Quando gli organi di stampa si aprono ai commenti dei loro lettori, spesso non mancano le sorprese e, una volta aperta la porta digitale, i giornali si rendono velocemente conto di come gli utenti sappiano anche dimenticare le loro buone maniere sull’uscio. Alcuni insultano, altri sbraitano, altri ancora fanno i prepotenti e sessismo e xenofobia spesso appaiono sulla scena come ospiti sgraditi. Alcuni ricercatori nel campo dei media studies hanno iniziato a studiare il fenomeno approfonditamente, ma già qualche primo risultato getta un po’ di luce sulle questioni centrali. Ecco una review di alcuni studi pubblicati di recente su questo argomento.
Una premessa: gli organi di informazione hanno linee guida diverse e le community di lettori in genere non si possono paragonare tra di loro perché molto eterogenee. Alcuni casi studiati negli Stati Uniti e in Canada hanno rivelato che una percentuale variabile tra il 20 e il 50% dei commenti nelle sezioni apposite dei giornali online è in qualche modo incivile. Ma anche un chiarimento terminologico è necessario perché non tutti i commenti sgarbati sono da considerarsi necessariamente “incivili”: a questo proposito, Kevin Coe e i suoi colleghi dell’Università dello Utah e dell’Arizona identificano le inciviltà come “tratti di una conversazione che trasmettono un tono inutilmente irrispettoso al forum di discussione, ai suoi partecipanti o ai temi”.
Alcuni risultati di ricerca recenti indicano anche che non tutti i troll sono uguali e non tutti i troll online sono necessariamente degli hater: Erin Buckels dell’Università di Manitoba e suoi colleghi, ad esempio, hanno analizzato le personalità dei troll online e la loro conclusione è che il 5% dei commentatori proverebbe piacere nel dolore altrui, trattandosi quindi di “sadici della quotidianità esemplari” che “vogliono solo divertirsi[…] e Internet è il loro parco giochi”. Un simile tentativo di spiegare le motivazioni dei troll è stato sviluppato anche all’Indiana University, dove Pnina Shachaf e Noriko Hara hanno esaminato il comportamento dei troll su Wikipedia e hanno scoperto che noia, vendetta, ricerca di attenzione e piacere nel causare danni sono i fattori propellenti.
Tuttavia, non ogni troll è un trasgressore “patologico”. Coe e i suoi colleghi hanno svolto un case study sui forum di discussione dell’Arizona Daily Star e hanno concluso che gli utenti saltuari sono complessivamente più incivili nei loro commenti di quelli regolari. I ricercatori hanno anche indagato se fossero fattori specifici a scatenare commenti maleducati e i risultati sono chiari: temi controversi come politica o sport e particolari firme della testata attraggono normalmente più commenti incivili, mentre anche il coinvolgimento di personalità importanti, come ad esempio quella di Obama, può portare a un inasprimento dei toni.
Perciò, il contesto è importante. Chiaramente non c’è nulla di sbagliato nelle polemiche e, al contrario, discussioni appassionate sono essenziali per la democrazia. Se però il tono della conversazione diventa troppo aggressivo e di parte, le ramificazioni del dibattito possono essere drastiche. I risultati delle ricerche in quest’area possono essere sintetizzati così: i dibattiti incivili indeboliscono la fiducia e portano alcuni utenti a essere apatici. Tuttavia, d’altro canto, gli utenti sono più inclini a partecipare ai forum di discussione se il dibattito è più controverso e aspro perché il conflitto è un incentivo maggiore a commentare di quanto sia il consenso.
Ancora più interessanti sono i risultati della ricerca svolta dalla George Mason University e dalla University of Wisconsin da un team guidato da Ashley Anderson, ora Assistant Professor alla Colorado University. Per questo paper, i ricercatori hanno verificato se e in che misura i commenti maleducati correlati a un articolo influenzino il modo in cui l’articolo stesso viene letto. per rispondere a questa domanda gli autori hanno composto due gruppi e hanno dato a ciascuno di questi un articolo di cronaca da leggere: il fatto trattato era scritto in modo neutrale, bilanciando i “pro” e i “contro” di un tema controverso (la nanotecnologia, ndr). Il primo gruppo ha letto l’articolo seguito da un alto tasso di commenti incivili, mentre nel secondo caso l’articolo in analisi aveva commenti di tono più rispettoso. Un questionario inoltrato ai partecipanti ha poi rivelato che gli utenti reagiscono in modo più critico alle informazioni se la discussioni nei commenti è incivile.
I ricercatori dell’Università del Texas hanno invece testato le strategie degli organi di informazione per moderazione le discussioni e, secondo i loro risultati, il fatto che il dibattito sia moderato è d’aiuto, specialmente se vengono poste domande specifiche ai lettori e vi sono risposte dirette ai feedback degli utenti.
L’anonimato nei forum di discussione è una questione problematica. Alcune prime ricerche mostrano che utenti anonimi sono più inclini ad adottare un comportamento maleducato rispetto a quelli registrati con il loro vero nome. In uno studio comparativo di 14 quotidiani Usa, Athur Santana della Houston University ha scoperto che più della metà dei commenti anonimi erano incivili, mentre solo un quarto degli utenti registrati sferravano attacchi.
L’anonimato, comunque, ha anche un vantaggio: ricercatori della Rutgers University hanno fatto un sondaggio tra i commentatori anonimi del Sacramento Bee: il 40% di loro ha dichiarato che non commenterebbero più se fossero obbligati a registrarsi con il loro vero nome.
Articolo tradotto dall’originale inglese da Georgia Ertz. Una versione in tedesco è stata pubblicata inizialmente per il giornale austriaco Der Standard
Photo credits: De Platypus, Flickr
Fenomenologia del troll online
3 Ottobre 2014 • Digitale, Ricerca sui media • by Thomas Schmidt
Quando gli organi di stampa si aprono ai commenti dei loro lettori, spesso non mancano le sorprese e, una volta aperta la porta digitale, i giornali si rendono velocemente conto di come gli utenti sappiano anche dimenticare le loro buone maniere sull’uscio. Alcuni insultano, altri sbraitano, altri ancora fanno i prepotenti e sessismo e xenofobia spesso appaiono sulla scena come ospiti sgraditi. Alcuni ricercatori nel campo dei media studies hanno iniziato a studiare il fenomeno approfonditamente, ma già qualche primo risultato getta un po’ di luce sulle questioni centrali. Ecco una review di alcuni studi pubblicati di recente su questo argomento.
Una premessa: gli organi di informazione hanno linee guida diverse e le community di lettori in genere non si possono paragonare tra di loro perché molto eterogenee. Alcuni casi studiati negli Stati Uniti e in Canada hanno rivelato che una percentuale variabile tra il 20 e il 50% dei commenti nelle sezioni apposite dei giornali online è in qualche modo incivile. Ma anche un chiarimento terminologico è necessario perché non tutti i commenti sgarbati sono da considerarsi necessariamente “incivili”: a questo proposito, Kevin Coe e i suoi colleghi dell’Università dello Utah e dell’Arizona identificano le inciviltà come “tratti di una conversazione che trasmettono un tono inutilmente irrispettoso al forum di discussione, ai suoi partecipanti o ai temi”.
Alcuni risultati di ricerca recenti indicano anche che non tutti i troll sono uguali e non tutti i troll online sono necessariamente degli hater: Erin Buckels dell’Università di Manitoba e suoi colleghi, ad esempio, hanno analizzato le personalità dei troll online e la loro conclusione è che il 5% dei commentatori proverebbe piacere nel dolore altrui, trattandosi quindi di “sadici della quotidianità esemplari” che “vogliono solo divertirsi[…] e Internet è il loro parco giochi”. Un simile tentativo di spiegare le motivazioni dei troll è stato sviluppato anche all’Indiana University, dove Pnina Shachaf e Noriko Hara hanno esaminato il comportamento dei troll su Wikipedia e hanno scoperto che noia, vendetta, ricerca di attenzione e piacere nel causare danni sono i fattori propellenti.
Tuttavia, non ogni troll è un trasgressore “patologico”. Coe e i suoi colleghi hanno svolto un case study sui forum di discussione dell’Arizona Daily Star e hanno concluso che gli utenti saltuari sono complessivamente più incivili nei loro commenti di quelli regolari. I ricercatori hanno anche indagato se fossero fattori specifici a scatenare commenti maleducati e i risultati sono chiari: temi controversi come politica o sport e particolari firme della testata attraggono normalmente più commenti incivili, mentre anche il coinvolgimento di personalità importanti, come ad esempio quella di Obama, può portare a un inasprimento dei toni.
Perciò, il contesto è importante. Chiaramente non c’è nulla di sbagliato nelle polemiche e, al contrario, discussioni appassionate sono essenziali per la democrazia. Se però il tono della conversazione diventa troppo aggressivo e di parte, le ramificazioni del dibattito possono essere drastiche. I risultati delle ricerche in quest’area possono essere sintetizzati così: i dibattiti incivili indeboliscono la fiducia e portano alcuni utenti a essere apatici. Tuttavia, d’altro canto, gli utenti sono più inclini a partecipare ai forum di discussione se il dibattito è più controverso e aspro perché il conflitto è un incentivo maggiore a commentare di quanto sia il consenso.
Ancora più interessanti sono i risultati della ricerca svolta dalla George Mason University e dalla University of Wisconsin da un team guidato da Ashley Anderson, ora Assistant Professor alla Colorado University. Per questo paper, i ricercatori hanno verificato se e in che misura i commenti maleducati correlati a un articolo influenzino il modo in cui l’articolo stesso viene letto. per rispondere a questa domanda gli autori hanno composto due gruppi e hanno dato a ciascuno di questi un articolo di cronaca da leggere: il fatto trattato era scritto in modo neutrale, bilanciando i “pro” e i “contro” di un tema controverso (la nanotecnologia, ndr). Il primo gruppo ha letto l’articolo seguito da un alto tasso di commenti incivili, mentre nel secondo caso l’articolo in analisi aveva commenti di tono più rispettoso. Un questionario inoltrato ai partecipanti ha poi rivelato che gli utenti reagiscono in modo più critico alle informazioni se la discussioni nei commenti è incivile.
I ricercatori dell’Università del Texas hanno invece testato le strategie degli organi di informazione per moderazione le discussioni e, secondo i loro risultati, il fatto che il dibattito sia moderato è d’aiuto, specialmente se vengono poste domande specifiche ai lettori e vi sono risposte dirette ai feedback degli utenti.
L’anonimato nei forum di discussione è una questione problematica. Alcune prime ricerche mostrano che utenti anonimi sono più inclini ad adottare un comportamento maleducato rispetto a quelli registrati con il loro vero nome. In uno studio comparativo di 14 quotidiani Usa, Athur Santana della Houston University ha scoperto che più della metà dei commenti anonimi erano incivili, mentre solo un quarto degli utenti registrati sferravano attacchi.
L’anonimato, comunque, ha anche un vantaggio: ricercatori della Rutgers University hanno fatto un sondaggio tra i commentatori anonimi del Sacramento Bee: il 40% di loro ha dichiarato che non commenterebbero più se fossero obbligati a registrarsi con il loro vero nome.
Articolo tradotto dall’originale inglese da Georgia Ertz. Una versione in tedesco è stata pubblicata inizialmente per il giornale austriaco Der Standard
Photo credits: De Platypus, Flickr
Tags:anonimato, commenti, commenti online, giornalismo digitale, giornalismo online, ricerca sui media, trasparenza
Informazioni sull'autore
Thomas Schmidt
Articoli simili
Intelligenza artificiale e giornalismo: riflessioni dal Festival Glocal
XVIII edizione del Festival Internazionale del Giornalismo
Sistemi ibridi: opportunità e limiti di un concetto...
Dubbi e riserve sull’IA nel giornalismo svizzero
Intelligenza artificiale e giornalismo: riflessioni dal Festival Glocal
20 Novembre 2024
Giornalisti al Comando: Progettare Strumenti IA
18 Novembre 2024
DIG FESTIVAL: un “j’accuse” da record
2 Ottobre 2024
AfroMedia: il nuovo network dell’African Media Research Community
18 Settembre 2024
XVIII edizione del Festival Internazionale del Giornalismo
11 Aprile 2024
Per una definizione di data journalism
4 Marzo 2015
13 cose che ogni giornale può imparare da BuzzFeed
31 Marzo 2015
Editoria 2011, nella continuità della sperimentazione
16 Dicembre 2010
Quando le storie si trovano tra i dati
1 Aprile 2015
Se i comunicati stampa perdono rilevanza
29 Luglio 2014
I politici italiani non sanno usare i nuovi media
12 Aprile 2012
BBC, il data journalism come servizio pubblico
13 Aprile 2015
Anche la Cnn punta sul mobile
10 Febbraio 2014
Le Huffington Post
1 Febbraio 2012
Perché i giornalisti twittano così tanto?
25 Novembre 2013
Gestito da
Iscriviti alla nostra newsletter
Segui EJO su Facebook
Archivi
Link