A pochi giorni dalla conferma da parte di Reporters sans frontières che la Svizzera – pur non senza problemi – resta saldamente nel gruppo di testa tra i Paesi che meglio garantiscono la libertà di stampa, verrebbe da chiedersi perché i giornalisti svizzeri hanno dichiarato guerra al Codice di procedura penale (CPP), reo, secondo loro, di ostacolarne il lavoro e di limitare la libertà di stampa. Un codice entrato in vigore esattamente 10 anni fa e nato con l’unico, modesto e lodevole intento di unificare una ventina di procedure penali cantonali.
La risposta sta nel corposo e autorevole report intolato “Citazione dei nomi in cronaca; libertà di stampa e doveri dei giornalisti”, voluto e appena presentato da l’ATG, l’Associazione Ticinese dei Giornalisti, in collaborazione con l’Istituto di media e giornalismo (IMeG) dell’USI di Lugano e dall’Osservatorio europeo di giornalimo (EJO). Si tratta di una precisa analisi comparata, invocata da tempo da chi in Svizzera si occupa di cronaca e di giudiziaria, ma non solo.
Il problema, ben noto anche al grande pubblico, è quello della menzione di nomi di autori e vittime di reato o vittime di incidenti. In altre parole, è possibile o col nuovo codice non è più possibile fare i nomi di chi viene condannato ad un processo e di coloro che sono vittime di un reato o di un incidente? E cambiando prospettiva: è un diritto compreso nella libertà di stampa fare questi nomi? E nel resto d’Europa qual è la situazione?
La risposta, almeno per quel che riguarda la Svizzera, sta nei pochi articoli ipergarantisti che, introdotti dieci anni fa tra le pieghe del nuovo Codice di procedura penale, impediscono di fare il nome delle vittime di reato e mettono ogni volta i cronisti a rischio di denuncia. E per analogia, o forse per timore di finire sotto processo, questi principi hanno finito per estendersi agli autori di reato e alle vittime di incidente.
Per dirla con un collega bene addentro a queste dinamiche come Andrea Manna, vicedirettore del quotidiano ticinese La Regione, si tratta di norme anacronistiche e castranti. L’art. 74.4 del CPP, ad esempio, impedisce di fare il nome di una vittima di reato senza esplicito consenso dei familiari. Quali familiari, e di che grado? E se si tratta di un personaggio conosciuto? Secondo Bruno Costantini, vicedirettore del Corriere del Ticino, si tratta di una situazione ridicola e irreale visto che sui social e su Internet si trovano immediatamente nomi, fotografie ed ogni particolare.
Il problema per i giornali è proprio questo: mentre continua a crescere l’importanza dell’informazione a disposizione sui siti e sui social, gli organi di stampa devono attenersi a regole molto rigide che impediscono di fatto di pubblicare una notizia con tutti i particolari. Disattendendo quindi uno dei principi che reggono la Cronaca e rendendo meno appetibili i giornali per il pubblico.
Ma l’art. 74.4 è scritto in modo tale da rendere il danno potenzialmente ancora più grande: quando vi è una vittima di reato non solo di principio è proibito farne il nome, ma persino “divulgare informazioni che ne consentano l’identificazione”. Quindi la vita si fa dura anche per chi dovesse cimentarsi con una inchiesta su un caso concreto.
Il nuovo report spiega che in gran parte d’Europa la situazione è completamente diversa. Tanto nei paesi di tradizione anglosassone, come in Francia e in Italia, vi è grande libertà. La Svizzera invece segue il modello tedesco ed austriaco e limita decisamente la citazione dei nomi. Tanto che diversi colleghi sono già stati multati dalla Magistratura.
La presentazione del report ha avuto grande eco nella stampa ticinese. Dopo la pausa estiva il report verrà presentato nel corso di una serata pubblica all’USI di Lugano, mentre l’ATG intende coinvolgere i deputati alle Camere federali per ottenere una revisione di quel codice.
Il report è scaribale dal sito di ATG, qui.
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