Siamo tutti editori?

19 Marzo 2012 • Digitale, Editoria • by

Nuovi modelli di business e Nuove definizioni per l’editoria

Jeff Jarvis, giornalista e docente di giornalismo alla City University di New York, ha raccolto una serie di indicazioni sulla dura realtà dell’industria editoriale, sia cartacea che online, che nonostante non sia recentissima resta di scottante attualità. La lista si articola in oltre 40 punti. E’ interessante riprenderne qualcuno, quelli che a mio avviso sono i tre più significativi:

–      La tradizione non è un modello economico. Il passato non è più una guida affidabile per successi futuri.

–      Dovrebbe” non è un modello economico. Puoi sostenere che la gente “dovrebbe” pagare per avere i tuoi prodotti ma lo farà solo se ritiene che ci sia del valore in essi.

–      Ci sono altri canali di entrate che meritano di essere considerati.

Da un lato concorrenti a basso costo e abbondanza dell’offerta che continueranno inevitabilmente a ridurre il prezzo della pubblicità e, dall’altro, la perdita di controllo del mercato che si ridefinisce nel nuovo ecosistema digitale, le principali motivazioni che spingono necessariamente il comparto editoriale ad esplorare nuove strade.

Probabilmente, come avviene in tutti i momenti di profonda crisi ed incertezza così com’è da almeno un triennio per il comparto editoriale, per l’industria dell’informazione, è necessario (ri)partire da una definizione non convenzionale, distinta da quella tradizionale, di cosa voglia dire essere, fare, l’editore.

Un contributo importante in tal senso è stato fornito da Stefano Quintarelli, Direttore dell’area digital del Gruppo Sole24Ore, che analizzando i modelli di business dei quotidiani ha affermato che “editore è colui che monetizza l’attenzione del cliente (nel massimo numero di modi e occasioni possibili)”. Definizione integrata, ampliata, successivamente da Filippo Pretolani, editore digitale non convenzionale, che sostiene che editore sia “colui che mette insieme capillarità dell’informazione e degli interessi”, continuando, “la sfida da vincere per gli editori è di mettere insieme la capillarità delle reti di persone e delle loro preferenze su infiniti spazi di pubblicazione continuamente/istantaneamente connessi esistenti”.

Attenzione ed interesse, che nella mia visione interpreto come sinonimi, si confermano dunque inevitabilmente protagonisti. Coinvolgere il pubblico di riferimento, le persone, attraverso la rilevanza ed il dialogo, utilizzare la tecnologia per fornire un’esperienza digitale personalizzata ad un costo prevedibile e stabilire modelli di business basati sul successo della relazione tra impresa e pubblico, stakeholders, sono i tre elementi chiave di successo e di creazione di valore per l’industria dei media in generale, e per quella dell’informazione, della carta stampata in particolare, che devono sviluppare un approccio che fondi il modello di business su criteri transmediatici e multipiattaforma, dando un ruolo ed un significato a ciascun mezzo, a ciascun supporto.

L’informazione è inseparabile dalle persone che la stanno creando. Si tratta di un concetto che dapprima le principali reti sociali e successivamente alcune delle più importanti e meglio strutturate organizzazioni aziendali hanno compreso creando nel tempo sistemi di comunicazione e di relazione circolari attraverso i quali sono in grado di valorizzare, anche sotto il profilo economico,  i contenuti che vengono prodotti dal loro staff e dalle persone stesse. Anche i media, le imprese del comparto dell’informazione devono attrezzarsi, indifferentemente che si tratti di carta o digitale, allo stesso modo se vogliono sopravvivere.

Con tutti i limiti di un ragionamento generale sul comparto nel suo insieme e le inevitabili generalizzazioni che ne derivano, ritengo che non si debba cedere ad ipotesi, a tentazioni, che distraggono dal core business, come in parte avvenuto con l’e-commerce che molti hanno implementato a livelli diversi, ma, appunto concentrarsi sull’attività principale editoriale attualizzandola e reinterpretandola in virtù delle evoluzioni in corso.

Se l’industria dell’informazione deve continuare a viaggiare sul doppio binario di relazione con i lettori, con le persone, e con le imprese, con gli investitori pubblicitari, si tratta evidentemente di lavorare coerentemente in questi ambiti.

Sul lettore, con le persone, è necessario tornare ad essere perno centrale dei loro interessi, delle loro conversazioni e dei diversi gruppi, delle distinte comunità, sia in Rete che fisicamente come, uno per tutti, il caso dei cafè come punto d’incontro con le redazioni esemplifica.

Per le imprese, gli investitori pubblicitari, in virtù della possibilità concreta di spaziare con un’offerta multimediale, organica, si tratta di riproporsi come consulenti di comunicazione offrendo loro quello di cui hanno bisogno e non, come spesso avviene oggi, (s)vendendo un tot al chilo l’unica merce disponibile.

Se c’è una lezione che arriva da quella che comunemente chiamiamo primavera araba è che la tecnologia, la Rete, il digitale sono elementi tanto preziosi quanto inutili se non ci sono le persone a fare le rivoluzioni.

Come si dice in questi casi, non fate questo a casa da soli.

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