Spesso i giornalisti non riescono a persuadere i loro editori a lasciarli lavorare sulle notizie che stanno loro a cuore. Questo genera frustrazione e alcuni di loro stanno cercando soluzioni alternative per aggirare questo problema. Per coprire Cop19, il summit sul clima delle Nazioni Unite che si tiene in questi giorni (e fino al 22 Novembre) a Varsavia, ho lanciato un progetto in crowdsourcing, Climate News Mosaic. Ecco cosa abbiamo intenzione di fare.
Non è facile coprire processi politici particolarmente complessi e che per di più si protraggono per lungo tempo. Persino il giornalista migliore fatica a tenere viva l’attenzione dei lettori, e, se la storia si protrae per anni senza nessuna chiara soluzione in vista, anche gli editori se ne disinteressano. Il dibattito sul cambiamento climatico è uno di questi temi e appare e scompare dalla news agenda a intervalli più o meno regolari. Siccome le conferenze e i summit hanno luogo senza mai giungere ad una chiara soluzione, l’interesse degli editori si affievolisce e il coverage in prima persona di questo argomento viene messo in secondo piano se non addirittura sostituito da semplici dispacci di agenzia. La conferenza sul clima che si è tenuta lo scorso anno a Doha è un esempio che ha chiaramente evidenziato questa tendenza. In un’analisi fatta in quell’occasione, ho studiato da vicino la copertura del summit svolta da 57 siti di news in lingua inglese in 27 nazioni, 13 erano paesi industrializzati e 13 in via di sviluppo. Mi sono concentrato sulle ultime ore della conferenza, presumibilmente la fase decisiva del summit o per lo meno quella più calda per ciò che riguarda le notizie sui media.
Solo 20 dei 67 articoli che sono riuscito a rintracciare erano pezzi originali. La maggioranza, ben 39 pezzi, era composta da comunicati stampa, in particolare della Agence France-Presse (Afp), il resto era composto da semplici articoli acquistati o da materiale di ignota provenienza. Le conseguenze, se si considera la dipendenza da solo quattro agenzie di stampa occidentali, rimangono largamente sottovalutate.
Innanzitutto, gli standard giornalistici di queste agenzie sono marcatamente di stampo occidentale, quindi non risultano adeguati ai contesti culturali e politici del resto del mondo. Nel caso da me analizzato, i tre canali principali ponevano al centro della loro attenzione gli Stati Uniti. Tra i conferenzieri di prestigio, quelli citati erano tutti occidentali e trattavano esclusivamente dei loro paesi di provenienza. Gli ufficiali governativi di paesi vulnerabili, come l’Aosis (Alleanza delle piccole isole) o il gruppo dei Ldc (i paesi meno sviluppati), chiamati a riferire dei problemi che assillano le loro comunità, erano un’esigua minoranza: i dispacci della Afp si limitavano infatti alle cronache dei negoziati di Doha ed erano privi di qualsiasi approfondimento analitico o di una prospettiva globale. Inoltre, non tutti gli autori dei 20 rapporti originali pubblicati erano effettivamente a Doha. Persino in Europa occidentale, dove si presuppone che i media abbiano le disponibilità finanziarie per inviare i loro corrispondenti alla conferenza dell’Onu, alcuni giornalisti preferiscono scrivere i resoconti dei dibattiti dalla loro scrivania.
Climate News Mosaic, il nostro progetto per Cop19:
Non è azzardato prevedere che al summit sul clima di Varsavia di questi giorni il numero dei media presenti non sarà maggiore di quello delle conferenze precedenti. Al Cop-19 cercheremo di colmare questa lacuna. Un collettivo internazionale di 16 giornalisti provenienti da 13 paesi, di cui io faccio parte, ha infatti deciso di aprire un blog che si occuperà dei dibattiti in corso non in maniera convenzionale bensì cercando di partire, di volta in volta, dalla prospettiva locale di un determinato paese del mondo. Abbiamo chiamato questo progetto Climate News Mosaic (Cmm).
Sul blog posteremo brevi stralci di reporting a seconda del tipo di media per il quale lavoriamo – da un breve video di una sessione plenaria a Varsavia, a un foto di un incontro a San Francisco, uno spezzone audio di un conferenza stampa a Nairobi, una citazione di un intervista con un esperto italiano – e intendiamo inoltre avvalerci di contributi di colleghi oltreoceano. Il blog opera su una piattaforma open source sviluppata da Sourcefabric (di cui l’Ejo ha parlato in relazione a un progetto sulle elezioni in Mozambico) e donata generosamente al nostro progetto. L’Earth Journalism Network la ospiterà inoltre sulla sua pagina Web e offrirà gratuitamente i contenuti a qualsiasi tipo di media che desideri migliorare la propria copertura sul summit sul mutamento climatico.
Una volta lanciato, il blog rimarrà accessibile ai giornalisti e qualsiasi media potrà usarlo a suo piacimento. Sarà possibile infatti estrarne solo post singoli o, addirittura, includere l’intero blog su una pagina Web. Il gruppo che si è formato cinque mesi fa ha iniziato a raccogliere fondi per permettere ad alcuni giornalisti di pagarsi il viaggio e il soggiorno a Varsavia per poter dare una copertura completa dei dibattiti. La campagna di fundraising è durata un mese e ha raccolto 6000 dollari. Con questa cifra potremmo coprire i costi per tre membri del gruppo, uno dall’Italia, uno del Costa Rica e io da Israele. Da Varsavia ci proponiamo di moderare il blog per tutta la durata del summit oltre che inserire i rapporti delle conferenze.
La nostra è un’associazione no-profit e i membri del team sono tutti volontari che si sono messi a disposizione e si sono impegnati nella progettazione e nell’esecuzione sull’arco di diversi mesi. In definitiva crediamo che Climate News Mosaic, grazie ai legami e agli scambi di opinioni su un piano locale, potrà facilitare quella collaborazione transfrontaliera che finora i politici non sono riusciti a creare. Il nostro approccio si avvale di una nuova prospettiva glocal poiché cerca di incoraggiare un giornalismo originale e ampliare il coverage sul clima per far riflettere sull’evidenza che il mondo oggigiorno è totalmente interconnesso e interdipendente, come le crisi climatiche che investono il nostro pianeta.
Articolo tradotto dall’originale inglese da Alessandra Filippi
Photo Credit: CGIAR Climate / Flickr Cc
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