Condivisione, comunità e conversazione. Non sono cambiate per Marco Bardazzi “le tre C” che rappresentano le parole d’ordine del giornalismo nell’era digitale, a tre anni di distanza dalla pubblicazione del libro “L’ultima notizia”, scritto insieme a Massimo Gaggi. Il digital editor de La Stampa in un’intervista continua il dibattito già affrontato nelle scorse settimane con Massimo Mantellini e Claudio Giua sul braccio di ferro fra editori e Google.
Wolfgang Blau, direttore della strategia digitale del Guardian, ha detto che il vero nocciolo della questione è un radicale malessere da parte degli editori nei confronti del web e una disperata ricerca d’identità. Gli editori devono trovare un capro espiatorio al quale poter addossare la responsabilità di una difficoltà di fondo e dimostrare di potersi ancora imporre sul mercato. Cosa cosa ne pensa?
“Sono d’accordo con Blau. Per esempio La Stampa ha uno stretto rapporto con il web, non vede tentativi di vendetta ma cerca di capire come stanno cambiando gli scenari per offrire informazioni di qualità. Nel rapporto con Google esistono delle opportunità per gli editori, come il progetto che abbiamo portato avanti nel corso delle scorse elezioni insieme a Google e La7, in cui ampio spazio era dato agli hangout con i cittadini, dimostrando che si possono creare nuove partnership e i giornali dovrebbero aprirsi alle nuove possibilità offerte dalle piattaforme di Google. Con Big G si può scegliere di fare la guerra oppure di lavorare su diversi programmi”.
La Germania ha approvato la legge su Google, così editori, motori di ricerca e siti di aggregazione di notizie dovranno fare i conti con questa nuova normativa che non permetterà più i copia e incolla liberi e senza licenza. Come giudica la legge?
“In Europa si sono percorse varie strade e tutte in direzioni diverse. E’ invece importante avere una posizione europea comune, però non può essere una posizione punitiva verso chi viene in Europa a fare degli investimenti. Dovremmo riuscire a muoverci da Unione anche nel proporre soluzioni alternative e farlo tutti insieme. Come è avvenuto sul caso della Privacy con l’azione intrapresa da sei Paesi per aprire un’istruttoria sul rispetto della disciplina europea sulla protezione dei dati personali da parte di Google. I garanti della privacy di Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi e Spagna vogliono verificare il rispetto della disciplina sulla protezione dei dati personali del colosso di Mountain View, ma sempre con un approccio difensivo e non propositivo, ed è comunque un’iniziativa episodica”.
Abbiamo intervistato Massimo Mantellini, che in merito all’accordo raggiunto in Francia ha parlato di sostanziale sconfitta per gli editori e di foglia di fico, lei cosa ne pensa?
“Quella della Francia è una soluzione temporanea che non porta lontano, manca la creatività, va bene che ti fai pagare i diritti ma proviamo a pensare in modo diverso tra editori e potere della Rete nel ventunesimo secolo e non solo come un dazio da pagare. Il mondo digitale sta trasformando l’industria creativa, l’unica crescita possibile oggi è quella digitale”.
Sullo stesso tema è intervenuto su EJO anche Claudio Giua de L’Espresso, il quale ha affermato che non sarebbe impossibile per i giornali fare a meno di Google. È d’accordo?
“Non si può fare a meno di Google, come anche di Facebook, Twitter etc, sono i numeri a dirlo. Non mi sembra questa una soluzione. I conti vanno fatti con Google, con Amazon, con Apple, con tutto il mondo digitale per spronarsi ad una innovazione che è inevitabile, non bisogna alzare delle barriere altrimenti ci ritroveremo chiusi dentro un fortino”.
Capitolo paywall: pochi giorni fa il Daily Mail ha annunciato che non implementerà sistemi di pagamento online perché gli basta la pubblicità per sopravvivere e fare utili. Secondo lei è un modello che può valere solo per il gossip?
“In quel libro di tre anni fa già ne parlavamo io e Gaggi, non abbiamo saputo dare una risposta allora ed è ancora così. Certo è che il traffico sta aumentando, c’è voglia di trovare informazione firmata e certificata. Le testate storiche hanno un valore aggiunto da offrire, cresce quindi anche la raccolta pubblicitaria. Il New York Times può essere un modello di pagamento da seguire. Ci sono tante possibilità, esistono contenuti di qualità da pagare con abbonamenti digitali, è un approccio che vale la pena tentare. E anche gli utenti, i lettori, cominciano ad avere la consapevolezza che alcune informazioni on line si possono pagare”.
Nel suo articolo su La Stampa del 4 aprile racconta di come Internet stia trascinando la crescita dell’informazione in Italia. A dimostrarlo i dati de La Stampa che, secondo l’Audiweb, ha sfondato i 15 milioni di contatti unici. Quali sono secondo lei le priorità per un giornale che volesse valorizzare la propria presenza sul Web?
“Capire cosa è che sai far bene e puntare su quello. Sul web paga molto la capacità di coinvolgere chi ti segue e paga riuscire ad implementare i contenuti video sia per gli utenti, che li richiedono sempre di più, che per la pubblicità. Bisogna sperimentare, avere la voglia di provare cose nuove, ascoltare le sollecitazioni della Rete, il tutto in stretto legame con i social media. Il giornale è sempre stato un luogo intorno al quale si crea una comunità, solo che ora la comunità è virtuale”.
Nel dibattito fra editori e Google News in merito alla protezione e alla tutela dei contenuti multimediali sono in gioco forti interessi economici ma anche il futuro del giornalismo stesso, e la sua definizione ai tempi di Internet. A quasi tre anni dalla pubblicazione de “L’ultima notizia”, qual è la sua opinione sul quadro generale davanti al quale ci hanno catapultato le nuove tecnologie?
“Oggi abbiamo un’idea più chiara degli scenari futuri, la mia idea personale è che c’è bisogno di contaminazioni nel giornalismo. Non chiudersi all’interno delle redazioni pensando a ciò che si può fare perché è già tutto a portata di mano, nuove professionalità e nuovi modi di raccontare la realtà”.
*L’ultima notizia. Dalla crisi degli imperi di carta al paradosso dell’era di vetro”, di Massimo Gaggi e Marco Bardazzi, Rizzoli 2010
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