Da quando il famigerato “diritto all’oblio” è entrato in vigore in Europa in maggio, si è creato un ampio dibattito. Aderendo alla decisione della Corte di Giustizia dell’Ue, si dovrebbe richiedere ai motori di ricerca di eliminare i link a informazioni ritenute “inadeguate, irrilevanti o non più rilevanti”. E chi dovrebbe decidere cosa esattamente fa parte di queste categorie?
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“Google non si è trovato bene con questa decisione per molte ragioni”, spiega a Berlino Eric Schmidt, chairman di Google durante uno degli incontri voluti da Big G e il suo comitato di esperti sul tema, “in primo luogo perché il dettaglio è alquanto ambiguo, secondariamente perché significa assumere persone, ma non sappiamo quante persone dobbiamo assumere. Non conosciamo la portata reale del problema”.
Mentre la decisione si applica a tutti i motori di ricerca con un dominio europeo, Google è quello ampiamente più colpito, rappresentando infatti più dell’80% del mercato continentale delle ricerche online e più del 90% di questo in Germania. Nel solo ottobre, il colosso di Mountain View ha ricevuto da tutta Europa 142mila richieste di eliminazione di link a più di 490mila siti Web da lui indicizzati. Per cercare di chiarire il significato della sentenza europea, Google ha nominato un comitato consultivo, che include anche il co-fondatore di Wikipedia Jimmy Wales, uno dei maggiori critici del “diritto all’oblio”. Il comitato visiterà le maggiori capitali d’Europa (a Roma, l’incontro si è tenuto in settembre a Roma, qui un riassunto delle discussioni, ndr) per ascoltare i punti di vista degli esperti locali e pubblicherà un rapporto all’inizio del 2015.
Schmidt ha moderato il dibattito a Berlino, una discussione accesa che ha riflettuto l’enfasi della Germania sulla protezione dei dati personali e il mantenimento della storia. “Sono sempre stupito di come in Germania, il paese con le leggi più severe sulla documentazione del passato e sulla responsabilità degli individui nel passato, molte persone dicano senza esitare ‘questo nuoce alla mia reputazione e quindi voglio che venga cancellato da tutti i motori di ricerca’, quando si tratta, invece, di informazioni rilevanti”, ha dichiarato Frank La Rue, relatore speciale per la Commissione dei diritti dell’uomo dell’Onu, “come possiamo riconciliare correttamente questi concetti [di privacy e accesso alle informazioni, nda]?”.
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Inoltre, permettere agli individui di eliminare dei link “inibisce la capacità dei giornalisti di disseminare informazioni liberamente”, ha affermato Matthias Spielkamp, un membro del consiglio amministrativo di Reporter Without Borders Germany, “questo vale anche per i cittadini che cercano informazioni”. I link possono essere rimossi da un motore di ricerca del paese come Google.de, senza che l’editore lo sappia, facendo ingiustamente sì che questi spariscano discretamente, ha detto Spielkamp. Ha continuato poi l’attivista per la libertà di stampa: “gli editori hanno bisogno di avere notizia dell’eliminazione e la contestano, devono potere conoscere l’identità della persona che l’ha richiesta per potersi direttamente occupare della faccenda”.
Un’azienda privata non dovrebbe essere incaricata di decidere quali link eliminare, ha dichiarato Jimmy Wales, specialmente quando bisogna considerare sistemi legali complessi e differenti in ciascuna nazione europea. Ad esempio, ogni paese ha il proprio metodo per distinguere persone pubbliche e private; queste ultime possono richiedere la cancellazione di link riguardanti la loro persona. “Lo trovo filosoficamente sconcertante”, ha affermato Wales, “considerando Google come non-neutrale, nel senso che applica un giudizio editoriale tramite algoritmi per selezionare i risultati migliori, in che modo può avere il diritto di decidere quale informazione debba essere eliminata?”. Moritz Karg, un rappresentante dell’Autorità per la Protezione dei Dati di Amburgo, concorda sul fatto che ogni nazione europea dovrebbe giudicare quali link debbano essere cancellati, basandosi sulle proprie leggi e la propria cultura, ma l’eliminazione dovrebbe essere globale.
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Luciano Floridi, professore di Filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford, ha espresso infatti l’urgenza di una lettura umanistica del “diritto”: “Ho parlato con persone che sono state immensamente colpite dalle informazioni sbagliate; questo mi ha fatto cambiare la mia visione su quanto spingerci in là per proteggere lo status legale delle informazioni online, quando vite umane vengono completamente travolte”.
Ulf Buermeyer, un giudice ed esperto di legge costituzionale del Tribunale di Berlino ha sottolineato che il “Diritto al’oblio” non è eliminare, bensì “de-indicizzare”. L’informazione rimane sul Web, ma sarà più difficile da trovare. “Ciò di cui stiamo realmente parlando”, ha affermato Schmidt, “è il diritto di costringere Google a togliere dei link in certe circostanze, non di dimenticare”.
Ecco il video dell’intero dibattito a Berlino:
Articolo tradotto dall’originale inglese da Georgia Ertz
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