicati sul Washington Post o su altre testate. Il lancio è avvenuto nel corso delle Convenzioni Nazionali dei due grandi partiti americani, a cui ha fatto seguito un nuovo test per l’Election Day presidenziale.

Da allora la piattaforma è stata usata più volte per raccontare in tempo reale eventi di respiro nazionale, facendo leva contenuti generati dagli utenti. Dal discorso sullo Stato dell’Unione a Snowquester, la grande tempesta di neve che ha colpito a marzo la fascia centro-orientale degli Usa. The Grid è un esempio di quello che viene definito “responsive design”: grazie alla struttura scalabile e concentrata sull’elemento visuale, è pensata per essere fruita agevolmente nelle cornici più diverse: dagli smartphone, ai tablet, al Web.

Ma il team del Post va oltre: all’insegna dell’”adaptive journalism” – altro neologismo da addetti ai lavori – l’idea è quella di mettere in evidenza contenuti differenti a seconda del dispositivo. “Nel caso di un evento trasmesso in Tv – ha spiegato Haik – la funzione dello smartphone è quella di secondo schermo, per cui ci sarà solo il sentiment tracker, per esperimere accordo o disaccordo su quello che si sta guardando. Sul tablet ci sarà il video in streaming e sul desktop lo spazio per il filmato sarà un po’ minore e il resto sarà dedicato al live blogging e ai commenti”.

Un’altra possibilità per personalizzare e filtrare i contenuti ospitati dalla “griglia”, è legata alla geolocalizzazione: nel caso di Snowquester, un menù a tendina permetteva di visualizzare soltanto i tweet e le foto provenienti da una certa area geografica; espediente utile, anche se per forza di cose approssimativo. Solo una ridotta percentuale di iscritti, infatti, abilita l’opzione di localizzazione e per situare spazialmente gli altri tweet bisogna fidarsi dell’analisi semantica del testo, cosa che a volte può portare a errori e imprecisioni.

Una forte componente spaziale è compresa anche in alcune iniziative del britannico The Guardian. Matt McAlister, general manager per i nuovi business digitali del quotidiano ha illustrato a News:rewired, quella che ha definito “a curious collection of community content curation tools”. Non ha parlato quindi tanto di Witness, il nuovo progetto di citizen journalism lanciato dal giornale a metà aprile, ma di vari progetti collaterali, che oltre a essere fruibili come servizi a sè stanti, si sono rivelati preziosi per costituire l’ossatura tecnologica della piattaforma partecipativa. Prodotti come Notice, un sistema di gestione dei contenuti liberamente utilizzabile da chiunque per pubblicare contenuti multimediali e georiferirli con facilità su una mappa. Uno degli esempi più interessanti di uso di Notice (http://n0tice.com) è opera dello stesso Guardian; si tratta di una bacheca (o Noticeboard), GdnGig, dedicata alla musica dove affastellare segnalazioni di concerti, recensioni, foto e video di esibizioni dal vivo. In una sezione apposita, si possono proporre anche annunci commerciali e offerte, trasformando la piattaforma in una fonte di guadagno. Feedwax è invece un tool con cui pescare contenuti da Twitter, Instagram, Google news e altri servizi, e creare al volo un feed da incorporare in Notice. Hashgordon, altro tool nella “cassetta degli attrezzi” di McAlister, serve a generare gallerie fotografiche e a embeddarle rapidamente in una Noticeboard. Uno degli ultimi nati, Maptastica (http://maptastica.com), lanciato in questi giorni, applica lo stesso principio, ma alle mappe.

Tutti questi strumenti sono messi a disposizione gratuitamente, ma non si pensi che il Guardian sia ispirato solo da motivi filantropici. Accanto alla versione free è disponibile un pacchetto Vip, a pagamento, che raccoglie tutti i prodotti sopra citati e vi unisce supporto tecnico, personalizzazione col marchio del cliente, applicazioni ad hoc per iPhone e smartphone Android e altre funzioni aggiuntive. A dimostrazione che, in un’epoca di crisi dei tradizionali modelli di business del giornalismo, i gruppi editoriali possono sfruttare il filone della cura dei contenuti in due modalità distinte: incorporando materiale proveniente dai social media sui propri siti, generando traffico e clic sugli annunci pubblicitari e producendo essi stessi nuove tecnologie di curation, da rivendersi poi in versione potenziata sul mercato.

 

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