La ricerca di un modello sostenibile, in un mondo proiettato sempre più verso l’informazione su web, passa anche attraverso una revisione sostanziale del valore economico della professione giornalistica
“Temo che ci saranno più giornalisti, ma sempre meno giornalisti che saranno pagati. Questo farà del giornalismo una professione assai meno lucrativa rispetto al passato”. L’opinione espressa da Adrian Michaels del Telegraph Media Group, rivela quanto precaria possa essere la professione giornalistica in una prospettiva futura. I segnali, già oggi, ci sono tutti: redazioni che sono state oggetto di pesanti ristrutturazioni, un numero sempre più limitato di risorse interne, un’attenzione sempre più forte alla riduzione e controllo dei costi. Tutto questo avviene in un momento in cui la produzione complessiva di contenuti da parte dei singoli giornali continua progressivamente ad aumentare. In un bell’articolo del Sunday Times, a firma di Ed Caesar, si afferma che i giornalisti producono tre volte tanto quello che si produceva 20 anni fa.
La diversificazione dei canali di comunicazione, carta più web, ha amplificato la necessità di trovare una formula di sostenibilità economica che, in assenza di ricavi adeguati, si riflette in una politica che tende a deprimere il costo della produzione dei contenuti. In altre parole: ridurre il costo del giornalista. Al di là delle protezioni sindacali di cui godono i giornalisti che si sono inseriti nelle strutture editoriali negli anni passati, per coloro che si affacciano alla professione giornalistica le condizioni sono sempre più difficili. Significa lavorare gratis, o quasi.
I giornali, e il mondo della comunicazione in generale, potranno in futuro disporre di manodopera sempre più a basso costo. Per una ragione molto semplice: all’apice della crisi dell’editoria l’interesse a diventare parte integrante del processo di creazione dell’informazione è in continua crescita. Internet e il web hanno dato a tutti la possibilità di immettere contenuti in rete. Coloro che avevano l’ambizione di essere giornalisti, di fronte a un mercato incapace di assorbire nuove risorse, si è mosso in autonomia cercando di avere una propria visibilità in rete. Un enorme flusso di informazioni, opinioni, che crea un un mondo parallelo a quello delle strutture tradizionali giornalistiche. Non ha nemmeno senso, cercare di stabilire il livello di qualità di quanto immesso in rete, è un fenomeno che esiste, talvolta è spazzatura, talvolta è superiore alla qualità stessa che si può trovare all’interno dell’establishment giornalistico. Di fatto esiste un’offerta che supera di gran lunga la domanda. E in condizioni di questo tipo significa alimentare un effetto di de-valorizzazione economica della professione.
Pur di lavorare in un giornale si è disposti a non essere pagati. Coloro che vogliono accedere alla professione sono in numero di gran lunga superiore a quanto richiesto dal mercato. Nell’articolo del Times si racconta che nel settembre scorso per una ricerca di una posizione reporter al website del Sunday Times presentarono il proprio curriculum 1.200 persone. Di fatto si sta andando verso un sistema di creazione di contenuti gratuito, coerente, del resto, con la formula di accesso gratuito alle notizie: se le notizie non hanno un costo di acquisizione perché pagare il giornalista che le crea?
Si è perfino coniata una nuova definizione, Citizen Journalist, che di fatto, come afferma Fréderic Filloux è una definizione in codice di contenuti gratis. Dalla provocazione innescata da Filloux è nata una discussione, riportata da LSDI, alimentata da un articolo di Tom Forensky su ZDNet nel quale si afferma che “La ragione per cui vedimao l’ascesa del giornalista-cittadino su quello professionale sta tutta nei dati economici del settore. Se Huffington Post ha avuto un grande successo è perché è riuscito a tenere i costi molto bassi e perché cerca di raccogliere gratis quanti più contenuti è possibile”.
In definitiva, la ricerca di un modello sostenibile, in un mondo proiettato sempre più verso l’informazione su web, passa anche attraverso una revisione sostanziale del valore economico della professione giornalistica.
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