Quotidiani: dal 1990 a oggi una perdita media di 100 mila copie all’anno

9 Ottobre 2009 • Editoria, Giornalismo sui Media • by

Osservatorio europeo di giornalismo, 09.10.2009

In base ai dati forniti da Fieg , l’apice delle vendite dei quotidiani in Italia, è stato raggiunto nel 1990. A quell’epoca la vendita media giornaliera ammontava a quasi 7 milioni di copie, per l’esattezza, 6.808.000 . Da allora in poi si è conosciuta una progressiva diminuzione: nel 2008 la media giornaliera è stata di 5.291.000, in perdita del 2% rispetto al 2007. Una diminuzione uguale se non superiore è prevista per il 2009. Vale a dire che, dal 1991 a oggi, si si sono bruciate circa 100 mila copie all’anno. Se volessimo ragionare di sola matematica potremmo affermare che tra cinquant’anni i giornali italiani scompariranno. Forse anche prima, considerato che la fase ciclica negativa si è accentuata nell’ultimo decennio.

Nel frattempo, come ampiamente documentato , cresce il numero complessivo dei lettori: sommando carta e online i lettori perduti nella carta stampata sono stati rimpiazzati e incrementati dal web. Una tendenza che si evidenzia a livello internazionale e pressoché nei singoli paesi, Italia compresa. In base ai dati Nielsen (Novembre 2008) i primi 20 quotidiani italiani vantavano complessivamente 3 milioni e 600 mila utenti unici al giorno, valore oggi prossimo ai 5 milioni, per lo più concentrati sulle più importanti edizioni online. Molto più alto è il numero di persone che accedono a informazioni da fonti diversificate.

ll numero di notizie, articoli, servizi prodotti da carta e internet è aumentato a dismisura. Si produce molta più informazione. Prodotta da chi? Non solo da giornalisti, o quanto meno non solo da giornalisti appartenenti e riconosciuti dalla categoria. Se il costo di lavoro interno è nel tempo aumentato, il lavoro non contrattualizzato, alimentato dalla proliferazione dei contenuti su web, è dilagato assumendo la dimensione di lavoro precario e mal pagato . Considerato il lavoro prodotto da collaboratori esterni e contenuti prodotti su siti internet, il costo della produzione procapite dell’informazione si è significativamente ridotto.

A questo punto, quando gli editori affermano che l’informazione non può essere distribuita gratuitamente, ovvero che internet non possa prevedere la gratuità assoluta, dovrebbero innanzitutto, per coerenza, valorizzare adeguatamente il contributo di collaboratori esterni. Altrimenti è vero, l’informazione ha un costo prossimo allo zero e, quindi, è corretto che possa essere fruita senza nulla pagare.

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