Sono 211 i giornalisti ancora detenuti in tutto il mondo per il loro lavoro e il dato di quest’anno, il secondo peggiore di sempre, segue solo quanto registrato nel 2012, anno che ha fatto registrare il record negativo di 232 reporter dietro le sbarre. A rivelarlo, il Committee to Protect Journalist che ha pubblicato il suo report annuale (che si estende fino all’1 dicembre) sull’argomento, comprensivo di un database completo, suddiviso per nazioni. A guidare la classifica dei paesi con il numero maggiore di giornalisti in prigione è ancora la Turchia (che guidava la graduatoria anche lo scorso anno): sono 40, infatti, i reporter nelle carceri turche. A seguire, ancora l’Iran che mantiene il secondo posto con 35 reporter imprigionati. Al terzo posto, la Cina con 32, un numero identico a quanto registrato nei precedenti 12 mesi. A chiudere la top ten sono Eritrea, Vietnam, Siria, Azerbaijan, Etiopia, Egitto, e Uzbekistan.
In Turchia si registra una lieve diminuzione del numero dei cronisti detenuti ma il clima per l’informazione è ancora fosco, fa sapere il Cpj: il governo sta trattenendo infatti ancora dozzine di giornalisti curdi con accuse di terrorismo o per aver partecipato ad attività antigovernative. In Iran, invece, si registrano dieci casi in meno rispetto al 2012: alcuni giornalisti hanno infatti concluso il loro periodo detentivo, mentre altri sono stati scarcerati “su licenza”, ma potrebbero essere riportati in prigione per finire di scontare la pena. Il Cpj fa comunque notare che, nonostante l’elezione di Hassan Rouhani, si registrano ancora casi di incarcerazione e condanna di giornalisti riformisti e vicini alle minoranze. Il numero cinese, come abbiamo visto, è rimasto stabile: molti giornalisti in prigione negli scorsi anni sono stati liberati, compreso Shi Tao (vincitore del International Press Freedom Award del Cpj nel 2005), ma il numero è andato in pareggio a causa di un nuova ondata di arresti avvenuta lo scorso agosto che ha portato dietro le sbarre, con accuse di corruzione, diverse persone attive in Rete e critiche del governo.
Emblematico il caso dell’Egitto che entra nel ranking con 5 giornalisti ancora detenuti. L’anno scorso, al contrario, l’Egitto non faceva parte della graduatoria. Dopo la caduta di Morsi la scorsa estate, il nuovo governo ha arrestato diversi giornalisti ostili al nuovo esecutivo o simpatizzanti di quello precedente. Oltre all’Egitto, anche Russia, Bangladesh, Kuwait, Macedonia, Pakistan, Republicca del Congo e Stati Uniti non avevano arrestato giornalisti nel 2012, ma lo hanno fatto nel 2013. In Siria, i casi sono scesi da 15 a 12, ma – fa notare il Cpj – il dato non tiene conto di tutti i giornalisti rapiti in territorio siriano da gruppi armati di opposizione: a fine 2013 sarebbero approssimamente 30 i reporter ancora nelle mani dei rapitori. L’unico giornalista in carcere nelle Americhe a comparire nel report del Comittee è il blogger Roger Shuler, incarcerato negli Usa per una causa di diffamazione. A lui bisogna aggiungere anche Barrett Brown, giornalista che rischia 100 e oltre anni di carcere per aver solamente linkato il database contenente i documenti sottratti a Stratfor e pubblicati da WikiLeaks. Guardando ai dati complessivamente si nota come 124 dei 211 giornalisti in prigione abbiano subito accuse di terrorismo o sovversione, mentre in 45 casi le accuse non sono state rivelate. La maggioranza dei 211, 106, sono giornalisti che lavorano su Internet e un terzo del complesso sono freelance.
A questi dati preoccupanti si aggiungo anche quelli di Reporters Without Borders, che ha diffuso il suo report sui giornalisti uccisi nel corso del 2013 (che si estende fino al 18 dicembre). Secondo la Ong sono 71 i giornalisti che hanno perso la vita svolgendo la loro professione nel corso dell’anno. Il 39% dei giornalisti ha perso la vita in scenari di crisi e il 37% lavorava per una pubblicazione cartacea, il 30 per la radio, un altro 30 per la televisione e il 3 per una testata solo Web.
Il dato complessivo delle morti è sceso del 20% rispetto allo scorso anno ma il 2012 – con 88 vittime -, scrive Reporters Without Borders, era stato un anno “eccezionale” da questo punto di vista. Sono invece 39 i citizen journalist e i netizen che hanno perso la vita nel 2013. Secondo Rwb nel 2013 sono aumentati anche gli attacchi fisici contro i giornalisti, anche in occasione delle proteste in Turchia e in Ucraina durante l’autunno. In Brasile, Messico e Colombia si sono registrati numerosi casi di violenza da parte delle forze dell’ordine in occasione di manifestazioni. Sono invece 31 i giornalisti e i citizen journalist che hanno dovuto lasciare la Siria per ragioni di sicurezza.
I cinque paesi dove sono morti piu giornalisti sono Siria, Somalia, India, Pakistan e le Filippine. La Ong segnala anche una crescita sensibile nel numero di giornalisti rapiti – da 38 nel 2012, si è infatti passati a 78 nel corso degli ultimi mesi: tra questi, 49 sono finiti nelle mani dei rapitori in Siria e 14 in Libia. Reporters Without Borders conta, contrariamente ai 211 del Cpj, 178 giornalisti in carcere.
Photo credits: Aschevogel / Flickr CC
Tags:2013, Barrett Brown, blogger, censura, censura digitale, Cina, Committee to Protect Journalists, diffamazione, digital censorship, Egitto, EJO, giornalismo, giornalisti uccisi, Hassan Rouhani, informazione, International Press Freedom Award, libertà di espressione, libertà di stampa, Osservatorio europeo di giornalismo, Primavera araba, REporters Without Borders, Roger Shuler, Rwb, Shi Tao, Siria, Vietnam, wikileaks