L’evoluzione dell’attivismo digitale in Cina

24 Giugno 2014 • Digitale, Libertà di stampa • by

Chi frequenta abitualmente il cyberspace cinese avrà probabilmente sentito nominare il “Watch Brother”, uno dei casi più emblematici nell’evoluzione dell’attivismo digitale cinese degli ultimi anni. Si tratta della vicenda che ha visto protagonista Yang Dacai, Direttore del Bureau of Work Safety della provincia di Shannxi, che si è guadagnato una discreta fama con questo appellativo per una foto risalente all’agosto del 2012 diventata virale sui social media cinesi. Mentre si trovava sulla scena di un incidente dove alcune decine di persone hanno perso la vita su un bus a due piani, Yang è stato infatti ritratto mentre sogghignava a un collega in una foto scattata con uno smartphone da un guidatore che passava sul luogo dello schianto.

L’autore della foto ha poi postato lo scatto sul suo blog personale, lamentando la crudeltà di un ufficiale pubblico di fronte alla tragedia. L’immagine è circolata moltissimo anche su Weibo e QQ, con la conseguente reazione indignata degli utenti, che hanno anche individuato il modello e il prezzo dell’orologio indossato da Yang seguendo la pratica che in Cina è nota come “Human-flesh search” e in italiano è conosciuta come “Motori di ricerca di carne umana”. Quello del “Watch Brother” è solo uno dei numerosi esempi di un movimento che ha preso vita sui social media cinesi in tempi recenti; anche se non ha di certo avuto la medesima influenza complessiva che si è vista con le Primavere arabe, il suo impatto sulla cittadinanza cinese in termini di potenziale aggiunto non è di certo meno potente, come dimostrano diversi esempi.

Nelle sue diverse manifestazioni, come nel caso di Yang Dacai, una formula è identificabile e ricorrente: una persona fa esplodere un caso su uno dei numerosi social media popolari in Cina, sfruttando anche il sostegno offerto dei numerosi commenti, grazie ai quali viene facilmente l’attenzione di altri netizen. L’episodio del “Watch Brother” non è quindi un caso isolato e rappresenta al contrario uno degli esempi che, negli ultimi anni, ha ridefinito i contorni dell’attivismo cinese sui social media. Le specifiche di altre dinamiche in atto possono essere inserite nel contesto di altri fattori, spesso interconnessi. La prima cosa da notare sui social media in Cina è la loro grandezza.

QQ, per esempio, il maggiore servizio di messaggistica istantanea per computer e smartphone, ha registrato il record di 200 milioni di utenti simultanei nell’aprile del 2014 e ora conta più di 800 milioni di utenti attivi. Weibo, il popolarissimo Twitter cinese, ha ora una user base attiva di più di 280 milioni di persone e oltre 61 milioni di utenti vi accedono nel giorno medio. WeChat, il servizio di messaggistica voce e testo è a sua volta in fortissima crescita e raggiunge ben 600 milioni di utenti, 100 dei quali sono fuori dalla Cina. Ricercatori che si occupano di network analysis hanno dimostrato come la grandezza sia uno dei maggiori indicatori dell’impatto di un network e della sua efficacia ed è, conseguentemente, un ottimo indicatore del ruolo che i social media stanno avendo nel dare forma alla società cinese. La vastità dei network, inoltre, impone anche un’enorme sfida per i censori di stato e rende possibili diverse attività polemiche sui social network cinesi.

La seconda considerazione da fare è la natura ipercontrollata dei media cinesi tradizionali. Decenni di riforme hanno portato il sistema dei media in Cina dal vecchio modello supportato dallo stato all’attuale sistema finanziario basato sul mercato. Seguendo questo processo, i media si sono quindi fatti progressivamente più attenti alle richieste e agli interessi delle audience e del pubblico. Il partito di stato, comunque, non ha mai abbandonato il controllo ideologico sui media e i professionisti ricevono periodicamente indicazioni su come adempiere alle funzioni richieste dallo stato. Comprensibilmente, per mantenere la propaganda di stato fuori dai loro uffici, i media tendono a evitare questioni controverse e argomenti poibiti dal potere. Non è una sorpresa, quindi, che per lo più siano contenuti poco interessanti o urgenti a occupare lo spazio dei media tradizionali.

Per questo motivo, i maggiori media godono di un livello molto basso di credibilità presso i lettori e i netizen cinesi. L’informazione pubblicata dai Big Three – CCTV, People’s Daily e Xinhua News Agency – spesso diventa motivo di pubblico ridicolo e disprezzo. Un esempio evidente proviene dallo scorso febbraio, quando CCTV ha mandato in onda un servizio investigativo sulla rampante mercato della prostituzione nella città di Dongguan, da cui è scaturito un veloce e forte giro di vite delle autorità locali. In risposta a questo evento, numerosi netizen cinesi sono andati sui social media per difendere le prostitute, attaccando CCTV per aver colpito questo gruppo di persone piuttosto vulnerabile, evitando invece quelli che sono considerati argomenti più urgenti, come la corruzione, l’inquinamento e la diffusa disoccupazione.

In un altro caso, risalente invece al dicembre del 2013, il Presidente cinese Xi Jinping è stato immortalato mentre mangiava in un ristorante di Pechino parlando con gli altri avventori del locale, una vera rarità nella vita pubblica cinese, dove la routine delle persone con cariche pubbliche, al contrario, prevede il confinare le proprie attività lontano dai cittadini, dove queste sono accessibili solo alla tv di stato o alle foto ufficiali. Bisogna notare come la notizia avesse iniziato a circolare inizialmente come un incontro casuale, accompagnata per di più anche da alcune foto scattate da angolature scelte con grande cura e dovizia di particolari.

Alcuni netizen hanno però notato presto come la diffusione della notizia non fosse esattamente spontanea come dovesse invece sembrare, dato che i Big Three dell’informazione erano stati i primi a riproporre la notizia, pochi minuti dopo la prima apparizione. Ciò nonostante, la natura insolita della news, ha reso il fatto un trending topic su Weibo per diversi giorni. È suggestivo notare come i media di stato, in questa occasione, invece di seguire il consueto “protocollo” riservato alle notizie su personalità politiche, abbiano invece scelto di riportare questa notizia come una storia “da social media”.

I contenuti tratti dai social media, dato il loro carattere incentrato sugli utenti, godono di una considerazione speciale presso i netizen cinesi. Paragonati con i loro omologhi in altri paesi, i cinesi hanno infatti una maggiore tendenza a contribuire contenuti e a fidarsi dei materiali Ugc (anche se si registrano episodi che vanno nella direzione opposta, ndr). I cinesi sono anche più inclini a credere di poter ottenere cambiamento grazie alla partecipazione online. La natura molto controllata e chiusa dell’ambiente convenzionale dell’informazione, in Cina, ha l’effetto di incanalare gli interessi degli utenti e le loro attività verso lo spazio online, dove l’informazione può circolare più a ruota libera.

Clay Shirky ha osservato nel suo libro più celebre che i social media consentono alle persone di “organizzarsi senza organizzazione”. Questo crea nuove possibilità, specialmente nel contesto dell’attivismo sui social network in Cina. La ragione principale è che la strategia ufficiale adottata nei decenni recenti dal regime cinese è stata quella di individuare e isolare (e spesso punire) un numero piccolo di leader e dissidenti al fine di far deragliare i movimenti sociali a loro connessi e che potevano essere considerati incendiari e minacciosi. L’azione collettiva attraverso la collaborazione di massa e il coordinamento senza leader identificabili ha reso quindi l’attivismo sociale cinese sostenibile nella “networked era” in cui l’autoritarismo mantiene comunque ancora una presenza molto palpabile e spesso formidabile. Senza distinzioni, i social-media e gli smartphone giocano un ruolo indispensabile nell’attirare l’attenzione su alcune istanze e nell’organizzare la partecipazione. La grandezza del dissenso presente nelle proteste di strada organizzate tramite i social media ha portato, in molti casi, le autorità locali a mettere in pausa o abbandonare i loro contestati progetti.

Un fattore ancillare che ha reso la Cina un focolaio per l’attivismo digitale sono le mutevoli condizioni sociopolitiche conseguenti a decenni di evoluzione verso il mercato nel settore dei media. Infine, il regime cinese ha chiuso un occhio sulle crescenti forme di attivismo digitale e, in diverse occasioni, persone auto-organizzatesi sono riuscite a ottenere accountability e risposte ufficiali nel caso di rimostranze o provvedimenti. Bisogna comunque sottolineare che, fino a questo momento, il focus delle campagne di maggior successo si è indirizzato verso questioni specifiche e locali. Qualsiasi tipo di tentativo di mettere in discussione l’autorità centrale o la legittimità del partito-Stato non è stata tollerato e, con ogni probabilità, sarà destinato a essere trattato con il pugno di ferro anche nel prossimo futuro.

Articolo tradotto dall’originale inglese

Photo credits: Cedric Sam / Flickr CC

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