L’Italia di Monti: la crisi, la stampa e la bandiera

23 Dicembre 2011 • Etica e Qualità, Giornalismi • by

Fonte immagine: fanpage.it

La dieta mediatica italiana non ha concesso ai lettori tempi lunghi per metabolizzare l’era Berlusconi, anche se il suo governo era ed è giudicato duramente da buona parte della stampa estera e nazionale.  La narrazione giornalistica mainstream si è concentrata sul legame tra crisi economica e azione politica del nuovo governo Monti e ha costruito una cornice interpretativa attraverso slittamenti e connessioni semantiche assai interessanti. Il discorso giornalistico maggioritario adotta linguaggi e meccanismi narrativi paragonabili a quelli dei momenti di guerra, vediamo come.

LE OMBRE

Partiamo dalla rappresentazione della discesa in campo di Mario Monti. La nuova scena politica raccoglie critiche aspre dai giornali vicini al dimissionario Berlusconi: Il Giornale e Libero insistono su un presunto complotto teso all’ex premier da borse e fronde interne al Pdl. Da versanti opposti, il Manifesto lancia l’allarme e parla di “sequestro della politica in nome delle larghe intese”. Anche Il Fatto Quotidiano insiste sulla ”sospensione della democrazia rappresentativa” e non manca di sottolineare il ruolo dei “poteri forti” nei recenti sviluppi politici: una chiave di lettura che curiosamente, nell’evidenziare trame sotterranee, appare in sintonia con l’ipotesi del complotto sostenuta dai giornali di destra. Guardando invece alla lettura proposta dai due principali quotidiani nazionali, la Repubblica e il Corriere della Sera, individuiamo subito quello che sarà il leitmotiv per le settimane a venire.

LA BANDIERA

Il discorso costruito dai due quotidiani, Repubblica in particolare, si incentra sulla criticità del momento e sulla situazione di emergenza. L’editoriale di Ferruccio De Bortoli il 10 novembre detta le condizioni al nuovo governo ma non manca di etichettarlo come “governo di emergenza nazionale”. “Il cammino è terribilmente in salita” e “le incognite sono numerose”, scrive il direttore, ma l’intero Paese si trova di fronte ad una svolta determinante per il suo futuro: non a caso De Bortoli titola “Possiamo farcela”, rappresentando così in un unico soggetto plurale tutto il popolo italiano. Siamo di fronte a quello che in scienza politica viene definito il rally ‘round the flag effect: in caso di pericolo e di minaccia esterna, l’intera nazione si stringe attorno alla bandiera. L’identificazione con il capo del governo e la ridotta attenzione critica verso le politiche governative sono gli effetti indotti dalla percezione di una minaccia esterna che tradizionalmente corrisponde a un momento di guerra.

LA SALVEZZA

Il Corriere della Sera, pur accentuando la percezione dell’emergenza, non abbassa tuttavia la soglia di attenzione sulle singole politiche del governo. E’ interessante analizzare in modo comparato le prime pagine di Repubblica e Corriere nella prima settimana di dicembre. Il Corriere pone di frequente l’attenzione sui pacchetti di misure, non risparmia accenti critici e già nel titolo centrale di prima pagina illustra nel merito i provvedimenti: domenica 4 dicembre, “Pronte le misure, dubbi sull’Irpef. Aumento delle aliquote da 75.000 euro, rendite catastali su del 30%”. Lo stesso giorno Repubblica concentra l’attenzione sul monito di Monti: “O così o l’Italia fallisce”. Ancora più evidente la differenza lunedì 5 dicembre: il Corriere fa l’elenco dei sacrifici a venire, mentre Repubblica titola “Ecco il decreto salva-Italia”, assumendo così una enunciazione del premier che aveva chiesto di chiamare così il decreto. L’editoriale di Ezio Mauro dal titolo “Il sentiero stretto” afferma che “l’Italia è chiamata (…) su un sentiero stretto e difficile”, che siamo di fronte a “una vera e propria manovra di emergenza” e definisce l’appello di Monti “drammatico”. Le parole in sinergia con le immagini (la foto della Fornero in lacrime) inscrivono nel discorso una forte dimensione patemica e passionale, creando effetti di senso che corroborano la percezione del pericolo, della difficoltà e della salvezza da raggiungere.

LACRIME E SANGUE

La drammaticità del momento e la percezione di una svolta, di una salvezza imminente da cui lasciarsi guidare, sono effetti costruiti dalla narrazione giornalistica nel tempo di più di un giorno, e con il ritmo e la suspence degli appuntamenti quotidiani in edicola. Già il 10 novembre Repubblica titolava “Dramma in borsa, in campo Monti” e Massimo Giannini annunciava che “ci aspetta una lunga traversata nel deserto, fatta di sacrifici, di sudore e di sangue”. Se quindi a Monti spetta la salvezza del Paese, il quotidiano redarguisce: tempi e sacrifici potranno essere lunghi. Un discorso giornalistico in perfetta assonanza con il discorso politico che il presidente del Consiglio pronuncerà una ventina di giorni dopo, ovvero il 4 dicembre. L’insistenza sulla criticità del momento e sui sacrifici da sopportare sarà evidente anche qui, anche se il premier preciserà: “Sacrifici sì, ma no lacrime e sangue”. L’espressione usata da Giannini e aggirata da Monti è diventata celebre in seguito al discorso pronunciato da Winston Churchill il 13 maggio 1940: “I have nothing to offer but blood, toil, tears and sweat”, disse allora Churchill alla Camera dei Comuni. Era il primo di tanti discorsi di incoraggiamento contro il nemico nazista. Una certa narrazione giornalistica richiama quindi con le scelte semantiche la sfera della guerra, della minaccia esterna, spingendo alla corsa attorno alla bandiera e invitando a sopportare i sacrifici. Allo stesso modo certi discorsi politici insistono sulla parola “salvezza”: non solo Monti, ma Casini, Enrico Letta, Marcegaglia. Analizzare queste ricorrenze semantiche ci permette di disvelare una precisa costruzione del discorso, volta a creare determinati effetti di senso. La strada è forse stretta ma non è una sola, anche nella narrazione politica e giornalistica dei fatti.

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