“Siamo preoccupati per i segnali di crescente tensione fatti trapelare dalla PSRD e i suoi tentativi di ristabilire il controllo sui media, in particolare quelli di opposizione, in occasione delle elezioni amministrative”. Così parlava Reporters Without Borders qualche giorno prima del voto in Birmania, competizione elettorale che ha visto Aung San Suu Kyi e il suo partito conquistare almeno 40 dei 44 seggi per i quali il popolo birmano si è recato alle urne. Che la PSRD, l’agenzia che si occupa di controllare gli organi d’informazione per conto del governo di Naypyidaw avesse rinforzato le minacce contro le testate critiche non era un mistero. Le nuove intimidazioni erano già state portate in superficie dalla Burma Media Association che aveva dato voce ai tanti editori e giornalisti cui il governo aveva fatto causa con l’intento di zittirne le opinioni. Libertà di informazione in libertà vigilata. Myint Naing, editore del settimanale Toetakyay, vicino alle opposizioni, si è visto portare in tribunale per una disputa con la PSRD a riguardo di un articolo pubblicato in febbraio che criticava la politica del governo; Ohn Kyaing, editore di D-Wave, magazine della National League for Democracy, al contrario, è stato citato per aver pubblicato una vignetta satirica a riguardo proprio della PSRD. Atti che inevitabilmente nulla hanno a che vedere con una nazione che vuole lasciarsi alle spalle la dittatura e aprirsi alla democrazia.
Il risultato delle elezioni potrebbe ora imprimere un nuovo corso per la storia della Birmania e accelerare la corsa verso una democrazia compiuta. Ma il clima per i media è altrettanto positivo e speranzoso? Nonostante i netti passi avanti (durante gli anni della dittatura pubblicare una foto della Suu Kyi in prima pagina era reato, nda) come riporta Index of Censorship, i giornali in Birmania devono ancora sottoporre alla PSRD i loro articoli che riguardano la politica affinché siano approvati prima di andare in stampa. E proprio per aggirare questo ostacolo i media birmani hanno trovato un nuovo canale tramite il quale dare notizie sulle elezioni, bypassando l’approvazione dell’agenzia: i social media. Anche per ragioni editoriali, un settimanale come 7Day News non poteva correre il rischio di non essere sul pezzo il giorno delle elezioni: “La nostra rivista sarà pubblicata dopo le elezioni, così posteremo su Twitter e Facebook ora per ora le notizie non appena i seggi apriranno” aveva dichiarato Nyein Naing, direttore esecutivo della rivista. Un modo efficace di portare a casa la notizia, ma anche di sfuggire al filtraggio della PSRD che non arriva alla Rete. Fondamentale per un paese dove i quotidiani non sono ammessi proprio perché difficilmente controllabili.
Con i suoi 27mila e più fan su Facebook 7Day News rappresenta un caso per la Birmana, un paese dove la penetrazione della Rete è bloccata allo 0,2% e secondo le stime solo 110mila persone hanno una connessione Internet. Nei giorni delle elezioni proprio la pagina su Facebook della rivista è stata uno dei canali fondamentali per la circolazione libera delle notizie e ha portato, anche al di fuori del paese, consapevolezza su come si sono svolte le operazioni di voto, fornendo un preciso servizio informativo. Quello birmano è un caso esemplare di come a una stampa sottoposta a bavaglio i social media possano svolgere un servizio di supplenza per garantire la circolazione delle informazioni e far raggiungere loro anche centinaia di commenti e condivisioni in poche ore.
Ma dove non arriva la censura diretta o preventiva, può ancora colpire un altro dei sistemi più efficaci per fermare la libera informazione: il blocco delle reti e delle infrastrutture per far cadere le connessioni Internet. Uno scenario che non sembra completamente scongiurato: “Non penso sia una conseguenza” ha dichiarato Naing all’AFP riferendosi al recente blackout di Internet nella zona nord del paese dove Aung San Suu Kyi si era recata in viaggio poco prima delle elezioni. “Un nostro giornalista non ha potuto inviare delle immagini proprio perché non c’era rete” ha continuato il media manager. “Abbiamo molte difficoltà con la connessione Internet” ha dichiarato anche Wai Phyo, direttore di Eleven Media, un’altra testata birmana che ha coperto le elezioni sui social media.
La situazione birmana si presenta ancora instabile e una nuova legge più morbida per i mezzi di informazione non sembra sufficiente a scongiurare scenari ancora una volta oppressivi. Forse riuscirà a garantire maggiore libertà, complice anche il vento cambiato per via del risultato delle recenti elezioni, ma riuscirà a proteggere i giornalisti dai numerosi pericoli cui sono esposti? Sarà sufficiente a fare della Birmania un paese con un sistema mediatico finalmente libero?
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