Ma non solo. Tanti i fenomeni, gli eventi e le strategie editoriali che hanno caratterizzato il mondo dell’informazione e dei nuovi media nell’anno appena trascorso. L’EJO ne ha selezionati alcuni tra i più importanti, quelli che promettono essere decisivi per il futuro dell’informazione.
Sicuramente il 2011 è stato l’anno dei social media e dei social network. Da un lato, la crescita di adesione e partecipazione delle persone, la tendenza a condividere le informazioni attraverso le reti sociali ha costretto l’industria delle notizie ad una rincorsa, ancora in atto in termini di buone pratiche, del fenomeno, dall’altro lato, ha rappresentato uno strumento sia di cambiamento politico, nell’utilizzo fatto durante le rivolte nell’Africa Mediterranea prima e in Europa e USA poi, che, più in generale, di diffusione delle notizie, dell’informazione.
In particolare Twitter, in tal senso, è assorto a news network, piattaforma di diffusione partecipata dell’informazione, spesso prima dei media tradizionali, come testimoniato da a «Year in Hashtag» una piattaforma, creata da cinque giornalisti e blogger italiani (Claudia Vago, Luca Alagna, Marina Petrillo,Maximiliano BianchieMehdi Tekaya) che hanno selezionato alcuni tra i principali eventi dell’anno e li ha “fotografati” nel loro raccontarsi attraverso Twitter.
Ruolo che appare, allo stato attuale, eccessivamente celebrato dai media sia per quanto riguarda la sottile ma non trascurabile differenza tra notizie ed informazione, che in specifico riferimento alla comunicazione politica ed al ruolo nelle proteste popolari come argomenta anche Evgeny Morozov, autorevole specialista delle nuove tecnologie dell’informazione, nel suo ultimo libro: «The Net Delusion. The dark side of Internet freedom».
Se le speranze di recupero dei ricavi da parte delle imprese del comparto editoriale risiedono in buona parte nei tablet, nelle app a pagamento, sono stati gli smartphones, i “cameraphones”, il mezzo di narrazione istantanea della realtà che ha rivoluzionato il fotogiornalismo e rappresentato un elemento di supporto straordinario per il giornalismo partecipativo, per il citizen journalism in tutto il mondo. Pubblicazione delle immagini che in alcuni casi tende a soddisfare la logica della mediatizzazione e della spettacolarizzazione dell’informazione e degli eventi a tutti i costi, come avevamo già segnalato in occasione della morte di Gheddafi.
Per le notizie in mobilità, ed in particolare sui tablet, i contorni sono ancora incerti.
Delusioni per il The Daily, il quotidiano all digital per tablet lanciato in grande stile che, secondo quanto riportato da «Bloomberg» si attesterebbe intorno ai 120mila lettori alla settimana, una cifra molto distante dai 500mila che Rupert Murdoch aveva dichiarato essere il numero minimo per rientrare dell’investimento iniziale di 30 milioni di dollari, ai quali si sommano costi di esercizio ordinario di 500mila$ alla settimana.
Grandi consensi per gli aggregatori sociali, con Flipboard a dare il la ad un nuovo segmento nel quale nel tempo si sono aggiunti Yahoo Livestand, Editions di AOL e Zite, recentemente acquisito dalla CNN per circa 25 milioni di dollari, a testimonianza della rilevanza che viene attribuita a questa modalità di distribuzione delle informazioni, e l’ultima proposta, in ordine temporale, da parte di Google con Currents.
Svuotati progressivamente dalla perdita di ricavi dai format tradizionali cartacei e dalla parallela impossibilità, allo stato attuale, di compensazione dall’online, dopo incertezze e titubanze è stata anche la volta dei paywall all’informazione in Rete. Uno per tutti il New York Times, il cui relativo successo ha aperto la strada ad altri nel corso dell’anno, che poi, proprio sul finire del 2011 ha accelerato la marcia della trasformazione in impresa multimediale e multipiattaforma procedendo con la vendita di 13 testate regionali, evidentemente non “strategiche” rispetto alla nuova vision del gruppo. Successi che, va ricordato, si basano attualmente sempre sull’offerta combinata abbonamento tradizionale + digitale.
Opposta la strategia del Guardian che punta tanto sul “digital first” quanto sull’apertura totale e accessibilità dei contenuti in antitesi al paywall, mantenuta nonostante il calo dei ricavi, scegliendo di rendere noto pubblicamente il piano editoriale giornaliero del quotidiano coinvolgendo i lettori sia in termini di feedback rispetto alle scelte che di suggerimenti delle tematiche da pubblicare, puntando tutto sulla relazione con i lettori, con le persone, ed il loro coinvolgimento. Una scelta testimoniata anche dal ruolo primario avuto dal quotidiano anglosassone nella rivelazione dello scandalo delle intercettazioni telefoniche di News International, quotidiano del gruppo Murdoch che, come noto, è stato travolto sino ad essere costretto alla chiusura.
Migrazione (obbligata) verso il digitale di cui è ulteriore conferma e testimonianza la scelta di trasferire online quello che è considerato il riconoscimento di maggior prestigio in ambito giornalistico: il premio Pulitzer. Una decisione che rompe una tradizione durata ben 95 anni dettata dalla velocità alla quale corrono le informazioni oggi rispetto al passato ed alla volontà di valorizzare i nuovi format informativi che il digitale consente, come argomenta Julie Moos dalle colonne di Poynter.
Se il futuro è qui ma non qua ora, esistono gli elementi per lavorarci sopra in prospettiva. Non resta che farlo.
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