Innovazione, contaminazione, collaborazione, conversazione, sperimentazione. Sembra siano queste le parole chiave per una redazione in grado di affrontare le sfide del presente e immediato futuro. Per lo meno stando ai “Top takeaways” dell’International Newsroom Summit tenutosi ad Amsterdam qualche settimana fa, selezionati dalla World Association of Newspapers and Newspublishers.
In questo post sul sito dell’associazione, Julie Posetti, World Editors Forum Research Editor e WAN-IFRA Research Fellow ha raccolto alcune azioni che una redazione che vuole restare competitive deve intraprendere il prima possibile. Tra questi – tutti molto interessanti – ce ne sono alcuni che spiccano sugli altri: abbattere le barriere di ogni genere all’interno della redazione, sviluppare nuove competenze individuali e di gruppo e sfruttare i nuovi strumenti a disposizione, dai software gratuiti in rete ai dispositivi mobili.
Di barriere ce ne sono di diverse, fisiche tanto per cominciare: tra redattori e grafici, tra redazioni digitali, mobili e cartacee, tra redattori, giornalisti, visual o multimedia team. Della necessità di eliminarle ne ha parlato alla conferenza Marco Bardazzi, Digital Editor de La Stampa che all’adozione della piattaforma editoriale multicanale Méthode ha fatto corrispondere la creazione di una nuova redazione circolare aperta, favorevole alla comunicazione e allo scambio tra diverse professionalità. In una direzione simile sta lavorando anche il Guardian per quanto riguarda i suoi visual journalism, data journalism ed audience development team, e anche altre realtà europee come Financial Times, Trinity Mirror e Le Soir.
Anche la barriera giorno-notte è destinata a cadere, come abbiamo spiegato qui su Ejo: il pubblico è abituato a trovare notizie a ogni ora del giorno e della notte. I dispositivi mobili ci accompagnano nei “momenti in mezzo ai momenti” della nostra vita: mentre aspettiamo che il caffé sia pronto al mattino, mentre facciamo la fila, in pausa pranzo, mentre ci laviamo i denti la sera.
Ci sono poi delle “barriere culturali”: quella ancora esistente verso il digitale, quella nei confronti dei social media, quelle tra media e linguaggi diversi, quelle verso i dispositivi mobili. Molte sono dettate da una mancanza di competenze attuali, sia all’interno della redazione sia dei singoli giornalisti come spiega Lisa McLeod del FT: tra le prime ci sono la collaborazione, la comunicazione, la propensione a integrare più media e costruire prodotti coinvolgenti e interattivi, la presenza di professionalità diverse, e la capacità di essere veloci nel “progettare, realizzare e fallire efficacemente” per passare a un nuovo progetto (un concetto molto di moda ora, ereditato direttamente dalla filosofia delle startup).
Queste sono tutte anche capacità dei singoli “giornalisti contemporanei” secondo l’ideale tracciato da McLeod, alle quali si aggiungono però una familiarità con la programmazione (definita “Decoding coding”, essenziale), con i social media, con Big Data e con più di un solo medium alla volta (scrittura, fotografia, video, audio). Sembra molto, e lo è, soprattutto perché non è chiaro che non si deve saper fare tutto meglio di tutti gli altri. Per lo meno questo è quanto vedo qui a Berkeley: ci si concentra su due abilità da dominare (visual journalism e social media, coding e Big Data, scrittura e giornalismo) ma si conosce anche il resto e soprattutto si è in grado di comunicare efficacemente con tutti i membri di una redazione, dal team multimediale a quello grafico al data scientist.
Infine il make-over di una redazione dal passato al presente passa anche dall’impiego adeguato degli strumenti disponibili gratuitamente in rete e dei dispositivi mobili. Ecco qui ad esempio il kit per un moderno “mobile journalist and I-reporter” di Nicolas Bequet de L’Echo e la toolbox per data journalist “non-techies” di Robyn Tomlin di Pew Research. A queste io aggiungerei le già esistenti “Journalist Toolbox”, i “21 tips for mobile ninja” che Jeremy Caplan del Tow Knigh Center ha presentato lo scorso anno all’ONA2013, e una lista di “Free CAR tools” presentata da Matt Wynn e Martin Burch al NICAR2014.
Gli altri passi necessari per una rivoluzione nella newsroom identificati da Julie Posetti non sono meno interessanti e riguardano social media, chat rooms, creazione di contenuti virali ed etica digitale. Qui il link al suo post per esplorarli meglio.
Photo credits: Stuart Chalmers / Flickr CC
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