Anche dai numeri arriva la conferma: il panorama europeo dell’informazione iperlocale è ancora frastagliato e i confini pesano molto (forse troppo) su un settore editoriale che spesso si indica come strategico e in espansione. Se da un lato appare scontato che il territorio incida sulla vita e sullo sviluppo del giornalismo hyperlocal, allo stesso modo ci sono molti condizionamenti esterni (legislativi e amministrativi principalmente) che scavano solchi più profondi dei confini tra coloro che nei diversi angoli della Ue raccontano i propri territori e le proprie comunità locali attraverso siti, app o giornali cartacei.
È quanto emerge dal nuovo studio Hyperlocal revenues in the UK and Europe, promosso dalla fondazione Nesta sulle condizioni di 35 operatori in 5 Paesi. Nesta è una fondazione londinese che si occupa di innovazione e che ha dedicato all’hyperlocal journalism diverse pubblicazioni, compreso il Manuale di sopravvivenza per startup di informazione iperlocale pubblicato nel 2014. Il nuovo studio comparativo, pubblicato lo scorso 27 ottobre, giunge a due conclusioni: è necessario che chi si inserisce nel business dell’informazione locale e di comunità pensi anche a strategie di lungo-medio periodo e abbandoni lo sguardo un po’ miope della mera sopravvivenza. Inoltre, occorre che anche a livello europeo si pongano le condizioni per rendere il mercato più omogeneo, fatta salva comunque l’interpretazione a misura di proprio territorio che ognuno declinerà nella propria attività operativa.
Attraversare la Manica
La fondazione Nesta in passato ha collaborato anche con il Centre for Community Journalism dell’Università di Cardiff per What’s next for Community Journalism?, convegno avvenuto lo scorso anno e che è stata l’occasione per fare un primo bilancio dello scenario in Gran Bretagna. Proprio da quella esperienza, è stato avviato il progetto di indagine presentato alla fine di ottobre.
Oltre la linea di galleggiamento
Lo studio, curato da Clare Cook, Kathryn Geels e Piet Bakker, ha messo sotto lente di ingrandimento 35 media company con base nel Regno Unito (13), Olanda (12), Francia (6), Belgio (2) e Svezia (2). L’obiettivo della ricerca è fornire alcuni spunti ed esempi per rendere efficiente il modello di business e per cercare di andare oltre il pareggio (nel migliore dei casi). Solo otto di queste testate, divise tra Gran Bretagna (2) e Olanda (6), si autodefiniscono in uno stato di espansione. La stragrande maggioranza preferisce invece dividersi tra una sostanziale linea di galleggiamento tra costi e ricavi (12) e una lieve sostenibilità, sufficiente per pagare spese extra di infrastrutture e stipendi (13).
La ricerca è stata svolta nell’autunno del 2015 e si è rivolta a organizzazioni che, secondo i canoni di Nesta, al di là del supporto di pubblicazione, digitale o cartaceo, rispettassero la definizione di iperlocale. La fondazione si è quindi concentrata su tutti quegli attori che producono contenuti legati specificamente a una città, un paese, a un singolo codice postale o altre piccole comunità concentrate geograficamente. In realtà, proprio per questo forte condizionamento con la realtà nella quale i media iperlocali nascono e si sviluppano, o almeno tentano di farlo, spesso si cerca di dare all’intero settore un’immagine di agglomerato omogeneo, quando, invece, sono molte le differenze di mezzo, pubblico e obiettivo che stanno alla base delle diverse esperienze.
A questo panorama frastagliato, si aggiungono anche le condizioni nazionali, che possono variare. La ricerca analizza principalmente le condizioni fiscali diverse che regolano la pubblicazione di informazione locale e le varie strategie che contrappongono soggetti operanti in territori circoscritti ai media mainstream nazionali. Nell’alternanza tra affinità e differenze, tra costanti e variabili, però, uno dei primi punti fermi è la mancanza di un’unica fonte di ricavi sufficiente per rispondere alle esigenze di sviluppo delle imprese mediatiche. La via che si percorre più frequentemente in Europa e negli Stati Uniti è la combinazione di più fonti di reddito che possano rispondere alle esigenze dei potenziali clienti per raggiungere il mercato mobile e social, nazionale e internazionale.
Un mix di fonti di finanziamento che deve ancora fare i conti con una strategia ancora fortemente legata alla pubblicità display con i banner che restano il principale prodotto nelle mani delle agenzie pubblicitarie. Tra gli altri ricavi si segnalano native advertising, pay per click, abbonamenti, paywall, membership o donazioni, mentre tra le punte più avanzate, i fondi freschi derivano da premi o bandi, crowdfounding e vendita di dati. Josh Stearns per la Geraldine R. Dodge Foundation aveva stilato un elenco di 52 idee per sostenere il giornalismo locale che può trasformarsi in un’utile to-do list per tutti gli operatori.
Questione di contenuti
Sempre sul fronte delle costanti, un filo rosso che connette la maggior parte delle esperienze censite coinvolge gli argomenti trattati. Proprio per legare a doppio filo la cronaca al territorio, il 32% per cento delle testate analizzate nello studio si concentra sulla politica e l’amministrazione locale aumentando la vocazione di media “di servizio” a favore della comunità. Da questo punto di vista, momenti di forte coinvolgimento e partecipazione come le elezioni, diventano cruciali per la vita dei media e del loro rapporto con il pubblico. La molteplicità delle fonti di ricavo, inoltre, spesso si lega ai supporti attraverso i quali passano le informazioni: l’aumento delle competenze sul fronte multimediale (audio-podcasting, video-multimedia) è infatti anche strettamente legato a nuove opportunità di monetizzazione dei contenuti.
Destination Local
Il report è l’ultimo passo in ordine cronologico del progetto Destination Local curato proprio da Nesta. L’obiettivo del progetto è quello di aumentare la conoscenza di un nuovo mercato e stimolare l’intero ecosistema ad aumentare il livello qualitativo dell’offerta. Il punto di partenza è stata la ricerca Here and Now di Damian Radcliffe.
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