Il Giornale
In principio fu Bush. Nel 2005 Usa Today scoprì che aveva corrotto un suo editorialista. Poi si scoprì che anche il Pentagono faceva altrettanto e che la pratica, anzi, il malaffare era piuttosto diffuso a Washington. Brutta cosa per una democrazia. Poi venne Obama e tutti festeggiarono l’inizio di una nuova era: aria fresca, mani pulite, facce perbene. Barack voleva rifondare moralmente la capitale americana. «Lui queste cose non le farà», giuravano i suoi innumerevoli sostenitori. E invece…
Ma andiamo con ordine. La corruzione avviene seguendo la tecnica della terza parte. Ovvero: io, politico, desidero che un giornalista indipendente e autorevole sostenga la mia politica. Dunque, stanzio un finanziamento a un istituto di ricerca, il quale recluterà il giornalista a condizione che sostenga la tesi voluta. Con i docenti universitari la transazione è ancora più semplice, perché la maggior parte dei college e delle facoltà non richiede loro di rivelare i propri accordi di consulenza privati. Dunque chi accetta di difendere opinioni a pagamento non commette reati né viola i codici etici.
Si fa, semplicemente. E su grande scala. Con dei tariffari precisi. Il Wall Street Journal nel 2004 scoprì un contratto che prevedeva un forfait di 25mila dollari, più 10mila per ogni articolo o ogni apparizione in tv. Quando l’editorialista di Usa Today Armstrong Williams fu smascherato, ammise di aver ricevuto dal Dipartimento dell’Istruzione, attraverso la Ketchum Communications, che aveva un contratto di consulenza con il ministero, la bellezza di 240mila dollari. Molto più del suo stipendio.
Allora la stampa di sinistra insorse. Uno dei più indignati era il columnist del New York Times e futuro Nobel dell’economia Paul Krugman, che bastonò duramente il grande corruttore, ovvero Bush. Aveva perfettamente ragione. Ma, come hanno ricordato oggi alcuni blogger americani, Krugman e gli altri columnist allora si scagliarono contro il mandante, ma curiosamente si dimenticarono di sollevare la questione di fondo, ovvero se e quanto il sistema di corruzione fosse diffuso, sebbene proprio in quei giorni si scoprì che anche un’editorialista liberal della Washington Post, Maggie Gallagher, aveva accettato di scrivere opinioni a pagamento per 44mila dollari.
Poi, come sempre nell’era della comunicazione globale, la notizia fu inghiottita da altre news e tutti se ne dimenticarono. Ora, però, la questione torna di attualità. Anzi, dovrebbe, perché in realtà non ne ha parlato quasi nessuno. Forse perché questa volta ad allungare qualche bigliettone non è un ministro del solito Bush, ma di Obama. E a intascarli non è uno dei tanti editorialisti di Usa Today, bensì un grande nome del mondo accademico, il professor Jonathan Gruber, economista del Mit. Il quale ha ricevuto contratti di consulenza dal Dipartimento della Sanità per 392mila dollari, e da un altro ente governativo, l’Istituto nazionale della Sanità, per altri 284mila. Totale: 676mila dollari, solo nel 2009. Per realizzare studi accademici, rispettabilissimi, ma di dubbia utilità, considerato che sono stati commissionati quando la legge era già approdata in Parlamento.
In compenso lo stesso Gruber ha assunto improvvisamente una straordinaria visibilità mediatica, apparendo sovente in tv e scrivendo infuocati editoriali sulle colonne del New York Times a sostegno della riforma sanitaria voluta da Obama. Coincidenze? Forse, lo stesso Gruber, però, si è dimenticato di svelare i legami con il governo. Agli spettatori appariva come un esperto autorevole e, soprattutto, indipendente.
La sua reputazione, peraltro, non ne ha risentito. Perché la vicenda non è mai approdata sulle prime pagine dei grandi giornali, né è stata ripresa dalle Tv. E perché i guru l’hanno ignorata, come Krugman, che l’ha liquidata in poche righe nel suo blog, definendola assolutamente normale, «in quanto Gruber è rispettabilissimo e ha ricevuto fondi dal ministero della Sanità, non direttamente dalla Casa Bianca».
Chiaro, no?
Lo scandalo è stato scoperto da alcuni blogger, che da alcuni giorni insistono sulla vicenda. Pretendono un chiarimento che nessuno ha interesse a fornire. E intanto, spulciando le dichiarazioni di Gruber, hanno scoperto che Gruber è un habitué dei contratti, dal 2000 ne ha ricevuti in tutti quasi per quesi 3 milioni di dollari, commissionati, anche dal Dipartimento di Stato e da quello di Giustizia.
Un segnale preoccupante. L’impressione è che purtroppo si tratti di un sistema consolidato. Il numero di professori, studiosi, giornalisti che ricevono commesse pubbliche (e spesso private da parte di grandi gruppi) è enorme negli Stati Uniti, commesse che però non vengono mai svelate. E così l’opinione pubblica ritiene autorevoli e indipendenti studiosi che in realtà non lo sono.
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