Inga Springe, in un’intervista con Liga Ozolina, racconta il Baltic Investigative Center
Il 9 agosto 2011 un gruppo di giornalisti della Lituania, Estonia e degli Stati Uniti hanno annunciato la nascita del primo Baltic Investigative Reporting Center, una organizzazione no-profit con base a Riga, ideata per garantire l’integrità del giornalismo investigativo. L’annuncio è arrivato come una boccata d’aria fresca per chi si era rassegnato al fatto che il giornalismo d’inchiesta nei paesi baltici fosse in pericolo. Inga Springe, direttrice del centro oltre che giornalista e docente all’Università della Lettonia, discute qui gli sviluppi e le ambizioni dell’iniziativa con Liga Ozolina, responsabile del sito EJO lettone.
Come è nata l’idea di creare il Baltic Investigative Reporting Center?
“L’idea è venuta dagli USA, dove il giornalismo investigativo è promosso da organizzazioni no-profit simili. Un anno fa, attraverso il Fulbright/Humprey Fellowship Program, mi venne data l’opportunità di accrescere le mie competenze professionali negli USA. A quel tempo avevo lasciato il mio lavoro per Diena, uno dei maggiori quotidiani lettoni. Mentre non sapevo cosa avesse in serbo il futuro, ero sicura che non avrei più voluto lavorare per un settimanale o un quotidiano. Ma allo stesso tempo ero certa di come non potevo lasciare il giornalismo in modo definitivo. Ero in America quando alcuni colleghi mi manifestarono l’idea di creare un media center no-profit anche in Lettonia. Mi sono decisa a seguire l’intuizione frequentando conferenze e ripassando le pratiche del Washington Post e di una tra le più antiche e più grandi organizzazioni no-profit per l’informazione, il Center for Public Integrity. Volevo comprendere meglio i trend del giornalismo investigativo. Ho anche visitato alcune tra le più importanti organizzazioni no-profit per i media negli USA, ProPublica per esempio, vincitore tra l’altro del premio Pulitzer. Ho avuto la fortuna di incontrare Kristine Riza, una giornalista lettone che per 10 anni ha vissuto negli USA lavorando a diversi progetti di questo tipo. Lei mi ha fornito grande supporto aiutandomi con l’editing dei miei scritti e incoraggiandomi sul piano personale. Mi sono trovata immersa nell’idea di aprire il centro. Ho scoperto che di questi tempi i progetti di questo tipo sono fondamentali per supportare il giornalismo. Così mi sono detta “proviamoci in Lettonia”.
Di cosa si occuperà il vostro centro?
“Ci siamo prefissati due obiettivi principali: il primo ospitare inchieste su questioni di importanza sociale con una prospettiva anche sovrannazionale, focalizzandoci soprattutto su corruzione, crimini, finanza, imprenditoria, salute e diritti umani. Il secondo campo di azione, invece, ha a che vedere con lo sviluppo di nuovi e interessanti modi di presentare i risultati a una audience ampia. Uno dei modi che il centro vuole seguire per la presentazione dei contenuti è quello della “esperienza di lettura” che consiste nell’utilizzo di mappe interattive, grafici, timeline, foto, video e programmi speciali che propongano ai lettori un livello di comprensione più profondo degli argomenti giornalistici.
Il centro vuole utilizzare anche Internet e i social network per parlare di crimini e la corruzione, lavorando sul modello di ipaidabride.com, un sito indiano che pubblica contributi dei cittadini che postano messaggi fornendo dettagli sui tentativi di corruzione. Una nostra idea è quella di dare visibilità al diffuso problema dei furti di biciclette a Riga creando una mappa interattiva della città in Rete con report redatti dalle vittime dei furti per rendere note le zone più pericolose per i ciclisti”.
Per quale ragione il centro include tutta la regione baltica e non solo la Lettonia?
“Mentre scrivevo la proposta per il progetto, mi sono resa conto di come non avremmo ricevuto finanziamenti qualora avessimo lavorato esclusivamente all’interno dei confini lettoni. Il nostro paese è troppo piccolo. I finanziamenti sono abitualmente garantiti a progetti innovativi che sanno guardare oltre confine. Lavorare con tre nazioni baltiche ci ha dato l’opportunità di condurre progetti di ricerca comparativa che sono più di interesse per la nostra audience”.
Sei d’accordo con l’affermazione che il giornalismo investigativo stia morendo?
“Penso che il giornalismo investigativo stia morendo semplicemente perché i mezzi di informazione non hanno il tempo né le risorse per promuovere o incoraggiare inchieste. Per quanto il giornalismo di questo tipo esista ancora in Lettonia, la maggior parte dei giornalisti si occupa di analisi e tralascia l’investigazione. Negli Stati Uniti i reporter hanno al contrario la libertà di scegliere gli argomenti, mentre in Lettonia gli interessi politici e gli affari ostacolano i giornalisti. Questo stato di cose ha portato al deterioramento delle tradizioni investigative e analitiche. Sfortunatamente il giornalismo in Lettonia consiste principalmente di notizie di intrattenimento e pubblicità vagamente velata”.
Pensi che le persone siano sufficientemente interessate al giornalismo investigativo da apprezzare le attività del centro?
“Penso che le cose stiano così: le persone non sanno di cosa hanno bisogno fino a quando non lo ottengono. Se saremmo sufficientemente bravi da trovare modi di condividere i risultati delle nostre ricerche con il pubblico, le persone lo apprezzeranno. Dobbiamo tenere bene a mente che il pubblico vuole ricevere le informazioni in maniera chiara e amichevole”.
Come raggiungerete la vostra audience?
“Tradizionalmente, le organizzazioni no-profit che si occupano di media raggiungono la loro audience attraverso gli altri canali. Noi ci occuperemo della ricerca, creando le storie e proponendole gratuitamente alle aziende mediatiche. Non assumeremo alcun giornalista full-time; al contrario ingaggeremo cronisti di altre testate quando ci occuperemo di qualche progetto investigativo. Le aziende mediatiche saranno ricompensate per aver condiviso la loro forza lavoro con il diritto di esclusiva sulle ricerche, prima che altri possano avere accesso ai contenuti. Inoltre avremo un sito web che sarà lanciato alla fine di novembre, insieme alla pagina Facebook già attiva. Il portale sarà disponibile in quattro lingue: lettone, lituano, estone e inglese e sarà utilizzato come piattaforma di crowd sourcing”.
Recentemente hai fatto una intervista con Charles Lewis, il fondatore del Center for Public Integrity, il quale ha spiegato che i centri no-profit nella maggior parte dei casi sopravvivono grazie alle donazioni private. Il tuo progetto funzionerà allo stesso modo?
“Siccome non abbiamo lo stesso tipo di tradizioni in fatto di donazioni degli Stati Uniti, sono quasi sicura che non sopravvivremo solo grazie alle donazioni dei privati. Ma non me ne preoccupo troppo. La mia esperienza nel campo nelle Ong mi ha aiutata nel mettere in luce differenti opzioni di finanziamento”.
Come garantirai il sostentamento del centro?
“La scorsa primavera abbiamo ricevuto 29mila dollari dal Dipartimento di Stato americano, insieme a 10mila dollari da parte della United States Baltic Foundation. La fondazione baltica Soros ha annunciato altri 30mila euro di donazione. Con l’aiuto di questi soldi abbiamo garantito il primo anno di attività. Oltre questo termine abbiamo in programma di raccogliere fondi da una diversa unione di fonti: il 50% arriverà dalle fondazioni, il 40% da donazioni individuali e il restante 10% dalla vendita di contenuti e conducendo progetti di ricerca ad hoc. Ad essere sincera devo confessarti di aver pensato molto alla sostenibilità di tutto il progetto, ma ora lo vedo come un esperimento. Faremo del nostro meglio e alla fine il tempo ci dirà se il centro sarà in grado di mantenersi”.
Traduzione dall’originale “Baltijā iedibina bezpeļņas žurnālistikas tradīcijas” di Philip Di Salvo
Tags:Baltci Investigative Reporting Center, giornalismo investigativo, Lettonia, non profit