Il giornalismo contemporaneo ha dovuto inglobare molte novità per via del progresso tecnologico. Oltre ai cambiamenti strutturali dovuti ai nuovi strumenti messi a disposizione e a tutte le dinamiche figlie di un contesto nuovo e in costante aggiornamento, lo spettro delle cose del giornalismo è andato sempre più allargandosi, finendo per includere grandi novità che, come tali, necessitano anche di nuovi approcci. Questo processo ha interessato ovviamente anche le fonti, una delle basi della professione: in quella che Charlie Beckett e James Ball chiamano la “networked era” abbiamo, ad esempio, dovuto imparare cosa fosse un cablo diplomatico quando WikiLeaks ci ha costruito attorno uno dei più clamorosi casi giornalistici di sempre. Ma una grande sfida, da quando pressoché qualsiasi evento può essere immortalato da chiunque con un semplice cellulare, è posta dagli UGC, gli User Generated Content che costituiscono una buona parte di Internet per come la conosciamo nel 2012.
Sempre più comunemente le testate giornalistiche e i media utilizzano queste risorse come fonti, soprattutto quando rappresentano l’unica possibilità di documentazione, ad esempio, di atti bellici o violenze in contesti in cui la stampa non è libera o ai giornalisti non è consentito accedere per svolgere il loro lavoro di cronaca. Ma se fonti sono, come tali devono essere verificate per stabilirne l’effettiva veridicità e affidabilità. Come fare con i video di YouTube, ad esempio, la cui efficacia può dipendere dal fatto di trattarsi di materiali artefatti se non di prodotti di propaganda vera e propria? E come stabilire che quanto viene ripreso sia a tutti gli effetti quello che si crede? Per rispondere a questi interrogativi la BBC si affida al suo Verification Hub di Londra, una struttura che potrebbe presto diventare uno standard per le maggiori media company.
In un recente articolo per la Nieman Foundation, David Turner ha raccontato come funzionano le cose in fatto di Ugc per il servizio pubblico britannico. Nell’Hub, fondato nel 2005, lavorano ora 20 persone che si occupano di verificare i contenuti messi in Rete dagli utenti, giungendo alla persona fisica che per prima li ha condivisi per infine giudicarne la veridicità e la conseguente opportunità giornalistica di affidarsi a questi materiali. Il lavoro dell’Hub si è evoluto nel corso degli anni, hanno raccontato le persone che ci lavorano. Fino a qualche anno fa, prima che molte delle piattaforme ora di dominio pubblico come YouTube o Flickr, diventassero fenomeni globali, la BBC era solita ricevere direttamente una grandissima mole di materiali proposti da persone anonime. Ora quella tendenza si è ribaltata e buona parte del lavoro dei verificatori consiste nel fare ricerca in Rete, seguendo i buzz dei social network o gli elementi più discussi. E scovare storie vere, disinnescando potenziali bufale.
Il lavoro dell’Hub potrebbe all’apparenza sembrare qualcosa di molto tecnologico o altamente innovativo, ma si basa in realtà su un principio molto semplice: portare gli Ugc fuori dal contesto digitale e dalla sua a volte nebulosa decifrazione, fino a farli risalire a una persona fisica che risponde al telefono: sentire il tono di voce di una persona può dire molto sulla sua effettiva attendibilità. “Persone che sono genuine testimoni di eventi sono spesso desiderose di parlarne” hanno dichiarato a Turner i membri dello staff che hanno indicato quella del telefono come la strategia migliore per giungere all’origine della diffusione di un contenuto virale in Rete. Un caso recente in cui il Verification Hub della BBC ha scovato un falso riguarda un video in cui alcuni soldati, probabilmente siriani, che parlano arabo seppelliscono vivo un uomo. L’Hub in quel caso, siamo nello scorso maggio, si era attivato quando il filmato proveniente da YouTube era rimbalzato ovunque in Rete generando scandalo; con alcune verifiche l’Hub ha potuto verificare alcuni elementi: l’accento parlato dai soldati, Alawite, è quello del gruppo etnico al potere in Siria da cui provengono molti dei componenti dell’esercito; le scarpe da tennis ai piedi dei militari immortalati sarebbero un’usanza comune tra le truppe ma la voce dell’uomo seppellito nella sabbia è troppo ben udibile, come se fosse amplificata da un microfono e il video si chiude pochi istanti dopo che l’uomo scompaia sotto la sabbia. Per Trushar Barot e il suo team ci sono troppe riserve e il video viene scartato.
Anche in questo caso, è bastato fare alcune verifiche linguistiche e avere un minimo di competenza audiovisiva per risalire ai punti poco limpidi del filmato: “le persone sono sorprese di scoprire che non siamo un team molti hi-tech à la CSI” ha dichiarato Barot a Turner e anche per questa ragione pratiche di questo tipo dovranno entrare sempre di più nelle consuetudini del giornalismo contemporaneo ed essere adottate dai giornalisti stessi per velocizzare le operazioni e garantire maggior accuratezza sin dall’inizio della creazione della notizia. Barot, comunque, auspica come questi processi possano presto diventare “industrializzati”: l’aspetto più interessante rimane comunque il fatto che una grande organizzazione mediatica come la BBC possa destinare alla sola verifica delle fonti UGC ben 20 persone del suo staff. Uno scenario da paradiso dell’informazione o un esempio da cogliere al volo?
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