The rise of the news aggregator: legal implications and best practices. Il white paper realizzato da Kimberly Isbell del citizen Media Law Project analizza il controverso fenomeno dell’aggregazione dei contenuti
Content aggregation, o aggregazione dei contenuti. Attorno a questa pratica si è costruita la fortuna di molti fornitori di informazione: si individuano le notizie, gli articoli più interessanti rispetto a un certo argomento e li si presentano in una forma diversa dall’originale coerente con il proprio target di lettori. Sono i criteri che costituiscono le fondamenta delle attività di blogger e social media.
Attorno a questo fenomeno è in corso un ampio dibattito fomentato, in particolare, dalle organizzazioni editoriali che producono l’informazione primaria. La disquisizione verte, naturalmente, sulla legalità o meno di questo approccio. Kimberly Isbell del citizen Media Law Project ha prodotto un white paper – The rise of the news aggregator: legal implications and best practices – che analizza lo stato attuale della legislazione che regola le attività inerenti la pratica dell’aggregazione.
Come ricorda il Nieman Lab, che ne riporta una sintesi, nel corso dell’ultimo decennio, Internet è diventata una tra le fonti di informazione più utilizzata. Secondo uno studio prodotto dal Pew Internet and American Life Project, a gennaio 2010, emerge che circa il 60% degli americani fanno uso quotidiano di servizi online che propongono notizie di carattere giornalistico-informativo. E alla crescente dipendenza da Internet è corrisposto il declino dei profitti dei media tradizionali, la chiusura di redazioni. Per alcuni osservatori la contemporaneità dei due fenomeni non lascia dubbi: Internet mette in pericolo, o quanto meno danneggia, il mercato dell’informazione.
Aggregatori di notizie come Google News e Huffington Post sono accusati di fare affari sulla pelle delle media companies tradizionali: la legalità del business model di questo signori e la monetizzazione del contenuto prodotto da terze parti non è una pura questione accademica, ma economica, sostiene Rupert Murdoch, strenuo difensore del copyright.
L’analisi proposta dal Isbell, sebbene focalizzata sul mercato USA e associata alla contraddittoria legislazione americana, presenta una interessante profilazione della tipoloiga dei soggetti che operano a livello di news aggrgator ed è esportabile in qualsia altro contesto geografico: una riflessione documentata per comprendere la dinamica di questi nuovi operatori e i contrasti che esistono nei confronti delle fonti di informazione primaria.
La considerazione finale è che nel momento attuale, in cui si assiste a una grande trasformazione del giornalismo, sarebbe prematuro e altamente controproducente, tendere a privilegiare un modello di business così come individuare regole che ne istituzionalizzino la forma. Nuovi modelli di business possono essere definiti attraverso regole che permettano di promuovere flessibilità e libero accesso all’informazione e non sistemi chiusi che servopno a proteggere gli incumbent.
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