Corriere del Ticino, 02.04.2010
Dall’America latina, agli Stati Uniti fino al Vecchio Continente giornalisti, editori, economisti e accademici condividono fortemente una stessa visione e certamente anche la stessa speranza: c’è un futuro per il giornalismo. Ma che tipo di futuro? Questo è il dilemma. Comunque c’è molto ottimismo a riguardo: per Alan Rusbridger, direttore di Guardian News e Media, «non c’è mai stato un momento migliore per il giornalismo di quello che stiamo vivendo»; per Romanus Otte, general manager di Welt online del gruppo tedesco Axel Springer «ci attendono certamente importanti e forti cambiamenti, ma ci sarà anche da divertirsi!». Persino Philip Meyer, autore di «The Vanishing Newspaper», che nel 2004 profetizzava a breve la fine della carta stampata, oggi si dice molto più possibilista di allora confidando addirittura in una futura convivenza ed equilibrio tra carta e online.
Ottimismo a parte, la verità è che per ora riguardo al futuro non ci sono certezze. È in atto un processo, un cambiamento radicale che soprattutto chi è addetto al settore non può ignorare o sottovalutare. Può solo cercare di abbracciarlo, condividerlo e cavalcarlo secondo la propria cultura giornalistica, i propri mezzi, il contesto in cui opera, i propri lettori e le proprie ambizioni. Non ci sono formule vincenti. Come dice Meyer: «Per sapere se è la cosa giusta da fare non ci rimane che provare». L’era delle sperimentazioni dunque è destinata a continuare ancora per un po’, ma non è più fine a sé stessa. Alcuni grandi gruppi editoriali, ognuno secondo la propria filosofia, intravede modelli di business sostenibili. E quindi l’uscita dal lungo tunnel per l’editoria sembra possibile anche dal punto di vista economico.
Vediamo allora come sta cambiando il giornalismo e quali sono le maggiori tendenze secondo quanto emerso da una recente conferenza dal titolo «Giornalismo 2020: come mantenere la professionalità e riconquistare credibilità» (organizzata a Vienna da Medienhaus Wien in collaborazione con l’ Osservatorio europeo di giornalismo e con la scuola di giornalismo MAZ ), ma anche secondo Philip Meyer, professore emerito in giornalismo presso la University of North Carolina-Chapel Hill, che abbiamo intervistato.
Il giornalismo sarà partecipativo
Secondo Alan Rusbridger, direttore di Guardian News e Media, tra dieci anni il giornalismo sarà online e sarà partecipativo. La strategia del foglio britannico sta già andando in questa direzione puntando sui blog, sui social network come Twitter, sull’interattività con i lettori, ma anche sulla collaborazione con loro nel reperire fonti, risorse e materiale per i propri articoli. I giornali cartacei, se ci saranno, saranno molti di meno e il core business sarà rappresentato da quelli online. Quale sarà il modello di business vincente e sostenibile è ancora faccenda da scoprire. Per poter guardare avanti bisogna tenerlo distinto dal giornalismo. Perchè se è vero che il primo è in crisi, il secondo sta vivendo un grande momento di espressione e di circolazione attraverso i diversi supporti e le diverse piattaforme multimediali che oggi sono disponibili.
Anche per questo non crede affatto nelle notizie a pagamento sul web perché romperebbero il flusso ed ostacolerebbero quello che oggi è diventato il giornalismo partecipativo e gratuito, basato sulla fiducia e sul coinvolgimento, un giornale in cui il confine tra giornalista e lettore è molto sottile, quasi inesistente. ( Leggi il decalogo online).
PARLA L’EX SCETTICO PHILIP MEYER
«Solo le inchieste ci salveranno»
A Philip Meyer che sei anni fa aveva dato per spacciati i giornali abbiamo deciso di chiedere che cos’è che gli ha fatto cambiare idea e quali sono le sue prospettive e le sue paure per il giornalismo di domani.
Philip Meyer, fino a pochi anni fa lei teorizzava la sparizione della carta stampata. Qual è oggi la sua visione del futuro del giornalismo?
«Sono molto più fiducioso e ottimista perchè lo scenario è destinato a cambiare grazie a tutti gli interessanti esperimenti che si stanno facendo. Certamente ci sarà anche una selezione naturale, ma c’è un così forte bisogno di giornalismo che non scomparirà. Non possiamo che accettare il fatto che prenda nuove forme».
Quindi c’è futuro anche per i giornali?
«I giornali cartacei sopravvivranno se sapranno concentrarsi su quello che sanno fare meglio: continuare ad essere cani da guardia della democrazia e fare giornalismo d’inchiesta divenendo sempre più dei media specializzati anziché di massa».
Cosa pensa del giornale partecipativo come quello immaginato da Rusbridger?
«Questo è uno di quegli esperimenti di cui dicevo. Non conosco la risposta, bisogna tentare».
Anche lei è un fan di Twitter e dei social network?
«No. Non solo non so usare Twitter, non voglio!».
Rimaniamo nel tema dei social network. Contribuiscono ad aumentare quello che lei chiama l’«effetto narcotizzante» dei media provocato da un surplus di informazione?
«I social network sono certamente la causa di questo effetto, ma anche la possibile soluzione. Uno dei modi che abbiamo di dare valore aggiunto all’informazione quando ne abbiamo in eccesso è di elaborarla e strutturarla in modo tale da permettere al lettore di navigarla in lungo e in largo trovando rapidamente quello che gli occorre sapere. Un buon esempio è dato dal quotidiano americano USA Today che possiede più giornalisti per ogni settore di informazione di qualsiasi altro quotidiano e questo perchè il giornale è organizzato, indicizzato e strutturato permettendo una facile navigazione».
Che cosa pensa del’idea di far pagare i contenuti giornalistici che vanno sul web?
«Non c’è stata ancora sufficiente sperimentazione in questo senso. A mio avviso è giusto pagare per i contenuti online, non permettere un accesso gratuito e illimitato all’informazione. Però sono favorevole ai pagamenti unici, per esempio alla sottoscrizione ad un e-paper completo per un certo periodo piuttosto che al pagamento di ogni singolo contenuto».
Wolfgang Blau è dell’idea che i lettori di Zeit online sanno quello che vogliono e apprezzano la qualità del giornale. È d’accordo?
«La mia ricerca ha dimostrato che la qualità ha un valore economico per i giornali. Ho cercato di misurare la qualità analizzando diverse edizioni e ho riscontrato che quelle più qualitative hanno più successo, sono in grado di resistere al declino nel lungo termine e ad un basso indice di penetrazione. Ad un certo punto negli Stati Uniti alcuni editori e proprietari di giornali hanno pensato di puntare meno sulla qualità e più sulla quantità secondo il motto “l’importante è fare notizia e vendere”. Ma non ha funzionato».
C’è qualcosa nell’evoluzione dell’informazione online che la preoccupa in modo particolare?
«Sì. Internet incoraggia la specializzazione e induce i lettori ad assecondare i propri interessi. Questo li porta ad essere ferrati nel loro campo di competenza, ma inadeguati nel valutare le notizie generiche e la società in cui vivono. Le loro opinioni diventano superficiali e frammentate. Questo rappresenta un pericolo per la democrazia, perché riduce la capacità di giudizio complessivo del popolo. Internet sta creando l’“effetto silo”, tante comunità frequentate da gente molto competente su un argomento specifico, ma chiuse che non comunicano tra di loro».
PARERI A CONFRONTO
Se l’ego giornalistico è in crisi
Per Wolfgang Blau, direttore di Zeit online, il sito del settimanale tedesco Die Zeit, le basi su cui poggerà il giornalismo del futuro saranno il dialogo e il confronto trasparenti, aperti e paritari con il lettore. Oggi assistiamo ad una vera e propria crisi dell’ego giornalistico per cui chi esercita la professione fatica a cambiare mentalità credendo ancora di essere l’unico custode della verità, colui che decide se pubblicare o no una notizia. Non è più così. Le nuove tecnologie e i social network hanno ribaltato il paradigma dando al lettore una voce forte e chiara all’interno del processo informativo. Il giornalismo va ripensato tenendo anche conto che è sempre più difficile definirlo e che esistono diversi tipi di giornalismo (locale e nazionale per es.) e di giornali con i loro problemi specifici. E se l’inglese Guardian ha chiuso il 2009 in rosso, il settimanale Die Zeit fa profitti approfittando della crisi dei quotidiani, puntando sulla varietà e sull’approfondimento e mirando ad un pubblico profilato e di nicchia. E tenendo naturalmente conto che per potere esercitare un giornalismo di qualità, serio e indipendente è necessario avere alle spalle un’organizzazione e un editore che offrono delle garanzie e tutelano l’esercizio della professione così come non può mancare un codice etico al quale fare riferimento.
Sì ai contenuti online a pagamento
Secondo Romanus Otte , in passato giornalista e oggi general manager di Welt Online del gruppo tedesco Axel Springer, il cammino sarà tosto, bisognerà ripensare le proprie strategie e ci saranno cambiamenti notevoli, ma le potenzialità sono tali per cui l’avventura che si prospetta per il giornalismo non può che essere vista e affrontata con ottimismo.
Springer è leader in Europa e ha una chiara strategia per gli anni a venire. Nel 2009 , anno della crisi, i ricavi dei quotidiani nazionali del gruppo editoriale sono cresciuti in modo esponenziale. Lo stesso vale per i lettori, 3.7 milioni di visite complessive al mese. Il 20% di tutti i ricavi editoriali provenienti dall’online. Lo scopo per il 2015 è di incrementarli fino al 50-55%. Riguardo ai contenuti a pagamento si dice fiducioso grazie ai risultati dei test che il gruppo Welt ha condotto nel 2009. Certo non si tratta di grosse cifre, ma i risultati hanno dimostrato che le nuove strategie di business per il giornalismo del futuro devono orientarsi all’online e che i lettori sono disposti a pagare per i contenuti di qualità. (Per saperne di più…).
Puntare sulla piattaforma multimediale
Per Antoni Maria Piquè , professore associato della scuola di giornalismo presso la International University of Catalunya , è tempo di abbandonare il cartaceo perché i costi non sono più sostenibili e seguire l’esempio del quotidiano sportivo Lance! con sede a Rio De Janeiro che vanta una piattaforma multimediale di tutto rispetto: tre edizioni cartacee regionali, un sito con stazione radio, canale televisivo e un magazine mensile. Circolazione del cartaceo nel 2009: 140.000 copie giornaliere. Visite sul sito: 8 milioni. Non meraviglia che nessun giornalista di Lance! voglia lavorare per l’edizione cartacea…(Leggi l’intervista a Piquè).
Le controindicazioni
Alexis Johann, giornalista dell’austriaco Wirtschaftsblatt, mette in guardia dai social network perché spesso mettono in circolazione notizie non verificate e non attendibili, come questa: «Ricchi russi vanno a caccia di pirati lungo le coste della Somalia», pubblicata online dal suo quotidiano con una breve nota alla fine: «Trattasi di una satira». Risultato: dopo dieci minuti la notizia girava su Twitter , dopo un giorno aveva raggiunto 20.000 blog, dopo due settimane è giunta alla radio tedesca e al Daily Mirror, dopo quattro al giornale austriaco Kronenzeitung. Anche Current Tv non ha fatto eccezione. Nessuno si è preoccupato di verificare la notizia e nessuno ha letto o ripreso la nota.
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