Forse la preoccupazione di annegare nel mare di notizie e messaggi pubblicitari e di essere “iper o ipo -informati” è acqua passata. Il nostro maggior problema di oggi e di domani, per quanto riguarda l’informazione, potrebbe piuttosto diventare il riuscire a non essere inondati da cascate del Niagara di “bullshit”. Qualsiasi assurdità, infatti, riceve “Like” in grande quantità su Facebook e viene spesso condivisa fino a essere selvaggiamente gonfiata sui social network. È davvero semplice diffondere messaggi su questi strumenti, e, dato che nessuno ne controlla davvero la veridicità, un numero crescente di aziende o altre istituzioni ne sta approfittando.
In queste circostanze l’inganno sembra diventare sempre più redditizio per gli spin doctor, i troll e i loro clienti, anche senza arrivare al sistema propagandistico di Putin e il modo in cui riesce a inquinare i media dei paesi ai confini con la Russia. L’“economia dell’attenzione” sembra trasformarsi un passo dopo l’altro in un’”economia della disinformazione”: persino per le grandi multinazionali la probabilità di essere scoperte quando manipolano l’informazione in favore dei loro interessi sembra aumentare, anche se il clamoroso caso Volkswagen e quello meno visibile della compagnia petrolifera Exxon sembrano provare l’esatto opposto.
Confrontando i due casi, anche redazioni con una grande reputazione giornalistica sembrano avere serie difficoltà ad analizzare adeguatamente quanto è successo. Nel caso Volkswagen, ad esempio, l’hype mediatico ha finora bruciato 27 miliardi di euro, ovvero il 40% del valore in Borsa della casa automobilistica tedesca, e ha probabilmente messo in pericolo migliaia di posti di lavoro in tutto il mondo. Inoltre, si è anche creata in un qualche modo l’assurda impressione che le persone che comprano Suv colossali o veicoli diesel siano innocentemente all’oscuro dell’inquinamento ambientale che contribuiscono a causare.
D’altro canto, nel caso del gigante petrolifero americano non c’è stato alcun grido di protesta da parte dei media, né indignazione di massa sui social media, né conseguenze in Borsa, nonostante si sia scoperto come l’azienda mantenga segreti già dagli anni ’70 i propri risultati di ricerca, che proverebbero chiaramente come il mutamento climatico e il riscaldamento globale siano causati in buona parte dal loro prodotto principale.
Intanto, i sociologi britannici Carl Miller e Steve Ginnis hanno ammonito sul The Guardian come persino i ricercatori che si occupano di social media stiano perdendo il controllo del flusso di dati che viene creato dalla ricerca sui media sociali. Nemmeno gli esperti sono più in grado di giudicare quali indici d’utilizzo dei media e quali metriche siano significative e quali no. La sensazione crescente è quella di vivere in una Sodoma e Gomorra di falsi e dati truccati. Come se non lo avessimo già capito.
Articolo pubblicato originariamente da Tagesspiegel il 27/09/2015. Traduzione a cura di Georgia Ertz
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