Mentre in America i repubblicani vincono le elezioni e si riappropriano del Senato e il presidente Barack Obama cerca di risollevare la sua ormai endemica impopolarità con una nuova proposta di legge sulla neutralità della Rete, in questi giorni nelle librerie americane sta arrivando un volume che promette di far discutere: Stonewalled: My Fight for Truth Against the Forces of Obstruction, Intimidation, and Harassment in Obama’s Washington. L’autrice è Sharyl Attkisson, per vent’anni reporter investigativa della Cbs, costretta ad andarsene per essere troppo poco liberal e troppo critica verso l’amministrazione Obama. Un caso che riaccende le polemiche sul tema, non solo statunitense, del grado di asservimento al potere dei media. Vediamo di cosa si tratta.
Attkisson non ha paura a dirlo: “Gli americani sono manipolati dai media” che sempre di più nascondono la verità, fanno una informazione omologata a favore di poteri forti e interessi nascosti. Va oltre, è convinta ci sia una strana compiacenza e tacita accettazione a Washington, persino tra i membri del Congresso, per un Governo che invade la privacy leggendo le email e ascoltando le intercettazioni telefoniche. Lei stessa sostiene di essere stata spiata quando ancora lavorava alla Cbs: “Esperti informatici hanno appurato intrusioni remote nel mio computer. Secondo loro i proprietari dei software che hanno hackerato il mio pc possono essere solo le agenzie governative come Fbi e Nsa. Stiamo facendo altre indagini per risalire alla verità”.
Lasciare la propria emittente dopo 21 anni non è facile, un’emittente che fino a qualche anno fa le permetteva di fare il suo lavoro e di sviluppare inchieste. Poi, giura la Attkisson, tutto è cambiato: “Negli ultimi tre anni, da quando l’amministrazione Obama è entrata in difficoltà e io ho voluto parlarne, ad esempio con dei servizi sugli investimenti non andati a buon fine nella green economy oppure sull’attentato a Bengasi, sono iniziati gli attriti. C’è una forte cultura liberale alla Cbs che influenza le storie che vengono trasmesse e le decisioni che vengono prese all’interno dell’emittente”.
Incredulità
Molti giornalisti che hanno già letto il libro si sono mostrati increduli dinanzi ad alcune vicende raccontate dalla Attkinsson. Lei vorrebbe che questi giornalisti fossero altrettanto scettici verso il Governo federale e l’Amministrazione. In senso dispregiativo li definisce dei “media people” che vivono di affermazioni e non mettono in dubbio l’autorità. Piuttosto mettono in dubbio coloro che dell’autorità diffidano. “Questo” – commenta – “succede in quei Paesi che non hanno la libertà di stampa”. Secondo l’ex reporter della Cbs molti editori oggi censurano le news sotto la pressione di élite culturali esterne al Governo. Le denunce della giornalista non sono una novità. Sin dalle elezioni presidenziali del 2008, la maggior parte dei media americani sembra aver fatto la scelta di campo di sostenere Barack Obama.
E lo dimostrerebbe il fatto – fanno notare diversi osservatori – che sei anni dopo il primo presidente nero degli Stati Uniti si trova a fare i conti con un consenso popolare ai minimi storici potendo allo stesso tempo contare ancora sul massiccio appoggio di grande parte dell’establishment mediatico. A dirlo non è solo la Attkisson ma anche i dati. Secondo gli studi dei due centri di ricerca Project for Excellence in Journalism e Center for Media and Public Affairs (CMPA), nel 2008, analizzando la copertura mediatica di 48 aziende di informazione tra la fine delle due party convention e i dibattiti, risultò che il 57% delle storie pubblicate su McCain erano negative e solo il 15% positive. Mentre per Obama il 29% di esse risultava negativo e il 36% positivo. Le indagini rivelarono inoltre che nel 2008 sette elettori su uno erano convinti che i giornalisti volessero la vittoria di Obama.
La tesi di Groseclose
Tim Groseclose, Professore di scienze politiche ed economiche alla Ucla, nei suoi studi mette in evidenza la tendenza dei media americani a distorcere le notizie, a riportarle in modo non oggettivo ma influenzate dal pregiudizio e dal proprio orientamento politico. Groseclose attraverso analisi precise misura il contenuto politico delle news. Molti dei suoi studi dimostrano che un’alta percentuale di giornalisti vota in modo preponderante per i democratici. Dimostrano anche quanto think tank di area liberale siano citati molto più spesso come fonte di quelli conservatori. La sua è una analisi importante per comprendere in quale misura una copertura mediatica volutamente orientata possa plasmare la percezione dell’opinione pubblica e, di fatto, spostare voti. Ma anche per comprendere quanto un’informazione pilotata si manifesti attraverso l’omissione della notizia. È quanto accaduto proprio in queste ultime elezioni di metà mandato.
I tre grandi network televisivi americani Cbs, Nbc e Abc (che anni fa decisero di fare tandem rispettivamente con il New York Times, il Wall Street Journal e il Washington Post) rappresentano la principale fonte di informazione per 23 milioni di spettatori. Ma secondo diversi osservatori hanno praticamente ignorato la campagna per le elezioni di midterm. Un atteggiamento completamente diverso rispetto alla campagna del 2006 quando ancora governava Bush. Secondo il Media Research Center, nello stesso periodo del 2006 ci furono 159 articoli sui democratici, mentre quest’anno se ne sono contati solo 25. Chris Cillizza, giornalista del Washington Post, sottolinea le somiglianze tra le due elezioni: “Come Bush, Obama è alla sua seconda elezione di metà mandato, come Bush è altamente impopolare e, come fu per i repubblicani nel 2006, oggi il destino dei democratici al Governo è nelle mani di pochi. Allora non fu un problema per i media americani coprire a tappeto le elezioni e fare pronostici negativi per i repubblicani. Oggi che le parti sono invertite, gli stessi media mostrano tutta la loro parzialità concedendo pochissimo spazio alle notizie negative sui democratici”.
Anche nel dopo elezione, all’indomani dell’evidente disfatta, il New York Times ha proposto di modificare la costituzione eliminando queste elezioni di metà mandato perché non servirebbero a niente. Michael Goodwin, giornalista del New York Post, definisce questo attaccamento dei media mainstream al partito democratico “la disgrazia dell’era Obama”. “Giornalisti che non sono curiosi e non sono seri” – ha osservato – “non sono giornalisti. Nella migliore delle ipotesi sono stenografi, nella peggiore, adescatori. La loro abdicazione è distruttiva. Il rifiuto di sottoporreObama allo stesso trattamento critico di un presidente repubblicano è un grave segnale per la democrazia di un Paese”.
Per approfondire: Come ti condiziono la stampa Usa, di Marcello Foa
Articolo pubblicato originariamente sul Corriere del Ticino il 15 Novembre 2014
Photo credits: Chuck Hagel / Flickr CC
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