Social Tv: Usa oggi, Italia domani

19 Luglio 2013 • Digitale • by

Se la tv del futuro è interconnessa, allora l’orizzonte in Italia si intravede appena, mentre è già realtà negli Stati Uniti. Anche nel campo televisivo infatti, un oceano separa l’Italia e l’Europa in generale dai Paesi anglosassoni. La nuova frontiera mediatica, che si chiama “Smart Tv”, comincia intanto a uscire dall’abito stretto della pura sperimentazione. Perché l’integrazione fra tv e web, e fra la tv generalista che abbiamo conosciuto finora e le applicazioni di secondo e terzo schermo, è anche in Italia una strada probabile per il futuro. Anzi, una strada inevitabile se la televisione vuole cavalcare l’ondata digitale  invece di farsene travolgere.

Convergenza made in Usa:
Mentre la stampa perde quota da anni, il panorama dell’audience televisiva è a lungo rimasto stabile. Tuttavia, come riferisce dati alla mano il Pew Research Center, osservando i consumi americani dal ’91 al 2012, il pubblico televisivo comincia a variare negli ultimi anni: all’incirca intatto rimane lo zoccolo duro degli “affezionati” di età media e avanzata, mentre è in calo l’audience dei giovani. Dal 2006 al 2012, infatti, la tv ha perso ben 15 punti percentuali di ascolti tra i ragazzi fra 18 e 29 anni, segno evidente delle trasformazioni all’ordine del giorno in campo mediatico. Giovani e giovanissimi sono anche i protagonisti della crescita esplosiva del consumo di news online, sempre più mobile e più social. Il social networking sembrerebbe quindi essere il vero gancio che attrae gli utenti verso la notizia (non a caso tra il 2010 e il 2012 arriva a quota 83% la percentuale di utenti che cerca notizie su Twitter, e lì le condivide). Il digitale può essere per la tv trappola o salvezza. Anche perché il futuro – i dati lo dimostrano – rischia di investire come uno tsunami persino il solido paesaggio delle tv locali in Usa: lo sa bene chi come John Cardenas di Whtr assiste alla fuga degli spettatori under 30 e per riconnetterli dirige la barca non a caso verso le piattaforme digitali.

Più della metà dei proprietari di smartphone è connected viewer e tra i nativi digitali in particolare la fruizione televisiva “attraverso doppio schermo” comincia a essere una prassi consolidata. Tra i 18 e i 24 anni, infatti, ben 4 ragazzi su 5 guardano i programmi televisivi commentandoli allo stesso tempo con lo smartphone sui social network. Questa nuova pratica è stata ad esempio protagonista durante le ultime presidenziali Usa. Lo abbiamo visto su Ejo: nel 2012 è maturata ancora di più la capacità di integrazione delle diverse piattaforme mediatiche e la ormai consolidata convergenza dei media. La luna di miele tra i tweet e le news si è palesata in particolare in occasione dei dibattiti fra Obama e Romney, con tutte le riflessioni che ne sono conseguite nel mondo del giornalismo, di cui gli interventi di Shapiro e Nyhan sono due più che chiari esempi. Nell’autunno caldo americano, è apparso evidente che le strade dei social media e dei media tradizionali sono ormai inseparabili. Del resto il 66% degli statunitensi utilizza un device mobile per leggere le notizie (si veda la ricerca di Pew Center e The Economist) e un americano su dieci ha visto i dibattiti in tv ma tenendo un dispositivo mobile in mano.

L’Europa non insegue gli Usa:

Le applicazioni di secondo schermo “riscaldano” la tv generalista e promettono di attirare investimenti pubblicitari perché, anche laddove il pubblico si riduce nei numeri, la social tv aumenta però il coinvolgimento dell’audience prima, durante e dopo la visione. Lo sa bene Twitter, che non a caso ha adottato vere e proprie strategie per capitalizzare il connubio con la tv. Ne è ben consapevole anche chi il pubblico lo studia dal punto di vista qualitativo, realizzando sofisticate sentiment analysis per analizzare in profondità i tweet. E lo sa chi da sempre quantifica il pubblico, come Nielsen, che, non a caso, ha collaudato un  sistema di computo “cross platform” dell’audience. Ma il vero interrogativo è se in Europa, e in Italia in particolare, gli investitori siano pronti a tuffarsi in un settore di mercato per il quale il pubblico, dal canto suo, appare piuttosto maturo – nonostante un gap infrastrutturale che si fa ancora sentire. Perché mentre negli Stati Uniti la svolta social dei broadcaster ha almeno due anni di vita – e bisogna far correre la memoria fino al 2011 per arrivare al primo live tweeting firmato Jeff Probst – invece da questa parte dell’Oceano le esperienze di social tv sono ancora indirette o embrionali.

Giampaolo Colletti, che assieme ad Andrea Materia ha pubblicato più di un anno fa il libro Social Tv, interpellato a distanza di qualche mese ci racconta un panorama sì mutato, ma non ancora segnato da una svolta. “Se pensiamo ai formati più innovativi, come The Stream, nato nel 2011 su Al Jazeera English e pensato sulla interazione social, è evidente che il mercato italiano ed europeo risulti ancora arretrato”, spiega. “Perché in Italia l’utilizzo dei social c’è – penso all’esperienza innovativa di Servizio Pubblico, o all’introduzione di hashtag tematici da parte di Formigli – ma rimane un utilizzo fondamentalmente di rimbalzo”. Insomma i social vengono richiamati, interpellati, ma non entrano fino in fondo nel ciclo produttivo del programma televisivo, non ne plasmano i format e non interagiscono in modo determinante come invece potrebbe accadere e accade da altre parti.

Il resto d’Europa presenta sì aree di maggiore sperimentazione, in particolare in Francia e in Scandinavia, ma in Italia secondo Colletti la social tv di fatto ancora non esiste. “Oltre al gap nella diffusione della banda larga, sul versante imprenditoriale c’è poca intraprendenza”, sostiene il ricercatore. “Questa lentezza riguarda tanto la presenza di oligopoli quanto una scarsa intraprendenza dei cosiddetti indipendenti, perché manca in generale una visione a medio e lungo termine, la capacità di verificare una sostenibilità economica. Eppure il potenziale non manca, anche sul versante degli introiti pubblicitari”. E soprattutto dal lato dello spettatore, perché la nuova fruizione mediatica che potrebbe prospettarsi all’orizzonte lo vedrebbe coinvolto non più solo passivamente e momentaneamente, ma sin dalla creazione, e poi nella dinamica e nella condivisione dell’esperienza mediatica.

Photo credits: pazca / Flickr CC

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