In Europa dell’Est si innova il finanziamento del giornalismo e la sua indipendenza

8 Maggio 2019 • Economia dei media, Più recenti • by

“Support Mérce, so that we can remain independent” – un’immagine della campagna crowdfunding del sito ungherese Mérce

I media di tutta Europa affrontano la stessa sfida: per mantenere la propria indipendenza devono avere un solido modello finanziario. Nell’Europa centrale e dell’Est però il problema è particolarmente grave. Kornélia R. Kiss racconta come alcune startup alternative hanno cercato di evitare la trappola di diventare strumenti politici. L’indipendenza finanziaria è fondamentale per l’indipendenza editoriale. Quando i media non possono mantenersi da soli, ma sono supportati da interessi di parte – specialmente se di natura politica – finiscono inevitabilmente con il rinunciare alla propria indipendenza.

La crisi finanziaria del 2008 ha avuto un effetto particolarmente negativo sui mercati mediatici dell’Europa centrale e dell’Est. Sin dalla transizione politica post 1989 e dalla privatizzazione delle organizzazioni mediatiche precedentemente controllate dallo stato, la regione è stata nelle mani di società editrici internazionali che hanno intravisto delle opportunità in questi contesti emergenti. Ma non appena i proventi pubblicitari sono crollati sull’onda della crisi, le imprese internazionali hanno cominciato a ritirarsi dal mercato. Le loro partecipazioni sono quindi state comprate da investitori locali o da “oligarchi” le cui principali attività commerciali erano in altri settori e che spesso avevano anche degli interessi politici palesi. Alcuni sono persino entrati direttamente in politica.

L’insano strapotere degli oligarchi
Secondo l’esperto di media ceco Václav Štětka – ora docente in Comunicazione e Media all’Università di Loughborough – la crisi economica ha innescato un “circolo vizioso” nell’ambiente mediatico: “da quando la divulgazione di notizie è divenuta un’attività in perdita, la situazione nella regione è peggiorata anno dopo anno”, ci risponde, aggiungendo che “un panorama mediatico dominato da un modello gestionale oligarchico non può essere descritto come l’ambiente ideale per l’indipendenza giornalistica”. In Paesi dove gli oligarchi sono strettamente alleati con il governo, i politici al potere sono ben felici di godere dei benefici di avere dei media inoffensivi e quindi hanno poco interesse nel cambiare la situazione creando delle condizioni più favorevoli per l’indipendenza finanziaria delle testate di informazione.

Nuovi modelli di sostenibilità
Tuttavia, tra i paesi del gruppo “Visegrad 4” (Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia), i giornalisti stessi sono spesso all’avanguardia nello sforzo di combattere l’onnipresente minaccia di finire nelle mani dello stato: alcuni media indipendenti della regione hanno infatti preso in considerazione una serie di soluzioni alternative con l’obiettivo di raggiungere la sostenibilità, tentando la strada dei modelli basati su abbonamenti, sovvenzioni, crowdfunding e paywall.

  • Slovacchia: pioniera della regione

Nonostante abbia una popolazione di appena 5,4 milioni di abitanti e un mercato mediatico molto piccolo, la Slovacchia ha assistito ad alcune tra le innovazioni più interessanti nel settore giornalistico. Uno dei successi slovacchi è rappresentato dal quotidiano Denník N e dal suo sito, fondato da un gruppo di giornalisti che aveva abbandonato il quotidiano SME in segno di protesta quando, nel 2015, l’ex co-proprietario del giornale aveva venduto le sue azioni al gruppo d’investimenti slovacco Penta. Il cambiamento nella struttura gestionale aveva scatenato timori sulla possibilità che la testata finisse vittima dell’oligarchizzazione, con ricadute sugli spazi del giornalismo indipendente.

Il rischio corso dai fondatori di Denník N è stato ripagato: nel 2018 la testata ha raggiunto i 30mila abbonati, e il 75% dei ricavi del giornale proviene ora direttamente dai lettori. Denník N ha fatto di tutto per scoprire per cosa i suoi lettori fossero disposti a pagare: con il sostegno del Digital News Innovation Fund di Google, la testata ha analizzato le preferenze del suo pubblico, un elemento che ha permesso di targetizzare i propri lettori con marketing mirato. Questo modello economico di successo è stato ora esportato anche in Repubblica Ceca, dove nell’ottobre 2018 è stata lanciata una versione ceca di Denník N. Un’altra interessante novità slovacca è invece il concetto di “paywall nazionale” creato dalla Piano Media già nel 2011. Secondo questa impostazione, diverse testate hanno concordato di mettere alcuni dei loro contenuti dietro un paywall condiviso, lasciando agli abbonati la possibilità di accedere ai contenuti di tutte le testate incluse nel sistema.

L’idea è stata inizialmente un successo e Piano Media è stato in grado di esportare il concetto in altri mercati mediatici della regione. Tuttavia, il sistema di paywall nazionale in Slovacchia è giunto al termine nel 2016 quando diversi giornali hanno preferito avere il pieno controllo sui loro contenuti, abbandonando il progetto. Nonostante il paywall nazionale si sia rivelato una soluzione non praticabile sul lungo termine per l’intera regione, alcuni editori slovacchi, cechi e polacchi hanno adottato modelli di pagamento individuali simili.

  • Repubblica Ceca: la sfida dell’oligarchizzazione per le startup mediatiche

La minaccia di “oligarchizzazione” ha spinto alcuni giornalisti cechi ad intraprendere progetti simili. Quando Andrej Babiš, il secondo uomo più ricco del Paese e ora primo ministro della Repubblica Ceca, ha acquistato la casa editrice Mafra nel 2014, alcuni giornalisti del gruppo hanno abbandonato per dare vita a loro proprie iniziative. Una di queste è il mensile Reportér, specializzato in analisi approfondite e giornalismo investigativo, lanciato da un gruppo di giornalisti del quotidiano Mladá fronta DNES. Le principali fonti di reddito di Reportér sono pubblicità, vendite e donazioni.

  • Polonia: un approccio professionale al crowd-funding

Alcune compagnie mediatiche internazionali occupano ancora un posto significativo nel panorama dei media polacchi, nonostante gli sforzi del governo conservatore di “ripolonizzare” i media. Anche alcune delle testate maggiori hanno fornito il loro sostegno a nuovi progetti mediatici. Nel 2016 il quotidiano di lunga tradizione Gazeta Wyborcza ha contribuito a lanciare il sito di notizie investigative senza scopo di lucro oko.press, che si finanzia ora principalmente grazie a crowdfunding e sovvenzioni. Alla conferenza Public Sphere for Europe tenutasi a Potsdam nel dicembre 2018, la giornalista di Oko Agata Szczęśniak ha spiegato come il sito web abbia cercato di rendere più professionali le sue campagne di crowdfunding con l’aiuto di un fundraiser che lavorava in precedenza per Amnesty International.

  • Ungheria: medelli ibridi

In Ungheria il problema dei media che finiscono nelle mani dello stato ha raggiunto uno stadio avanzato. Il mercato dei media è sbilanciato per via del fatto che quasi tutte le testate a favore del governo hanno una circolazione estremamente bassa e godono dell’appoggio della pubblicità statale. Le organizzazioni indipendenti contano quasi interamente su sovvenzioni e donazioni da parte dei loro lettori. Non ci sono paywall nel mercato mediatico ungherese e i siti di notizie indipendenti più popolari come Index.hu e 444.hu si affidano al crowdfunding, mentre le piattaforme no-profit investigative Atlatszo e Direkt36 si finanziano grazie alle sovvenzioni e ai contributi dei lettori. La piattaforma di news di sinistra Merce dipende interamente dalle donazioni dei lettori.

Due relativamente “nuovi arrivati” sulla scena dei media indipendenti ungheresi stanno invece sperimentando modelli ibridi che prevedono una combinazione di entrate provenienti da abbonamenti e donazioni. Il settimanale Magyar Hang, nato dalle ceneri dell’ex quotidiano conservatore Magyar Nemzet nell’aprile 2018, è ora pubblicato dal suo direttore. Il settimanale conservatore Heti Válasz, che in precedenza apparteneva allo stesso proprietario di Magyar Nemzet, è stato chiuso nel 2018. Poi è stato recuperato dai suoi giornalisti come un nuovo sito online basato su abbonamenti e donazioni.

Articolo tradotto dall’originale inglese da Claudia Aletti

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