Il caso di Amina Arraf e il problema della verifica delle informazioni

16 Giugno 2011 • Giornalismo sui Media • by

Tom MacMaster, l'autore del falso blog di Amina Arraf

Una bufala, un autentico falso. Amina Arraf, blogger gay siriana, al centro delle recenti cronache internazionali, non è mai esistita. Amina è lo presudonimo di Tom MacMaster, americano 40 anni residente a Edimburgo, Scozia. Lo ha ammesso pubblicamente lui stesso in seguito alle perplessità sulla presunta identità di Amina sollevate dal Washington Post, dalla radio pubblica americana (Npr, vedi articolo NYT) e da un sito filopalestinese (Electronic Intifada). E a distanza di soli pochi giorni il fatto è già archiviato su Wikipedia dove viene raccontata l’intera vicenda.

Scrive Massimo Gaggi per il Corriere della Sera, “è evidente che l’informazione digitale ha reso tutto molto più complesso per almeno tre motivi: 1) la moltiplicazione delle fonti e dei canali informativi ha trasformato il sistema dell’informazione in una babele di voci che rimbombano rendendo sempre più difficile selezionare, individuare i punti deboli delle storie, verificare; 2) l’accelerazione del ciclo informativo, l’esigenza di pubblicare in tempo reale la notizia sui siti, prima ancora di proporle sul giornale del giorno dopo o nel tg serale, riduce ulteriormente i margini per un controllo approfondito; 3) il progressivo assottigliamento delle redazioni riduce la capacità, anche da parte delle testate più serie e credibili, di fare le loro verifiche…… Il nuovo mondo dell’informazione – pieno di opportunità ma anche di insidie – richiede, insomma, più maturità da parte di tutti e l’abbandono delle utopie di chi ha fin qui creduto in una rete naturalmente orientata al bene: più controlli da parte dei media anche a costo di fare uno scoop in meno e di perdere qualcosa in tempestività e un maggior riconoscimento del ruolo dei professionisti dell’informazione da parte degli utenti”.

Sulla stessa lunghezza d’onda l’opinione Marco Bardazzi (dalla Stampa): “Il caso della blogger Amina ci obbliga a riflettere sulla credibilità nella blogosfera, soprattutto in realtà come il Medio Oriente… Il citizen journalism è una grande opportunità, ma il problema della Rete resta il controllo sull’attendibilità delle fonti. Specialmente ora che anche i regimi hanno imparato a usare Twitter”.

In buona sostanza, la tesi di Gaggi e Bardazzi è che il nuovo giornalismo sia meno affidabile del vecchio giornalismo quando tutto corrispondeva a “verità”. Tesi discutibile. La storia di Amina evidenzia che la rete è in grado di fare emergere il falso grazie a innumerevoli condivisioni di informazioni. E’ di questa opinione Bernardo Parrella: ”Personalmente ritengo inutile scrivere che bisogna riflettere sulla credibilità della blogosfera, oppure che il problema della Rete resta il controllo sull’attendibilità delle fonti – perché ciò vale per ogni testata, organizzazione, cittadino che voglia fare giornalismo serio, non da ieri e non certo solo nell’ambito online. E per chi avuto modo, come il sottoscritto, di bazzicare le redazioni di vari giornali italiani in anni non sospetti (prima dell’avvento di Internet), questa prassi del controllo sulle fonti era quasi fantascienza. Allora dominavano le veline (quelle delle aziende, dei politici, della questura, ecc.), pubblicate quasi sempre in integrale. Verifiche dirette? Poche o nessuna. I dubbi e le ricerche incrociate, subito attivate da parecchi netizen di ogni parte del mondo – racconta –  hanno ancora una volta avuto successo nel mettere allo scoperto l’operazione firmata Amina Arraf’’.

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