Secondo uno studio del ricercatore dell’Indiana University Jaesik Ha, pubblicato su Newspaper Research Journal quest’anno, il coverage del carcere speciale di Guantanamo da parte del New York Times ha assunto toni meno critici durante l’amministrazione Obama. Il New York Times ha modificato il suo approccio passando da un tono negativo, che ha caratterizzato gli anni dell’amministrazione Bush, a uno più moderato, da quando Barack Obama è in carica.I fattori esterni che hanno influenzato l’atteggiamento del giornale a proposito di questo argomento, considerato tra i più rilevanti, sono numerosi. Quello che a una prima occhiata potrebbe sembrare un segnale di cedimento dell’indipendenza del quotidiano newyorkese è invece la conseguenza di diversi cambiamenti nel comportamento di numerosi personaggi politici, dei media e delle organizzazioni di tutela dei diritti umani.
Sin dai tempi della Guerra Fredda, la stampa americana è stata spesso criticata per essere una sostenitrice acritica della politica estera delle varie amministrazioni in carica. Secondo Ha, al giorno d’oggi, esiste la possibilità che questa immagine sia ancora attuale. Il ruolo di “cane da guardia” affidato ai media va monitorato non solo nell’ambito della politica interna, ma soprattutto rispetto alla politica estera, alle relazioni e alle controversie internazionali che possono danneggiare globalmente l’immagine e la reputazione di un giornale, se l’informazione data non è stata riportata in maniera corretta.
Il dibattito su Guantanamo è esploso nei primi anni 2000 ed è culminato con le accuse di Amnesty International che, nel 2005, ha definito il carcere sull’isola di Cuba “un gulag dei nostri tempi”. A quell’epoca, l’amministrazione Bush cercò di smorzare la polemica giustificando qualsiasi accusa con la minaccia terroristica che incombeva sugli Stati Uniti e dichiarando i prigionieri di Guantanamo “unlawful combatants” e come tali esclusi dalle protezioni della Convenzione di Ginevra, ma nel 2004 una corte federale Usa ha stabilito che il trattamento dei prigionieri violava quella stessa convenzione. Fino all’elezione di Obama nel novembre del 2008, il New York Times è stato molto severo nei confronti del governo statunitense sulla questione di Guantanamo, con una percentuale di articoli critici (che toccano argomenti come “tortura”, “diritti umani” o la pratica del “water-boarding”) del 57.4%. Quando Obama è entrato alla Casa Bianca, il tono è cambiato leggermente e questa percentuale è scesa al 40.3%.
Questi cambiamenti possono sollevare il sospetto che la posizione del New York Times sia di fatto influenzata da preferenze politiche, ma i risultati della ricerca ci offrono una differente prospettiva del problema. Il giornale ha sempre dato una copertura negativa dell’argomento durante entrambe le amministrazioni Bush e quella Obama, ma ha cominciato ad essere meno critica, assumendo toni più moderati, con l’attuale inquilino di Pennsylvania Avenue. Gli articoli con una connotazione pro-Guantanamo (che toccano argomenti come “guerra contro il terrore”, “sicurezza”, “sospetti terroristi”) hanno cominciato a essere pubblicati più frequentemente e le percentuali di comparsa sono passate dal 21.3% sotto Bush al 28.3% con Obama. Jaesik Ha afferma che tutto ciò non è correlato alle preferenze politiche del giornale e che le cause vanno ricercate altrove.
Il primo motivo, secondo Ha, potrebbe essere trovato nel fatto che, già prima della sua elezione, Barack Obama era un oppositore della prigione di Guantanamo. Durante il suo primo mandato, la Casa Bianca ha persino ammesso alcune illegalità e ingiustizie. Questa assunzione di responsabilità può aver influito sui giornalisti che hanno smorzato i toni negli articoli su questo argomento. Inoltre, quando Obama è stato eletto nel 2008, erano già trascorsi 4 anni dalla sentenza da parte di una corte federale distrettuale che denunciava una violazione della Convenzione di Ginevra e il dibattito sul tema della tortura era diventato una notizia “vecchia”. Sia il New York Times che l’amministrazione Obama, inoltre, condividevano una certa predisposizione “anti-Guantanamo”.
Secondo Jaesik Ha, la seconda ragione va invece cercata nel cambiamento delle questioni fondamentali affrontate nel coprire Guantanamo: durante l’epoca Bush, infatti, la maggior parte della copertura mediatica su Guantanamo era negativa perché si discuteva di tortura, mentre sotto Obama i problemi più dibattuti sono diventati di tutt’altro genere e hanno più a che vedere con le difficoltà logistiche collegate alla chiusura definitiva della prigione o con la conduzione dei processi.
Il terzo motivo ipotizzato da Jaesik Ha riguarda l’atteggiamento delle élite politiche e delle organizzazioni per i diritti umani. Sotto Obama, queste figure hanno smorzato le critiche nei confronti del governo, perché l’attuale amministrazione è stata percepita come meno responsabile di abusi e violazioni di diritti dell’uomo. Il motivo è semplice secondo Ha: i programmi di cattura, carcerazione e i metodi di interrogatorio dei prigionieri di Guantanamo sono stati lanciati sotto l’amministrazione di George W. Bush.
La ricerca riesce anche a evidenziare un cambiamento sensibile nelle fonti usate dai giornalisti del New York Times nel trattare Guantanamo. Mentre le fonti governative sono citate con uguale frequenza in entrambi i periodi, durante l’epoca di Bush le testimonianze dei prigionieri e dei loro avvocati erano riportate più spesso per testimoniare le ripetute violenze cui i detenuti erano sottoposti. Durante la presidenza Obama, al contrario, come fonte sono state usate più volte le dichiarazioni di semplici cittadini, la cui opinione precedentemente non era stata presa spesso in considerazione. In entrambi i periodi le fonti governative sono state solo un quarto del totale, confermando quanto queste non siano le principali per il quotidiano newyorkese, ribadendo una certa indipendenza dal giornale dalle posizioni del governo.
Ma perché si è scelto di considerare il New York Times? Secondo l’autore della ricerca, questo giornale è stato osservato perché la sua immagine è quella di uno tra i quotidiani più prestigiosi e attendibili del pianeta. Certo sarebbe stato auspicabile che la ricerca avesse incluso gli altri giornali americani d’élite, sia per avere una visione globale della tematica, sia per verificare come le altre voci della stampa statunitense avessero reagito durante le due diverse presidenze.
Jaesik Ha ha studiato gli articoli del New York Times su Guantanamo dal 2004 al 2009 e ha operato un’analisi dei paragrafi, suddividendoli tra quelli con una connotazione negativa e quelli con una positiva in base a una serie di parole chiave selezionate all’interno di ognuno. Un altro metodo usato dal ricercatore è stato quello di dividere gli articoli a seconda delle fonti citate.
Questo articolo è stato scritto da uno studente del corso Communicating in the Media Branch tenutosi all’interno del programma di Master in Gestione dei media presso l’Università della Svizzera italiana
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