Raccontare davvero le storie dei bambini rifugiati in Italia

16 Aprile 2021 • Etica e Qualità, Più recenti • by

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Le storie dei bambini rifugiati sono state in gran parte assenti dalla copertura riservata dai media italiani ai recenti movimenti migratori che hanno visto i profughi cercare di raggiungere l’Europa attraverso le rotte del Mediterraneo orientale e centrale. Se i bambini sono presenti in modo irregolare nei contenuti giornalistici, l’attenzione dei media si concentra invece per lo più su fatti geopolitici relativi ai loro paesi di origine, sulle difficoltà dei loro viaggi e sulle notizie relative al crimine.

Questo è particolarmente vero per i minori. La copertura mediatica raramente si dedica a storie approfondite sui bambini migranti, lasciandoli nascosti alla vista del pubblico o intrappolati in una cornice alternata di vittimismo e delinquenza legata alla povertà.

In ambito accademico, diversi studi hanno tentato di comprendere la complessa rappresentazione mediatica dei migranti nelle società europee. Questi studi hanno riguardato principalmente analisi di contenuto di articoli relative alle migrazioni. Tra questi, a spiccare è la ricerca condotta da Myria Georgiou e Rafal Zaborowski nel 2017 per conto del Consiglio d’Europa. La loro analisi, dedicata alle principali testate di otto paesi europei (Repubblica Ceca, Francia, Germania, Ungheria, Irlanda, Serbia, Regno Unito e Grecia) e svolta nel corso del 2015, mostra come i rifugiati abbiano possibilità molto limitate di condividere le loro storie attraverso i media. Quando i rifugiati ottengono spazio, invece, sono rappresentati principalmente come vittime o come attori silenziosi e senza voce.

A mancare sono informazioni sulle loro culture o altri aspetti della loro vita e questa assenza dà al pubblico una visione molto unidimensionale. La ricerca di Georgiou e Zaborowski ha inoltre rilevato come i giornalisti tendano a presentare una narrazione che sottolinea la connessione causale “tra la situazione dei migranti e il benessere dei paesi europei”. Inoltre, due terzi degli articoli lì esaminati enfatizzavano le conseguenze negative dell’arrivo dei rifugiati, mentre le conseguenze positive venivano inquadrate solo nella logica morale dell’empatia e della solidarietà delle popolazioni europee. In modo preoccupante, anche i rifugiati sono stati descritti prevalentemente dalla stampa meramente come cittadini di un determinato paese.

Solo il 35% degli articoli, ad esempio, distingueva tra uomini e donne e meno di un terzo faceva riferimento alla loro età. Allo stesso modo, solo il 16% degli articoli includeva i nomi dei rifugiati e solo il 7% includeva invece le loro professioni. Questa mancanza di caratterizzazione individuale incoraggia false supposizioni come la convinzione che i rifugiati siano prevalentemente giovani uomini in cerca di migliori opportunità. Si tratta, essenzialmente, di una forma di disumanizzazione e deindividualizzazione dei migranti che può generale mancanza di empatia tra le popolazioni europee.

Una nuova prospettiva
Sulla scia di queste ricerche, nel 2018 ho deciso di intervistare i portavoce, i direttori della comunicazione e gli addetti stampa di sei organizzazioni coinvolte nella risposta alle migrazioni in Italia – UNICEF, InterSos, Médecins Sans Frontières, Emergency, International Organization for Migration e Oxfam.

Scopo della mia ricerca, pubblicata da OpenMigration, era analizzare le loro impressioni e raccogliere le loro raccomandazioni sugli approcci per coprire al meglio le storie dei bambini rifugiati, al fine di fornire una lente aggiuntiva attraverso cui visualizzare la rappresentazione mediatica delle migrazioni. In definitiva, speravo di creare una risorsa utile sia per i media che per le organizzazioni non mediatiche. Parlando con i e le partecipanti alla mia ricerca, è stato presto chiaro come vi fosse un accordo condiviso su un aspetto: di sicuro non vi è mancanza di interesse da parte dei media per le storie sui bambini. All’opposto, è più probabile che i minori – e non sugli adulti – possano suscitare l’interesse dei giornalisti che si occupano della migrazione.

Come ha sottolineato un intervistato: “un bambino crea molta più empatia. Agli occhi del pubblico, l’immagine di un bambino è sempre più forte. È sempre stata una cornice che la comunicazione mediatica ha utilizzato per commuovere il pubblico”. Tuttavia, troppo spesso questo approccio porta a una semplificazione eccessiva del fenomeno migratorio. I miei intervistati hanno sottolineato la necessità di strategie di comunicazione efficaci per aiutare i giornalisti a raccontare meglio le storie di questi gruppi e hanno esplorato fattori come l’agenda dei media, il ruolo delle organizzazioni non governative e delle agenzie delle Nazioni Unite, il modo in cui i bambini vengono utilizzati come fonti e i problemi con le narrazioni attuali.

È stato ampiamente riconosciuto che la protezione dei minori dovrebbe essere una considerazione chiave e un principio centrale in qualsiasi approccio. Gli intervistati hanno poi sottolineato l’importanza di compiere uno sforzo consapevole per evitare di ritrarre i bambini come mere vittime o di utilizzare le loro storie per soddisfare le agende delle organizzazioni o quelle delle testate stesse. Inoltre, le persone intervistate hanno anche toccato considerazioni pratiche come la ricerca del consenso dei genitori o del tutore e la necessità di evitare l’uso di immagini che identificano i bambini.

Come il giornalismo può fare una differenza positiva
Gli specialisti e le specialiste della comunicazione intervistati hanno anche condiviso le loro opinioni su ciò che i giornalisti possono fare per fornire una narrazione e una rappresentazione più accurate dei bambini rifugiati. Ecco cosa hanno suggerito:

  • Riconoscere i diritti dei bambini: l’idea è che rappresentare i minori come individui emancipati e non come vittime senza speranza potrebbe mettere in discussione le percezioni esistenti e consentire al pubblico di vedere il potenziale che i bambini rifugiati hanno di contribuire allo sviluppo della società italiana.
  • Raccontare la storia del loro arrivo in Italia: il pubblico italiano non è informato adeguatamente sulle sfide amministrative, legali e sociali che i bambini devono affrontare al loro arrivo nel paese. Accrescere questa consapevolezza aiuterebbe a dipingere un quadro più accurato della complessa situazione che i minori devono affrontare nella loro nuova realtà.
  • Raccontare le storie di successo dell’integrazione: qui l’elemento di coerenza è fondamentale. Mentre i media, a volte, parlano dei successi dei migranti che si sono stabiliti nella comunità ospitante, questo non avviene così regolarmente da poter incoraggiare un più forte senso di accettazione e una più profonda familiarità con i rifugiati.
  • Evidenziare i punti in comune tra i bambini rifugiati e i bambini italiani: invece di mantenere i riflettori incentrati sulle differenze, sarebbe opportuno concentrarsi maggiormente sulle somiglianze dell’esperienza di essere bambini. Questo potrebbe aiutare a facilitare l’inclusione sociale dei minori rifugiati

Una visione per il cambiamento
Ciò che è chiaro è che, poiché la rappresentanza dei bambini rifugiati in Italia è guidata da una gamma complessa di dinamiche mediatiche, sarebbe utile guardare oltre l’analisi dei contenuti mediatici. Parlare ai professionisti della comunicazione di organizzazioni che guidano la risposta a questo problema offre infatti una nuova prospettiva e un altro angolo da cui esplorare e comprendere le complessità delle narrazioni sulle migrazioni e sui rifugiati.

Con le mie conversazioni con questi specialisti della comunicazione, ho identificato una serie di concetti, che potrebbero essere un punto di partenza per migliorare le pratiche dei media sulla copertura delle migrazioni e per sviluppare approcci che possano avere un impatto positivo sulla situazione a lungo termine dei minori rifugiati.

Spero che la mia ricerca apra uno spazio per ulteriori discussioni e riflessioni sull’impatto che la narrativa attuale sta avendo sulla società e su come queste narrazioni possono essere riformulate, in un’ottica di cambiamento sociale più ampio e un cambiamento nel modo in cui il pubblico dei paesi ospitanti sperimenta la migrazione, in particolare in relazione ai bambini.

Leggi la versione completa del mio articolo basato sulla ricerca qui.

Articolo tradotto dall’originale inglese

Per approfondire:
“I media e la copertura dei migranti e dei rifugiati”, di Susanne Fengler e Marcus Kreutler
“L’integrazione passa dalla media literacy dei migranti”, di Rana Arafat
“Come i giornali europei hanno trattato la crisi dei migranti”, di EJO
“Impersonale e superficiale: la copertura dei migranti in Europa e Africa”, di Susanne Fengler

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