La pandemia ha legittimato e reso più rilevante il giornalismo

4 Novembre 2021 • Giornalismi, Più recenti • by

Quando la pandemia di COVID-19 si è diffusa in Europa all’inizio del 2020, la Spagna è stata uno dei primi paesi a subirne l’urto. A partire da marzo di quell’anno, il paese è stato sotto coprifuoco per più di tre mesi. “Era una situazione che ci teneva tutti in pugno, per la quale nessuno di noi era preparato”, mi ha detto l’editor di una rivista in un’intervista.

L’editor era uno dei dieci giornalisti spagnoli con cui ho parlato delle loro esperienze durante la pandemia per la mia tesi di laurea all’Istituto di giornalismo dell’Università di Dortmund. Obiettivo del MIO lavoro era capire come la pandemia avesse influenzato la percezione dei giornalisti dei loro ruoli professionali in Spagna.

Certamente, la crisi ha introdotto nuove e inaspettate pressioni sulla professione e la richiesta di informazioni affidabili è salita alle stelle. Quasi tutti gli intervistati e le intervistate hanno infatti parlato di un forte aumento del carico di lavoro insieme a fattori di stress legati alle continue scadenze.

Allo stesso tempo, la pandemia ha reso le condizioni di lavoro sempre più difficili. Improvvisamente, tutti e tutte hanno dovuto ricorrere al lavoro a distanza, le interviste faccia a faccia e le interazioni in redazione erano impraticabili e, almeno inizialmente, la produzione di contenuti audiovisivi era quasi impossibile. Inoltre, c’era una conoscenza limitata del nuovo virus e molta disinformazione che circolava sui social media.

Ruoli in conflitto
Ma la crisi non ha solo sconvolto le pratiche quotidiane del lavoro nei media, ha anche colpito la vita privata di chi ci lavora all’interno. “Sei sotto coprifuoco, non esci da mesi, sei spaventato e ansioso, ti preoccupi per la tua famiglia. Per forza ti riguarda personalmente”, ha dichiarato uno dei giornalisti intervistati. Altri intervistati hanno anche riferito di aver provato ansia per la sicurezza dei propri cari, oltre a problemi di assistenza all’infanzia e generale fatigue.

“Ma non abbiamo solo visto la sofferenza in televisione, l’abbiamo vista proprio di fronte a noi”, mi ha detto un giornalista televisivo. Ci sono stati momenti, ha aggiunto, in cui alcuni colleghi sono finiti in lacrime, o si sono sentiti così sopraffatti da voler gettare il microfono prima di andare in diretta.

Queste tensioni tra le proprie emozioni e la propria professionalità, oltre a problemi molto pratici come condizioni di lavoro difficili e insolite, hanno portato a un nuovo tipo di conflitto e ambiguità nella percezione del ruolo del giornalismo. Ad esempio, le restrizioni e il distanziamento sociale hanno limitato la capacità dei giornalisti di interagire, filmare e intervistare i protagonisti delle loro storie, anche se, allo stesso tempo, vi era l’aspettativa di dover essere in grado di catturare e rappresentare autenticamente la sofferenza e l’impatto della pandemia sulle persone.

È interessante notare come i giornalisti con cui ho parlato abbiano affermato come queste sfide abbiano però anche incoraggiato l’innovazione. Ad esempio, quando i giornalisti hanno perso l’accesso agli studi televisivi, hanno dovuto inziare a utilizzare strumenti di videoconferenza per registrare interviste o hanno chiesto ai loro intervistati di filmarsi su smartphone da soli.

“Dovevamo solo adattarci”, hanno spiegato molti dei miei intervistati. Altri, invece, erano dell’opinione che questo coinvolgimento personale avesse effettivamente migliorato la qualità della loro copertura: “ha reso il giornalismo più umano ed empatico”, ha concluso un giornalista.

D’altra parte, anche l’empatia con i malati ha portato a delle sfide nuove. Un giornalista ha descritto, ad esempio, come abbia dovuto lottare per coprire i decessi nelle case di cura e nelle piccole città. Un altro giornalista ha suggerito, invece, che la mancanza di distanza dagli eventi potrebbe influenzare l’obiettività giornalistica nel complesso.

Linee sfocate
In questo contesto, ho cercato di abbinare le percezioni del ruolo giornalistico a diversi tipi di ruolo, sulla base di vari modelli teorici esistenti nella letteratura degli studi sul giornalismo. Ad esempio, Thomas Hanitzsch e altri ricercatori che hanno pubblicato lo studio Worlds of Journalism in cui viene tracciata una distinzione tra il “ruolo di cane da guardia”, che si concentra sull’assicurare la responsabilità politica; il “ruolo accomodante”, che facilita la diffusione dell’intrattenimento e dei consigli; i “ruoli di monitoraggio e interventisti” – volti a influenzare le agende politiche e guidare il cambiamento sociale; e il “ruolo collaborativo”, incentrato sul sostenere chi è al potere.

Interrogati sulla percezione del proprio ruolo, tutti gli intervistati e le intervistate in Spagna hanno fatto riferimento alla comunicazione di informazioni veritiere e sui relativi compiti di servizio pubblico. Pertanto, le tendenze verso il “ruolo accomodante” sono emerse in modo predominante.

Soprattutto all’inizio della pandemia, inoltre, alcuni dei miei intervistati hanno percepito come il loro ruolo fosse quello di informare direttamente il pubblico sulle decisioni del governo e spiegare le misure imposte, come l’obbligo di indossare le mascherine. Il fatto che abbiano espresso frustrazione per il venir meno della funzione critica del giornalismo durante la pandemia, è anche un segnale di una propensione verso questo tipo di percezione del loro ruolo.

Inoltre, nei risultati della mia ricerca si intravedono anche alcuni elementi delle funzioni più critiche e di controllo del giornalismo inteso come “quarto potere”. Ciò è stato integrato da accenni al “ruolo interventista”, in particolare, laddove l’obiettivo era amplificare le voci e raccontare le storie dei più emarginati.

Tuttavia, sebbene possano certamente essere identificati più tipi di ruolo, è chiaro che queste percezioni durante la pandemia da COVID-19 erano multistrato e dipendenti dal contesto. Ciò che suggerisce il mio studio, quindi, è che queste diverse prospettive dei ruoli giornalistici tendano a diventare confuse o sfuocate durante un fenomeno complesso come una pandemia globale.

Questo aspetto è in linea anche con i risultati della ricerca condotta da Claudia Mellado e altri ricercatori nel 2020 che concludeva come, in una crisi sanitaria globale come la pandemia di COVID-19, i ruoli giornalistici possano diventare meno distintivi.

Il giornalismo è “più importante che mai”
Nel complesso, è chiaro come, nonostante i diversi tipi di percezioni di ruolo, vi fosse unanimità tra gli intervistati nel ritenere che la professione giornalistica avesse acquisito un nuovo livello di legittimità e rilevanza durante la pandemia. Ciò è particolarmente vero per il giornalismo locale e regionale.

“Se non lo è sempre stato, il giornalismo ora è essenziale e più importante che mai”, ha affermato a questo proposito un intervistato. Un altro è andato anche oltre: “in quanto giornalisti ci sentivamo di poter essere parte della soluzione a questo problema che è la pandemia”.

Articolo tradotto dall’originale inglese

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