Sarkò beffato da un profilo fake

23 Febbraio 2012 • Digitale • by

La presenza sui social media è ormai un must per tutti i personaggi di un certo rilievo, soprattutto per i politici. Quando si è il presidente della Repubblica francese  poi e si punta alla rielezione, l’attrattiva delle piattaforme della Rete  può essere irresistibile.

Come dimostrato dal caso italiano di Giuliano Pisapia (presente su Facebook e Twitter, e con un indirizzo email dedicato al social), un’attività coerente e continua tramite gli account ufficiali può rappresentare, oltre che uno strumento per un’interazione rapida e informale con i cittadini, anche una buona fonte di voti. Non che l’attuale sindaco di Milano abbia sconfitto la rivale, la favorita Letizia Moratti, soltanto grazie alla comunicazione online; però, è indubbio che il differente approccio avuto dai candidati nei confronti della tecnologia digitale, e ancor di più nei confronti della comunità virtuale, abbia inciso sugli esiti della sfida elettorale meneghina. Le gaffe dello staff del precedente primo cittadino (tra cui la famigerata moschea di Sucate), sono state il segnale di una scarsa attenzione prestata ai sentimenti del pubblico della rete, che non aveva evidentemente intenzione di prendere parte alle iniziative sul web messe intempestivamente in piedi dai collaboratori della Moratti. Il cambio di rotta deciso da quest’ultima di fronte ai sondaggi aggiornati, che la davano perdente in seguito agli scontri interni alla maggioranza che la supportava, ha condotto a una rivoluzione anche in termini di consulenti della comunicazione.

Come si è sottinteso fin qui, a gestire l’immagine online delle figure più in vista del governo locale e nazionale è quasi sempre un gruppo di esperti – o presunti tali – che proprio per la loro numerosità non dovrebbero rischiare gli errori in cui il singolo incapperebbe facilmente. Così, agli incontri con il proprio elettorato, lo stesso Pisapia può candidamente ammettere di non capirne niente di nuove tecnologie: solo un ingenuo  penserebbe che dietro gli account ci sia veramente lui.

Il recente successo (in termini quantitativi), in Italia, dei servizi di microblogging come FriendFeed, tumblr, e sopratutto Twitter, ha obbligato molti politici a entrare nel mondo bifronte di Internet: da un lato, potentissimo veicolo di informazione (sia verso gli utenti, sia da gli utenti), dall’altro pericolosa modalità di esporsi alle critiche di chiunque. Non sono pochi i casi di VIP colti in fallo, per esempio a commentare, cinguettando in maniera avventata, un episodio dai contorni poco chiari.

Ma le figuracce dei leader avvengono anche al di là delle Alpi; anzi, a volte è sufficiente guardare subito al di là. L’ultimo caso del genere è in fatti quello del presidente francese Nicolas Sarkozy, che per assicurarsi il secondo mandato all’Eliseo sta spingendo l’acceleratore anche sul web che comunque aveva già efficacemente usato durante la sua prima campagna elettorale.

Preso dalla foga di accumulare in breve tempo un corposo numero di follower (indicazione ben poco veritiera dell’effettivo seguito di una persona celebre), la squadra di Sarkò si è fatta beffare da un profilo fake, simile a quello di cui avevamo già parlato a proposito del twitter-giornalismo italiano: Mario Monti. L’account del primo ministro è infatti fasullo; o meglio, gestito da un utente che lo impiega a scopi ironici e satirici, ma con una delicatezza tale da far cadere nel tranello chiunque non sia particolarmente avvezzo alla policy dei social network. La scelta di essere seguito ha naturalmente mandato in brodo di giuggiole il simpatico twittero nostrano, che ha ringraziato con un messaggino inappuntabile.

Dopo un giorno di sfottò, il profilo di Sarkozy ha fatto marcia indietro, continuando a seguire solo i colleghi europei di cui poteva fidarsi senza ombra di dubbio. La vicenda però, da comica si è trasformata in tragica; in primo luogo, per la libertà d’espressione.

Il modo in cui la presidenza francese ha reagito, infatti, è stata un’ulteriore manifestazione dell’incapacità di molta classe dirigente di adeguarsi, non tanto al gergo, quanto alla cultura di Internet. Contrariamente a quanto previsto dalle proprie condizioni generali di utilizzo (nel caso di un utilizzo evidentemente scherzoso del mezzo, non può esistere un’imputazione per furto d’identità), la direzione di Twitter è stata “spinta” a un’improvvisa azione di censura, chiudendo tra il 16 e il 18 febbraio ben cinque profili ostili all’uomo più potente d’oltralpe: @_NicolasSarkozy, @mafranceforte, @fortefrance, @SarkozyCaSuffit et @SarkozyCestFini. Le proteste non si sono fatte attendere, fino alla definizione di “procedura liberticida” con cui è stata etichettata la scelta. Già accusato di aver agito in maniera simile in Cina, assecondando i desideri di oscurantismo della dirigenza comunista, il social network non ha ricevuto, dalla vicenda, un ritorno d’immagine positivo.

Ma, la cosa che lascia davvero esterrefatti, è l’abuso di potere con cui il primo cittadino francese ha tappato la bocca all’opposizione: quella composta non dai diretti rivali politici, ma dai suoi governati che fanno della Rete il principale strumento di espressione. La violenza di questo atto è ancora più evidente se la si confronta con l’atteggiamento ben più tollerante – verrebbe da dire, “normale” – con cui il candidato della sinistra accoglie critiche e sbeffeggiamenti: nessun problema hanno vissuto account come @FrancoisHolland e @Flamby2012.

 A quanto pare, lo sconfinamento sul web dei detentori del potere non sempre è conveniente, nemmeno per l’opinione pubblica: l’eccesso di presenza mediatica può dare un po’ alla testa.

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