Molte persone hanno fiducia nella scienza, ma quando si tratta di temi esposti a forte politicizzazione come il cambiamento climatico, i media danno di norma molto meno spazio agli scienziati che basano le loro dichiarazioni sulla ricerca rispetto agli scettici che dubitano della minaccia del cambiamento climatico. Greta Thunberg e il movimento “Fridays for Future” (FFF) danno invece più attenzione ai primi. Questo dimostra che i media dovrebbero dare peso maggiore a opinioni differenti.
La svedese Greta Thunberg, 16 anni, ha protestato per la prima volta davanti al Parlamento svedese con il suo cartello “sciopero scolastico per il clima” nell’estate 2018. Thunberg, poi, ha trascorso parte della scorsa estate a New York per parlare di “Fridays for Future” (FFF), movimento che è nel frattempo cresciuto fino a diventare una campagna internazionale. Il 20 settembre si è tenuto il primo sciopero climatico mondiale. L’Institut für Protest- und Bewegungsforschung (Istituto per la ricerca sulle proteste e movimenti, ndr) di Berlino ha condotto uno studio a livello europeo tra gli attivisti del clima.
I loro risultati mostrano che le principali motivazioni per la partecipazione alle proteste sono state i contatti interpersonali e i social media. Due partecipanti su tre al sondaggio hanno dichiarato come Greta Thunberg abbia motivato il loro interesse per il tema del clima. Il movimento FFF è per lo più portato avanti da persone giovani e istruite, e vanta un’alta percentuale di donne. La struttura demografica del movimento è variabile: in Austria, ad esempio, il 38,3% dei manifestanti ha tra i 14 e i 19 anni, in Germania il 51,5% – e nei Paesi Bassi addirittura il 95,8%. Anche il livello di ottimismo tra i manifestanti varia, ma in generale sono politicizzati e pronti ad agire.
Il clima è un tema centrale, ma i media sono spesso indifferenti
I media continuano a prestare molta attenzione al movimento FFF, confermano i dati dello studio di Berlino. All’inizio, in Germania, il dibattito si è incentrato principalmente sulle assenze degli studenti a causa degli scioperi, ma a partire da marzo 2019, invece, sono stati messi a fuoco i temi sollevati direttamente dai manifestanti. I media e la politica (a eccezione del partito populista tedesco di destra Alternative für Deutschland -AfD) hanno riconosciuto il cambiamento climatico come una minaccia.
I manifestanti basano le loro richieste sui dati degli esperti del cambiamento climatico, che da parte loro hanno unito le forze nel movimento “Scientists for Future” proprio per appoggiare FFF. Eventi e persone (come Greta Thunberg o la sua omologa tedesca Luisa Neubauer) sono ora in prima pagina. Quello che sarebbe successo senza l’influsso del movimento FFF è pura speculazione, ma uno studio di un team di ricerca della University of California, Merced potrebbe dare dei suggerimenti interessanti: negli Stati Uniti, dove non c’è un’iniziativa che assomigli a FFF per dimensioni o impatto, i media sono i protagonisti principi del dibattito.
Evidentemente, quei media tendono a dare più spazio alle voci che non credono che il clima sia minacciato e che prendono una posizione più emotiva nei confronti dell’argomento, invece che citare esperti e scienziati. Il team di UC Merced ha seguito le tracce digitali di chi fa ricerca e di chi nega il cambiamento climatico in circa 200mila pubblicazioni accademiche e 100mila articoli sui media digitali e sulla stampa. I risultati sono un campanello d’allarme per i media: questi ultimi devono controllare più attentamente le loro fonti, per assicurarsi di non distribuire notizie false basate su motivazioni politiche e ampliare la loro prospettiva integrando più spesso le opinioni scientifiche.
I media possono promuovere la scienza
Quando si concentrano sulle prospettive scientifiche, i media possono anche trarre vantaggio dalla fiducia del pubblico nella scienza. Uno studio del Pew Research Center di New York rivela che la fiducia degli americani nella scienza sta complessivamente aumentando. Il livello di fiducia nella scienza è alto quanto il livello di fiducia nei militari e di gran lunga superiore alla fiducia nei media, nei leader economici e nei funzionari eletti. Tuttavia, ci sono differenze tra i partiti: i cittadini più vicini ai repubblicani sono in generale più scettici nei confronti degli scienziati rispetto ai democratici, specialmente quando si tratta di questioni ambientali.
Il team del Pew ha chiesto a 4500 cittadini quanto sono d’accordo su cinque caratteristiche positive e cinque negative degli scienziati dei campi della medicina, della nutrizione e dell’ambiente. L’89% dei partecipanti ha risposto dicendo di ritenere gli scienziati intelligenti, il 75 crede che vogliano davvero risolvere i problemi di tutti i giorni e che siano onesti e capaci di lavorare in team. Tuttavia, i partecipanti allo studio hanno anche sostenuto che gli scienziati sarebbero spesso arroganti, maldestri, poco in grado di comunicare bene e non abbastanza trasparenti nell’ammettere eventuali conflitti di interessi con le industrie. Un intervistato su tre teme anche che gli scienziati possano compromettere i valori morali della società.
Tuttavia, sei americani su dieci vorrebbero che gli scienziati avessero una voce in capitolo più attiva nei dibattiti politici. Più i cittadini hanno familiarità con i metodi scientifici, più si fidano della competenza, della credibilità e dell’impegno degli scienziati per il bene pubblico. Queste persone condividono l’opinione che l’accesso del pubblico ai dati e il controllo trasparente dei risultati della ricerca da parte di comitati indipendenti aumenterebbe la loro fiducia nella scienza. Un cittadino su due chiede poi che la società civile sia maggiormente coinvolta nell’orientamento politico della ricerca scientifica.
Questi risultati possono essere percepiti anche come un appello al contributo della “citizen science”. Il coinvolgimento attivo e professionalmente guidato dei cittadini approfondisce infatti la loro comprensione su come funziona la scienza e perché è fondamentale per il progresso della società. Come ha dimostrato un gruppo di ricercatori zurighesi in un paper recente, il potenziale dell’inclusione di diversi gruppi non è stato ancora pienamente sfruttato. Fino ad oggi, infatti, la maggior parte dei “citizen scientist” è composta da bianchi, di sesso maschile, ben istruiti e già molto coinvolti in questi temi. Tuttavia, anche le donne e i giovani – che costituiscono la parte principale del movimento FFF – sono interessati. Gli organizzatori dei progetti dovrebbero quindi rivolgersi direttamente a questi gruppi.
Giornalisti e scienziati della comunicazione possono utilizzare questi risultati per promuovere la scienza pubblica. Un primo passo sarebbe quello di utilizzare le discussioni di gruppo con cittadini, giornalisti e ricercatori per scoprire quali opinioni e timori riguardanti i cambiamenti climatici esistono nella sfera pubblica e come la comunicazione deve cambiare per essere veramente informativa e per affrontare questi temi, con o senza l’ “effetto Thunberg”.
Articolo pubblicato inizialmente in tedesco da Der Standard, traduzione a cura di Simone Broggini