Quando si verifica un disastro naturale, il sistema dei media è chiamato nella sua interezza ad assolvere a un insieme differenziato di funzioni sociali, che spaziano dalla diffusione di messaggi di allerta rapida fino alla creazione di uno spazio pubblico per il dibattito politico sulla gestione dei rischi e sulla sostenibilità politica e simbolica delle misure di mitigazione proposte. Più in particolare, la mediazione giornalistica continua a svolgere un ruolo centrale, che consente di dare risposte a diversi e importanti bisogni delle popolazioni direttamente colpite e delle comunità e società di cui fanno parte, fornendo informazioni sulla situazione in corso e supporto emotivo, favorendo lo scambio sociale, evocando esperienze passate di situazioni simili e, soprattutto, fornendo spiegazioni causali degli eventi.
I disastri naturali rappresentano inoltre un momento cruciale per la comprensione dei rischi: come postulano i teorici della Social Amplification of Risk, l’evento catastrofico non solo attualizza il rischio, ma innesca una serie di processi comunicativi che non riguardano soltanto la comunicazione scientifica e istituzionale, ma vanno riferite a qualsiasi messaggio veicolato da qualsiasi fonte attraverso qualsiasi canale, senza restrizioni sulla direzione dei flussi o sull’ampiezza delle audience coinvolte, e tenendo in considerazione anche i messaggi veicolati involontariamente. L’analisi dei processi di comunicazione, cui partecipano ovviamente anche i media, deve cioè considerare l’insieme delle iterazioni comunicative che si riferiscono alla ricezione, alla comprensione e alle risposte sociali che ne derivano direttamente o indirettamente, i cui esiti possono sia mitigare sia amplificare i possibili impatti di eventi futuri.
Nel contesto dei disastri, i media assicurano la disseminazione della conoscenza scientifica sui rischi, elemento chiave per ridurre il senso di incertezza e di impotenza, facilitando l’elaborazione di un insieme coerente e condiviso di “definizioni della situazione”, in grado di orientare e facilitare l’azione sociale e i processi decisionali, favorendo il ritorno alla normalità. Il ruolo svolto dai giornalisti (e dalle testate) è per molti simile a quello di broker della conoscenza, potenzialmente in grado di “rendere tutte le informazioni comprensibili da chiunque”, disvelando le complesse conoscenze su cui si fonda la valutazione del rischio e fornendo, al tempo stesso, importanti risorse simboliche e cognitive per inquadrare prospetticamente il dibattito politico sui rischi e sulle possibili azioni da intraprendere.
Queste forme di mediazione appaiono particolarmente rilevanti nel nostro tempo, in cui la comunicazione dei rischi appare sempre più influenzata dalle interazioni con i media digitali e con i loro pubblici, alimentando talvolta forme di scetticismo disorganizzato, che non solo tendono a radicalizzare la critica legittima nei confronti delle pretese di verità “scientifica”, ma che favoriscono anche forme di antagonismo nei confronti della scienza per sé. In una situazione in cui i bisogni di comunicazione aumentano esponenzialmente mentre le certezze diminuiscono, è importante chiedersi se il giornalismo sia tuttora in grado di ancorare il dibattito pubblico a punti di riferimento autorevoli e sicuri, garantendo forme di mediazione efficaci tra scienziati, società civile e policy maker.
Per dare risposte a questa domanda e meglio comprendere i processi di costruzione mediale della “scienza dei disastri”, è stata realizzata una ricerca, pubblicata da Problemi dell’informazione, sulla copertura giornalistica di due importanti disastri che hanno colpito l’Italia negli ultimi anni: il terremoto dell’Emilia Romagna, verificatosi nel maggio 2012 e quello del Centro Italia dell’agosto del 2016, con il preciso intento di individuare gli elementi di comparabilità e le specificità comunicative, allo scopo di evidenziare le variabili (e le circostanze) che fondano la notiziabilità e la salienza dei contenuti scientifici. La ricerca, avvalendosi di tecniche di analisi del contenuto, ha esaminato tutti gli articoli su temi di pertinenza scientifica pubblicati sulle quattro testate nazionali d’informazione a maggior diffusione: Corriere della Sera; La Repubblica; La Stampa e Il Messaggero. L’analisi ha riguardato gli articoli pubblicati nei 31 giorni successivi alla prima scossa di terremoto (evento zero), per un totale di 248 edizioni e 289 articoli, con la finalità di formulare ipotesi interpretative e di verificarne empiricamente la tenuta.
I risultati evidenziano come alcuni aspetti restino relativamente costanti nel tempo: notiziabilità e salienza degli articoli scientifici sembrano, infatti, legarsi sia alle caratteristiche intrinseche dell’evento, come la magnitudo delle scosse registrate e il tempo trascorso dall’evento zero, sia a criteri intrinseci al processo di newsmaking, come l’estensione degli impatti sociali e la controversialità dei temi scientifici oggetto di dibattito. Questo tipo di criteri diventa particolarmente rilevanti in alcune fasi dell’emergenza, com’è avvenuto ad esempio nel 2012 con le “previsioni” della Commissione Grandi Rischi sulla possibile attivazione di un terzo segmento di faglia tra Finale Emilia e Ferrara, che hanno innescato forti polemiche da parte di scienziati e amministratori locali.
La distribuzione temporale degli articoli evidenzia una forte ciclicità: il loro numero aumenta rapidamente nei primissimi giorni per diminuire gradualmente, innescando processi di consonanza tra testate e media, che estendono la copertura a notizie simili e alle reazioni sociali e politiche alle notizie stesse, in perfetta sintonia con la teoria dei media hype di Peter Vasterman. La ricerca ha tuttavia evidenziato alcuni rilevanti cambiamenti nella copertura dei due terremoti, segnalando (a parità di condizioni) un’identica percentuale di articoli che citano istituzioni scientifiche (72,5%), che si accompagna a un lieve calo nella “voice” degli scienziati (dal 52,3% al 45,8%), la cui presenza tende sempre più ad abbinarsi a quella dei policy maker, cioè governo e amministrazioni locali (dal 32,1% al 38,3%).
Quest’ultimo dato appare più comprensibile se letto insieme a quelli sui principali frame: gli articoli che tematizzano la valutazione e l’analisi degli scenari di rischio passano dal 73,3% durante la sequenza sismica in Emilia al 51,1% dell’Italia Centrale, con un rilevante aumento della modalità “altro” che, mettendo insieme tutti gli articoli non aggregabili entro una particolare categoria, passa dal 13,3% al 30,2%, accompagnandosi ad una più contenuta ma significativa crescita del tema prevenzione, che sale dal 13,3% al 18,7%.
Infine, vanno segnalati due importanti aspetti: il tendenziale aumento delle inchieste e delle interviste, che passano rispettivamente dal 5,3 al 17,3% e dal 6% al 12,9% sul totale degli articoli, e una maggiore salienza degli articoli di pertinenza scientifica, evidenziata dall’analisi degli indicatori di posizionamento e visibilità, che attestano una generale tendenza di questi ultimi a migrare verso la “prima” e verso posizioni di maggior rilievo nella pagina, con un maggior numero di aperture e un crescente peso di infografiche e foto, volte a rendere più comprensibili e fruibili i contenuti scientifici.
I significativi cambiamenti negli stili di rappresentazione della scienza che sono intervenuti tra i due terremoti, sebbene non del tutto coerenti, sembrano tuttavia soltanto in parte legati alle differenti caratteristiche fisiche dei due eventi trattati. Il maggior risalto delle notizie sugli aspetti scientifici dei terremoti premia l’impegno di scienziati, istituzioni di ricerca e giornalisti specializzati per rendere più fruibili (e quindi comprensibili) fenomeni caratterizzati da forte complessità e incertezza, introducendo un mutamento di scenario destinato a influenzare profondamente le strategie comunicative dei numerosi attori coinvolti nell’analisi dei disastri naturali e nell’elaborazione di strategie di mitigazione del danno, così come quelle della comunicazione istituzionale.
Questo articolo è tratto da un paper pubblicato sul numero 3/2017 del journal Problemi dell’Informazione, partner dell’Osservatorio europeo di giornalismo
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